21/12/09

Il tavolo di Natale



È in edicola il nuovo numero de L'Approfondimento di Bagheria e dintorni, ultimo numero del 2009, l'anno di Baarìa, e dell'emergenza rifiuti, in primo piano il bilancio dei primi tre anni dell'amministrazione Sciortino e un mio racconto: il tavolo di Natale.

Buona lettura.

Un popolo di imprenditori

Sarà stato il timballo di broccoli e il suo insostenibile peso specifico per porzione ma ieri proprio non riuscivo a prender sonno. Ho provato coi Beati Paoli, ma quelli della Flaccovio hanno scelto dei caratteri così piccoli che a leggerlo a letto proprio non ci si  riesce. E storie di vendetta così inturciuniate e appassionanti non son proprio consigliate per corteggiare Morfeo.

Allora ho fatto quello che sempre faceva mio padre: accendere la tv per tendere agguati ai sogni che si fanno aspettare. E non fregandomene nulla di calcio ho sterzato su Rai3 dove c'era quella che faceva la pubblicità del caffè solubile che intratteneva i suoi ospiti col suo tono monocorde parlando della crisi occupazionale con fior fior di ospiti: Sergio Rizzo, coautore di Gian Antonio Stella per La Casta e penna di punta del Corrierone; Andrea Pezzi stempiato e sempre più distaccato da questo mondo, un imprenditore che in punta di fallimento prima dei fatidici trent'anni ebbe la botta di culo di cambiar rotta e costruire barche di lusso e poi lei. Una a caso, una laureata in scienze diplomatiche che era stata in mezzo ai canguri, tra le piramidi per poi ritornare a tentar di spiegare le promozioni della Tim a noi povera gente comune che mai potremmo capirle.

Quest'ultima, nostra sorella ideale nell'eletta schiera dei paratrentenni è bella, mezza finlandese e pure di famiglia agiata. Invece di far come tutte le mezze finlandesi e rifarsi le zizze per far carriera in tv voleva - che ardita! - non gravare sulla famiglia, diventata il più gettonato ammortizzatore sociale.

Il ritorno di Stilos



Stilos era un settimanale di informazione libraria e letteraria, fondato e diretto da Gianni Bonina. Prima allegato a La Sicilia, poi settimanale autonomo. Scomparso nelle edicole e rinato come portale sotto nuovo nome: Il Sottoscritto.

Adesso ritorna su carta, col vecchio e glorioso nome come rivista mensile a cui è già possibile abbonarsi. Per maggiori dettagli abbonamenti@stilos.it. Un'ottima idea per un regalo di Natale.

20/12/09

Scremature

Niente manifesti, niente bollettini, niente promesse da mancare. Qui si scola il superfluo e rendo grazie ai social network che sono riusciti a farmi rimpiangere e  anelare quel baule pieno di gemme che era la blogosfera.

Ho "riabbracciato" vecchi amici, infischiandomene di come la vita abbia tracciato mappe di rughe sulle loro facce, di quanti status sentimentali abbiano cambiato. Tutto mi rinvia alle loro vere case, quei blog che personalizzavano sudando sopra ogni parola. Che piacere raro rileggere Mangino Brioches, Sonnenbarke, perfino la prosa sincopata del buon vecchio Apolide...

Una sporgenza

Quando è nato un blog lo avevamo in cento, adesso siamo ancora in cento perché tutti gli altri sono passati ai socialcosi. Siamo quelli che scrivono più di 140 caratteri, e sembriamo una setta di massoni ottocenteschi: insomma, siamo diventati vintage in sei anni. (Sir Squonk, “And… we’re back! (PslA strikes again, 2009 version: “Hop Hop Hop”)

via Strelnik


Nostalgico vagavo alla ricerca dei vecchi link, gente di cui ignoravo facce e compleanno ma che leggevo spesso e volentieri, senza aggiornamenti in tempo reale. Gente che si metteva davanti al monitor per condividere sensazioni vitali e non l'ultima frignata in bilico sull'ultimo video di youtube.

Gente che aveva davvero qualcosa di buono e giusto da mettere da parte per fertili e future riletture. La stessa cosa la facevo pure io affettando la vita a paragrafi, sfumando indistintamente verso un nuovo giorno. Un trucco, un piacevole trucco, rielencare quanto m'era successo per dargli un senso. Esercizio vano e fruttuoso di cui ancora oggi sento un vivo, vero e vitale bisogno. Anche se molti hanno avuto gioco facile a scrollarmi di dosso speranze e aspirazioni, che son tutti bravi a dirti che non ne vale la pena di intrecciare sillabe da sottrarre all'oblio. Progrediscono lenti i giorni.

Dopo due lauree, settecento pezzi, cinquanta e passa racconti che si guadagnano sempre più carta in maniera del tutto indipendente, sono qui. I racconti? Che gioia era vederli stampati e letti. Nei giorni che ho trascorso a Livigno dalla mia bella, complice la neve (Che ne sarà delle neve? Che ne sarà di noi?) ho riguadagnato il vuoto, l'unica sensazione da cui è possibile - nuovamente - ripartire.

Che a far personali remake si corre il rischio di far la fine di quelli di X-files che era meglio lasciarli vivere nel ricordo piuttosto che rivederli in preda a teste trapiantate. Che si finisce sempre a girarsi per vedere da dove siamo partiti.

Ho letto metà dell'ultimo libro di Starnone, Spavento (Einaudi, 20 €). Il bollino Siae rivela che il titolo doveva essere "Sangue occulto" che sarebbe stato un suicidio commerciale. Il libro t'avvolge e ti mette davanti a tutte le paure che abbiamo dentro le cellule, destinati a progressiva e inevitabile disgregazione dei tessuti. Inutile evitar pepe, peperoncino e grassi saturi. La morte t'aspetterà paziente. E ti farà pisciare sangue, fiotti rossi e densi. O ritrovarsi a rimirar nella tazza il proprio melema, sangue digerito, nero come la pece. Paure irrazionali, veder violati i propri orifizi per tentar d'arginare l'ineluttabile.

Aggirarsi per un racconto abbandonato è come passeggiare in una città bombardata. E' questo l'incipit dell'ultima parte del libro. Ecco. Tocca anche a me.

01/12/09

Un gelato al limon

Ecco, come s'è conclusa la serata di venerdì: baciando un airbag dopo che un maligno colpo di sonno ci ha fatto sbandare. Ho una piccola lesione sternale e un pernicioso dolore al collo che m'impedisce di leggere a letto. E io senza leggere proprio non ci riesco a prender subito sonno.

Il bilancio? Tre automobili completamente distrutte, scene d'isteria collettiva da parte dei proprietari delle due auto posteggiate e innocenti massacrate dal nostro veicolo, un palo divelto e tanta, tantissima paura. Che poi sono tutte minchiate che uno si sbobina il film della propria esistenza: la prima stringa di pensieri è stata la mia donna tra le nevi perenni, gli occhiali nuovi che proprio non riuscivo a ritrovare e soprattutto perché avevo cenato con un rivoltante sorbetto al limone mentre tutti gli altri commensali s'erano concessi una supercoppa con cioccolato e panna?

08/11/09

Scorribande cinematografiche e la nostra lotta contro i 93 minuti

Scrivere. Di nuovo. Senza contar battute. Solo per la voglia e il bisogno di farlo. Malgrado tutto su FB manco son riuscito, con tutta la buona volontà a rimanerci. Vuoto irreale. Un vortice di minchiate che manco davanti una macchinetta del caffè prima d'un esame ne avrei digerite tante. E ai tempi dell'università le sciocchezze volavano leggere, quando ancora erano permesse perfino le sigarette all'interno del disgustoso parallelepipedo che m'ha annoverato nel suo gregge.

L'ultimo aggiornamento risale allo scorso luglio. Una vita fa. S'è ripresa la dieta, che mi ritrovo in buona compagnia coi post e para-venticinquenni tutti col ventre gonfio dalle speranze appassite e da troppe notti perse davanti a boccali perennemente pieni.

S'è ingannato Crono andando al cinema, per piccoli capolavori irrinunciabili: Baarìa, Up!, Bastardi senza gloria. E anche per due blockbusters come Segnali dal futuro e Transformers 2. Il primo regge bene sino al finale new age che ha rovinato tutto.

Quella sera me la ricordo bene, panza satura dello scadente kebap che ci rifilano a Bagheria (Ronde leghisti, liberateci da chi s'improvvisa cuoco etnico!), in compagnia del diletto cugino che mi tiene sovente compagnia, complice lo stesso scenario apocalittico che ci abbraccia al principio di questi trent'anni.

Transformer abbaglia e prende, col principio che resiste al cambio dei capelli e degli occhiali, sin da quando recensivo gli Incredibili nel preistorico 2005. Pago ancor più volentieri se il film dura più dei 93 canonici minuti in cui si nascondono tutti gli stitici sceneggiatori. Già quando si sfiorano le due ore sono entusiasta. Se poi la pellicola le supera abbondantemente...

Sono tornato.

21/07/09

Fumetti e nostalgie

Il mondo è andato avanti e con lui pure le nuvole parlanti. Sdoganate nuovamente sulla stampa, con la meritevolissima serializzazione della biografia a fumetti di Peppino Impastato sulle colonne dell'Unità.

Quest'anno è il primo texone senza papà, che ha letto Tex sino all'ultimo, facendosi portare su quel letto da cui non si sarebbe più rialzato l'ennesima ristampa a colori che allegano a Repubblica.

La serie regolare l'aveva abbandonata al numero 500 e passa. Ogni tanto gliene portavo uno, per coccolarlo e rendergli più digirebili gli interminabili pomeriggi sul divano da cui non riusciva più ad alzarsi.

Diceva che le avventure d'Aquila della notte erano stanche ripetizioni della stessa minchiata declinata immutabile, come la montagna di patatine declamata da Kit Carson.

Stessa sorte, con quattrocento numeri d'anticipo per Dylan Dog, che dopo l'abbandono di Tiziano Sclavi è diventato parodia di se stesso. Con schema macilento e spiegone finale. Dov'è finita la magia che aveva fatto partorire perle rare come Johnny Freak, Il lungo addio, Gente che scompare, Il male...

Noi dylaniani duri e puri continuiamo più per affetto e nostalgia che per reale interesse. L'hanno capito alla Bonelli che continua a sfornare ristampe su ristampe delle inarrivabili storie iniziali. L'ultimo maxi non vale la carta su cui è stampata. Buoni spunti che non reggono le canoniche 94 tavole.

Va meglio con Dampyr, dopo una leggera flessione nei numeri successivi al deludente centesimo numero. La vitalità del figlio del vampiro è pulsante: storie on the road, spostamenti nei vari luoghi misteriosi della terra, con ottima documentazione a tener su le sceneggiature di Boselli e Co.

Per i nostalgici dei capolavori dell'arte sequenziale consigliamo Watchmen, nella pregiata edizione della Planeta De Agostini, la collezione delle storie di Carl Barks uscite in 48 numeri col corriere della sera e gli intramontabili quesiti esistenziali del buon vecchio Charlie Brown.



Il mondo è andato avanti e con lui pure le nuvole parlanti. Sdoganate nuovamente sulla stampa, con la meritevolissima serializzazione della biografia a fumetti di Peppino Impastato sulle colonne dell'Unità.

Quest'anno è il primo texone senza papà, che ha letto Tex sino all'ultimo, facendosi portare su quel letto da cui non si sarebbe più rialzato l'ennesima ristampa a colori che allegano a Repubblica.

La serie regolare l'aveva abbandonata al numero 500 e passa. Ogni tanto gliene portavo uno, per coccolarlo e rendergli più digirebili gli interminabili pomeriggi sul divano da cui non riusciva più ad alzarsi.

Diceva che le avventure d'Aquila della notte erano stanche ripetizioni della stessa minchiata declinata immutabile, come la montagna di patatine declamata da Kit Carson.

Stessa sorte, con quattrocento numeri d'anticipo per Dylan Dog, che dopo l'abbandono di Tiziano Sclavi è diventato parodia di se stesso. Con schema macilento e spiegone finale. Dov'è finita la magia che aveva fatto partorire perle rare come Johnny Freak, Il lungo addio, Gente che scompare, Il male?

20/07/09

Si starà meglio

Si leggeva l'amico coniglione, vecchio compagno di blog che ospitò uno dei miei racconti poi finito in un'antologia.

Dell'ultimo post condivido praticamente ogni paragrafo.

Dieci anni fa si produceva nella rete per la rete, la stessa ragnatela che ora fascia il mondo e infilia nel doppino di rame da cui passa il segnale dell'adsl qualsiasi fregnaccia: l'ultimo film sul mulo, l'ultima serie televisiva via torrent e poi il gigantesco elenco telefonico d'Atlantide: facebook.

Utilissimo elenco telefonico che permette di sbirciare nelle altrui vite con un tasso di dipendenza sconosciuto prima.

Nel tempo che fu bastava un nick e buona lena sulla tastiera per crearsi una personalissima platea. Ora ti chiedono l'amicizia a frotte anche solo per veder le foto della cresima della cugina Peppina.

Tutti i nomi incrociati nel web letterario m'hanno a giro chiesto l'"amicizia". E l'ho elargita, che a infilar scarpe nei macchinari non sono stato mai capace.

Infinite sono le potenzialità di sto almanacco digitale.

Che nasce e fiorisce sulla fine dei blog personali.

Sopravvivono quelli che avevano un felice codazzo - più o meno meritato - di lettori. Sopravvivono quelli che si reggevano su un progetto. Gli altri retrocedono a siti personali con qualche news a interromperne la fissità. Come questo che leggete adesso. Che fa riecheggiare ogni singolo post tra le note del mio profilo facebook.

Gli altri s'ingegneranno su nuove strade.

Come fu per i siti in html statico e per le giff animate che rimpolpavano il web.



Si leggeva l'amico coniglione, vecchio compagno di blog che ospitò uno dei miei racconti poi finito in un'antologia.

Dell'ultimo post condivido praticamente ogni paragrafo.

Dieci anni fa si produceva nella rete per la rete, la stessa ragnatela che ora fascia il mondo e infilia nel doppino di rame da cui passa il segnale dell'adsl qualsiasi fregnaccia: l'ultimo film sul mulo, l'ultima serie televisiva via torrent e poi il gigantesco elenco telefonico d'Atlantide: facebook.

Utilissimo elenco telefonico che permette di sbirciare nelle altrui vite con un tasso di dipendenza sconosciuto prima.

Nel tempo che fu bastava un nick e buona lena sulla tastiera per crearsi una personalissima platea. Ora ti chiedono l'amicizia a frotte anche solo per veder le foto della cresima della cugina Peppina.

Tutti i nomi incrociati nel web letterario m'hanno a giro chiesto l'"amicizia". E l'ho elargita, che a infilar scarpe nei macchinari non sono stato mai capace. Infinite sono le potenzialità di sto almanacco digitale. Che nasce e fiorisce sulla fine dei blog personali. E rimpiazza email, sms, elenco telefonico. In cambio d'una cessione volontaria e reiterata di dati personali e riservati. Un suicidio collettivo della propria tanto decantata privacy.

Sopravvivono quelli che avevano un felice codazzo - più o meno meritato - di lettori. Sopravvivono quelli che si reggevano su un progetto. Gli altri retrocedono a siti personali con qualche news a interromperne la fissità. Come questo che leggete adesso. Che fa riecheggiare ogni singolo post tra le note del mio profilo facebook.

E gli altri? S'ingegneranno su nuove strade.

10/07/09

La misteriosa scomparsa dei trentenni bagheresi

Metter su casa e formare una famiglia sono i sogni proibiti dei giovani concittadini


Che fine hanno fatto i trentenni bagheresi?
Dovrebbero essere loro i protagonisti di questi anni ma tranne rare e splendenti eccezioni sembra proprio che i nati tra il Settantasette e l´Ottantatré abbiano fatto la fine dei basilischi, delle chimere, degli unicorni. Tutti gli esseri mitici che popolavano l´immaginario medievale sono spariti nelle sabbie del tempo. Terribile è che nessuno senta la mancanza di questa larga fetta di popolazione. Basta sbirciar le statistiche, quasi immutate nascite e morti. Ma soprattutto non cresce il numero delle nuove famiglie.

Politiche miopi a livello locale, regionale, nazionale ed europeo hanno bucato i sogni d´un´intera generazione. Un baffuto filosofo cercava l´oltreuomo perché, scriveva, è impossibile che l´uomo attuale faccia o desideri meno dei suoi predecessori. E invece è andata proprio così. Perfino i coccodrilli gonfiabili hanno resistito alla crisi e immutati riappaiono anno dopo anno a dar tocchi d´esotico alle nostre spiagge. I giovani bagheresi meno d´un pupazzo li abbiamo considerati, condannando loro e la città tutta a una morte lenta.

07/07/09

The Punisher War Zone







In petto la crozza di morto, capelli impomatati e un pistolone in pugno. Frank Castle è The Punisher, il testosteronico punitore dei fumetti Marvel.
Che ha avuto ben tre incarnazioni al cinema, inanellando una non invidiabile sequenza di flop da far impallidire l'Omino bianco.

Sulla carta gli ingredienti ci sono tutti: appetibilissima storia di vendetta e sangue con l'ex sbirro che dopo che gli trucidano la famiglia decide di rendere occhio per occhio a tutta la mafia.

Personaggi che nemmeno si sognano d'aver spessore psicologico. L'ultimo è The punisher - war zone. Che in Italia arriva direttamente su dvd ad ottobre. Che comunque abbonda sui circuiti peer2peer, mulo incluso, opportunamente sottotitolato.

L'abbiamo visto e i 107 minuti offrono esattamente quello che ci si aspetta da un film del genere. Se cercate contenuti, c'è sempre un libro da aprire sul comodino o un film iraniano sul suicidio in lingua originale.

02/07/09

Dove si scrive di spiagge proibite, piccoli successi e di nuovi portali letterari

È in edicola il secondo numero di 90011.magazine, 100 pagine, full color, carta patinata. Con chicche come la doppia intervista sulla pedonalizzazione del corso Umberto I, tre tavole in esclusiva dal libro a fumetti su Peppino Impastato pubblicato dalla Beccogiallo edizioni e La misteriosa sparizione del pupo di Palagonia, riuscitissimo omaggio allo gnomo girovago d'Amelie.

On line da un paio di settimane la nuova casa dei Pupi di Zuccaro, un portale letterario che accoglie cronache contro un inarrestabile svanire. Ringrazio tutte le testate, i blog e gli amici che l'hanno voluto segnalare. La struttura è semplice: due colonne, nella sidebar i pupini che sono citazioni e post brevi, il cinematografo che raccoglie piccoli capolavori trovati su youtube, poi gli appuntamenti e i links degli amici. Ogni pezzo è lavorato per bene, senza inseguire scadenze e senza sciatterie. Non manca lo spazio per narrazioni e foto sposate a riuscitissime didascalie.

Sul fronte lavorativo continuo a collaborare con la squadra di 90011 per il sito e per il magazine, oltre a continuar a dar ripetizioni. Il mio primo discepolo è riuscito a passare dal 4 fisso a un solo debito. E poi tre maturande m'hanno dato la possibilità di richiamar dall'oblio la filosofia, con - sembra - ottimi risultati.

Spedita pure la domanda per le supplenze di seconda fascia, attendendo un'abilitazione che ancora non si sa se prenderà corpo o meno. La città scelta è Treviso, ché la A037 è satura in tutto lo Stivale e solo al Nord Est c'è qualche minima possibilità di far quello per cui s'è a lungo studiato e faticato sui libri.

21/06/09

"Il mio nome è legione": buio caravaggesco e un'imperfezione per amare

Si passeggiava lungo via Dante tra piramidi di munnizza, in compagnia del buon Nino e mentre le pale meccaniche tentavano di riportare la situazione alla normalità, si parlava di letteratura. Che i libri se hanno un'utilità è proprio questa: servono quando il mondo s'accartoccia inevitabilmente su se stesso, sino a schiacciarci.  A consigliar classici per rimpolpar la faretra delle citazioni siamo tutti bravi. La faccenda si complica parecchio quando ti chiedono giovani autori, abitanti a te coevi della Repubblica delle Lettere.

Ho dovuto meditare non poco, tra il miasma della decomposizione delle vestigia della nostra epoca. E poi ho tirato le somme. Da evitare il celebratissimo "capolavoro" di Giorgio Vasta, che scriverà pure bene e insegnerà anche agli altri come si mettono in fila parole ma è solo una bella confezione, con copertina pluripremiata ma vuoto a rendere. L'attenzione agli anni Settanta da parte di tutti sti letterati sarà pure cosa buona e giusta ma lascia immobili e non indaga su questi anni, non offre appigli e ci regala le fantasime d'un'epoca che fu e che tanto danno fece. Non offre che vani riflessi d'auto in fiamme e gatti morti di cimurro.

E dir che nacque, a detta della stessa testa nuda di Vasta, in seno a un'altra opera nata dentro alla nostra BombaSicilia, quella "Tragedia negata" di Demetrio Paolin che inaugurò Vibrisselibri.

Tematiche analoghe ma diverso modo d'approciarle in uno dei primi testi che posso suggerire e/o imporre senza temer colpi di copertine sulla zucca: "Il mio nome è legione". Smilzo e densissimo ultimo lavoro di Paolin, pubblicato dalla Transeuropa dopo l'appello di Genna dell'anno passato, un perentorio "pubblicate Paolin!".

Che Genna sia bravissimo e insuperabile a trovar roboanti e desueti aggettivi e avverbi per rivestir la nudità nostra e delle nostre parole, è sotto gli occhi di tutti. Stavolta però ci azzecca consegnandoci un testo che incide le carni, sin dentro l'origine del male che ci accompagna. Con scene montate ad arte, come in un riuscito flashback. Immagini potenti che restano e lievitano: maestosa l'immagine dei figli che, alla morte del padre, danno finalmente l'antiruggine al cancello, lasciando riccioli di ferro in pasto al tempo. Perché "ci vuole un'imperfezione che ci permetta d'amare [...], lascio un'imperfezione e so che così potrò prendermene cura un'altra volta, in un altro momento".

Tutto il sottotesto, la riflessione sulle Br e sul silenzio di quegli anni è interrotto soltanto dal pianto urlato della madre del protagonista alla notizia dell'assassinio di Moro. Ritratto delineato con un linguaggio ch'è magma e latte nero da succhiar come Cimmone che, condannato alla morte per fame in carcere fu nutrito dal seno della figlia Pero al di là della grata. E tutto il romanzo è questo vedo/non vedo, come se fosse scritto in una grata di parole, con occhi tagliati dal sovrapporsi di sbarre arrugginite.

È un romanzo in cui non c'è spazio per anime che s'amano al di là delle nuvole. C'è spazio solo per corporeità declinate con pura e chirurgica attenzione: due down che si baciano incrociando, come tutti, le lingue; due cani che si buttano nel vuoto; la tragedia di Novi Ligure e la morte del padre e di un ragazzo biondo dell'oratorio. Quest'ultimo sceglie di morire in una cascina, vicino alla terra, bevendo fertilizzanti. Scelta non casuale e anticipata dal macabro intento di soffocare una colonia di formiche turando l'entrata del loro formicaio. Tutto in una scrittura tersa che trapunta d'un buio caravaggesco questi anni che "cadono irrimediabilmente".

Si passeggiava lungo via Dante tra piramidi di munnizza, in compagnia del buon Nino e mentre le pale meccaniche tentavano di riportare la situazione alla normalità, si parlava di letteratura.

Ché i libri se hanno un'utilità è proprio questa: servono quando il mondo s'accartoccia inevitabilmente su se stesso, sino a schiacciarci tra roghi di rifiuti in fiamme.  A consigliar classici per rimpolpar la faretra delle citazioni siamo tutti bravi. La faccenda si complica parecchio quando ti chiedono giovani autori, abitanti a te coevi della Repubblica delle Lettere.

Ho dovuto meditare non poco, tra il miasma della decomposizione delle vestigia della nostra epoca. E poi ho tirato le somme. Da evitare il celebratissimo "capolavoro" di Giorgio Vasta, che scriverà pure bene e insegnerà anche agli altri come si mettono in fila parole ma è solo una bella confezione, con copertina pluripremiata ma vuoto a rendere. L'attenzione agli anni Settanta da parte di tutti sti letterati sarà pure cosa buona e giusta ma lascia immobili e non indaga su questi anni, non offre appigli e ci regala le fantasime d'un'epoca che fu e che tanto danno fece. Non offre che vani riflessi d'auto in fiamme e gatti morti di cimurro.

E dir che nacque, a detta della stessa testa nuda di Vasta, come risposta a un'altra opera nata dentro alla nostra BombaSicilia, quella "Tragedia negata" di Demetrio Paolin che inaugurò Vibrisselibri.

Tematiche analoghe ma diverso modo d'approciarle in uno dei primi testi che posso suggerire e/o imporre senza temer colpi di copertine sulla zucca: "Il mio nome è legione". Smilzo e densissimo ultimo lavoro di Paolin, pubblicato dalla Transeuropa dopo l'appello di Genna del 2007, un perentorio "pubblicate Paolin!".

18/06/09

Legno, ferro e la tristezza dei sacchetti di plastica

Mia madre m'ha sempre raccontato un aneddoto, uno di quei ricordi che riannodano a doppio filo memorie che altrimenti andrebbero inevitabilmente perdute.
Riguarda mio nonno Biagio, ex meccanico della Marina Regia che poi per il resto della vita lavorò al tornio, crescendo generazioni di futuri tornitori.

Mio nonno viaggiò nei mari del mondo anni e anni, aggiustando i motori delle petroliere. E quando tornava nella sua Bagheria, nella casa del Corso aveva gli occhi pieni delle novità del mondo.
Quando vide il primo sacchetto di plastica lo rapì uno strano magone che scacciò il sorriso sincero che sempre teneva sul volto.

Mia madre lo ricorda bene, passeggiavano per strada e dall'emporio  uscì una signora con la busta di plastica invece della solita confezione di carta. E mio nonno capì e come Tiresia vide quel che non voleva vedere.
Sterminate pianure soffocate dalla plastica, dal polietilene che figliava dopo il successo dell'hoola hop con cui pure le sue quattro belle figlie si divertivano.

30/05/09

La città ti verrà dietro



Ho ripreso a scrivere quotidianamente, sull'amato 90011.it, il quotidiano on line di Bagheria. Una mano agli amici non si nega mai, soprattutto quando appena spunta il sole le lenzuola bruciano nell'istante in cui si concretizza la certezza che è vero: mio padre non è più con noi.

La notte scaccio i miei demoni con un'indigestione di divX (e senza temer smentite, posso affermare che Franklin è una minchiata inguardabile che ho mollato dopo 27 minuti, Transformers è un piccolo capolavoro e Wolverine Le origini è un buon film, fedele allo spirito dell'eroe unghiato anche se non troppo aderente alla continuity Marvel), non vedevo tanti film dai tempi in cui preparavo "storia del cinema". Ma è sulla carta che ho lasciato il cuore e, non preoccupatevi, qualcuna delle mie interviste spunta sempre fuori, sulle pagine del curatissimo 90011.magazine che malgrado la bella e curatissima veste grafica, gli articoli scritti benissimo e un attenzione unica per i lettori è ancora in fase di rodaggio.

Però voglio parlare del nuovo numero de L'Approfondimento, che continua a pubblicare i miei racconti che riscuotono un insperato successo anche nella mia città. Che Kavafis lo sapeva bene:
Hai detto: "Per altre terre andrò, per altro mare.
Altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina".

17/05/09

Mettendo assieme parole



Leggevo l'introduzione all'ultima raccolta di racconti di Stephen King, unico sfizio che mi concedo tra quei libri d'alto rango, schierati, impegnati che troppo spesso sono semplici e sterili introduzioni. Dalla prima all'ultima pagina non si trovano altro che premesse che a nulla conducono, dopo aver sciorinato azzardi sintattici e sfilze di coordinate.

King, almeno quello dei tempi d'oro, ha il pregio di narrare schiettamente storie, senza fronzoli e senza orpelli. E ha sulla coscienza più d'un macchiafogli che ha iniziato a scribacchiare per emularlo, coscientemente o del tutto ignaro.

La storia del professore precario di letteratura inglese che sfama i suoi marmocchi coi turni di notte alla lavanderia d'un motel e piazza fortunosamente racconti per riviste che si leggono con una mano sola... Tutto così dannatamente self-made man da risultare talmente costruito ad hoc che potrebbe pure essere vero. Come la scena con cui apre il nuovo libro: sua moglie Tabitha che gli sforbicia via la carta di credito, gesto che molti di noi dovrebbe trovare il coraggio di fare per non vedere al prossimo calendario spuntar toppe variopinte sulle proprie chiappe.

La chiusa è da manuale:
E ora lasciate che mi tolga di mezzo. Ma prima di lasciarci, voglio ringraziarvi per esserci. Scriverei ancora se mi abbandonaste? La risposta è sì. Perché mi sento felice quando le parole si assommano e l'immagine si forma e le persone inventate fanno cose che mi deliziano. Però con te è meglio, Fedele Lettore.
Sempre meglio con te.

Pure a me piace mettere assieme parole.

08/05/09

Il figlio del Maresciallo

Uno dei libri più belli che abbia mai letto sono "Le Correzioni" di Jonathan Franzen: l'ho ripreso in mano in questi giorni tristi e senza fine e ho riletto di Alfred, sceso nello scantinato con un fucile, un biscotto e l'immancabile poltrona blu. Davanti alla spirale di vecchie lampadine di natale, Alfred pensa al tempo che impietoso passa. Da una vita accumula oggetti fuori uso per ridargli vita, e con essa illudersi di poter sconfiggere il tempo:



Oh, il mito, l'infantile ottimismo delle riparazioni! La speranza che gli oggetti non si logorassero mai! La sciocca fiducia nel fatto che ci fosse sempre un futuro in cui lui, Alfred, non solo sarebbe stato vivo ma avrebbe avuto sufficiente energia per aggiustare le cose. La tacita convinzione che alla fine tutta la sua frugalità e la sua passione di conservatore avessero uno scopo, e che un giorno, svegliandosi, si sarebbe trasformato in una persona completamente diversa, con tempo e energia infiniti per occuparsi di tutti gli oggetti che aveva conservato, per mantenere tutto funzionante, tutto a posto.

Mi sono commosso. Perché mio padre faceva la stessa identica cosa. Sin dove arrivano i miei ricordi, c'è sempre lui che fruga nella nostra immondizia per salvare dal limbo della nettezza urbana oggetti che possono andare bene per altri cent'anni. Questo secondo la sua rosea prospettiva.

Io e la manualità ci siamo frequentati parecchio solo nei miei verdi anni. Dopo la corroborante crisi adolescenziale ho preferito occuparmi di parole e di altre laborosie inezie. Già, io e mio padre siamo complementari. Come il pane e il burro. La complementarietà è perfetta: a me le parole stampate, digitate, lette e amate, a lui i fatti, i chiodi, le viti e il cacciavite americano. Il mio omonimo nonno era falegname e mio padre era il suo assistente, il suo picciotto di bottega. Gli altri quattro fratelli hanno preso altre strade. Poi mio padre è partito a fare il finanziere nel nucleo alpino. Lì con la penna sul cappello, a cantare canzoni sconce che condivise con me solo dopo i miei 18 anni.

Tornato dalla Finanza si sposò con mia madre, la più bella figlia del meccanico della Marina Regia che quando sbarcò s'aprì un'officina. Capite bene, con questi presupposti mi verrà per figlio come minimo la reincarnazione di Archimede Pitagorico.

Mio padre era del '42, io dell'ottantadue, ci separavano quarant'anni. Quarant'anni in cui mio padre aveva messo da parte cose che ad aggiustarle tutte ci sarebbero volute sei vite. Ripenso a lui, ai suoi sorrisi, alle sue battute, al suo senso del dovere. Gli somiglio più di quanto creda: lui metteva da parte oggetti fuori uso, io libri da leggere appena ho un po' di tempo libero. Entrambi ci ritagliavamo il nostro spazio di salubre ozio accumulando qualcosa da fare per non trovarci sprovvisti di fronte all'eterno crepuscolo.

Me lo voglio ricordare con la sua divisa da vigile. La stessa con cui mi portò al primo giorno di scuola. Per non attirare critiche e note di demerito nel suo stato di servizio si fece mettere di turno alla mia scuola, per cinque anni di fila arrivavo a scuola nella Uno dei vigili. Me lo ricordo, non volevo lasciargli né la mano né il suo cappello bianco, pure che mia madre mi aveva rimpinzato lo zainetto di Masters perché aveva letto che per mitigare il senso d’abbandono basta anche un solo giocattolo amato. E siccome è sempre meglio abbondare che mancare, ci mise tutta la mia collezione.

Io ero riluttante, giorno dopo giorno, all’asilo, la maestra arpia mi toglieva He Man e Skeletor e li buttava sopra il suo armadietto. Lo faceva perché lei aveva altri libri a guidare le sue azioni. Forse i suoi sacri testi le dicevano che i bambini devono subito abituarsi alla cattiveria del mondo. So solo che non ci volevo andare manco ammazzato all’asilo. Meno che mai volevo passare in prima. E pure avevo studiato tanto per l’esame di primina, avevo superato un dettato su una barchetta di carta che sfuggiva a un vento maligno. Un dettato pieno di parole come becchettio, rollio, sciabordio… Però il primo giorno andò bene, giocai con Nicola e Antonio coi puzzle per cerebrolesi, quelli a dieci pezzoni macroscopici.

E mio padre, che m’aveva promesso sul suo distintivo che sarebbe tornato, mantenne la promessa. Come sempre ha fatto.

05/05/09

Arrivederci, papà!



Giovanni Pintacuda
(Bagheria, 6 novembre 1942 - Palermo, 3 maggio 2009)

30/04/09

Il presepe infinito



Sin dove arriva a scavare la talpa dei ricordi mi vedo bimbo panciuto a far presepi con mio padre, perché mia madre non si è mai accontentata di un solo presepe. Li adora e li colleziona. E dato che casa mia si espande su tre piani con cinque stanze per piano, ne facevamo almeno quattro: quello monumentale stava nella fioriera del salotto, uno mignon stava nella cucina (un presepe che mia madre aveva vinto ad una pesca di beneficenza quando ancora era una picciridda coi boccoli nerissimi), uno nella mia stanza (avevo investito così i soldi che la mia madrina di battesimo m'aveva regalato per la mia prima Comunione) e uno nella stanza dei miei.

Quello monumentale era un'utopia fattasi sughero e colla e carta e tanto, tantissimo nastro da imballaggio, quello marrone che se non tratti bene finisce per appiccicarsi dovunque tranne nelle due metà che dovrebbe sposare. Mio padre è stato sempre megalomane, una volta ne abbiamo fatto uno che era una torre di babele di cassette di frutta, quelle di legno in cui si mettono a maturare le arance. Pareva uno di quei paesini abbarbicati su un monte, con tutte le case e la vecchina che filava, l'uomo delle castagne, il macellaio, l'addumisciutu e perfino il pastorello col culo all'aria e con un pezzo di cacca che gli usciva dal deretano (quello mia madre lo ammucciava sempre e io dovevo rimetterlo nella zona più illuminata per rendere la scena più reale).

29/04/09

Per indovinare il corso della corrente


Non meravigliatevi se adesso leggerete d'un ragazzino, di gente non famosa, e di semplici avvenimenti. Per meglio vedere lo scorrere del fiume si getta un fascio d'erba strappata nell'acqua, e seguendone i fili, che ora lenti ora veloci se ne vanno dritti e di sbieco si può indovinare il corso della corrente. Io vi voglio mostrare il moto del tempo.


Viktor Borisovič Šklovskij, C'era una volta



Al primo giorno di scuola mi ci portò mio padre, quando ancora era maresciallo dei vigili urbani. Per non attirare critiche e note di demerito nel suo stato di servizio si fece mettere di turno alla mia scuola, per cinque anni di fila arrivavo a scuola nella Uno dei vigili.

Una Rete per acchiappar parole



Ho letto proprio ieri un interessante articolo sull'impossibilità materiale e morale di far siti per soli 500 euro.

Se uno riesce con pazienza e mantenendo la calma da bonzo a farsi pagare la grafica, se poi propone la sua opera di copywriter riceve risposte agghiaccianti.
Il risultato? Il cimitero di carcasse che infestano il web. Siti splendidi con pagine in perenne costruzione che mai si riempiranno.
E poi si lamentano pure che il sito non ha migliorato la loro situazione…

Vi lascio le belle parole di Vittorio Zambardino che gettano semi per fertili e future riflessioni:
«La tecnologia, quando non è piattaforma abilitante della comunicazione, non serve a niente. La forma tecnologica di oggi - come la carta 200 anni fa - è il simulacro di una relazione sociale nuova con il “popolo” che legge [...] La tecnologia è la “carta” che permette di raggiungere il nuovo pubblico laddove questo vive e pensa. Dunque impossibile ignorarla».

«Scrivi, ti prego. Due righe sole, almeno, anche se l'animo è sconvolto e i nervi non tengono più. Ma ogni giorno. A denti stretti, magari delle cretinate senza senso, ma scrivi».



A 24 anni sono andato dall'altra parte della Terra per scrivere, l'ho fatto imbrigliando i miei sogni prendendoli per le corna. Sono tornato tre mesi dopo e ho ritrovato mio padre reduce da quella che sembrava una semplice ma perniciosa polmonite.

Ho ricominciato a macinare le ultime materie, tutte le storie aggiunte alla fine di un calvario accademico per aver le carte in regola per l'abilitazione all'insegnamento. Sostengo tutti e cinque esami in quattro mesi, arginando un incombente depressione. Alla fine cedo. Il giorno della discussione di laurea quel relatore che credevo amico e maestro decide bene di lavarsi le mani, come aveva fatto il suo illustre collega con la mia migliore amica sei mesi prima.

Capita anche questo: prima ti spingono a coltivar autostima e libertà di giudizio, quella stessa che loro per arrivar dove sono hanno sacrificato. E poi ti sferrano la pugnalata dove fa più male, su quel pezzo di carne in cui l'hai lasciati aggrappare.
Lui che si vantava d'aver messo sul tergicristalli multe-poesie nelle auto in sosta, o sempre pronto a guidar una ruspa per tirar giù quella facoltà orrida e rosa salmone che gli enfia il conto in banca.
Parentesi chiusa. Resto solo, con le spalle al muro. E ad agosto mentre ripassavo sistematicamente tutta la storia e la filosofia, scopro che la scuola per la specializzazione all'insegnamento non sarebbe partita per non creare altro precariato.

Chi non ha provato mai la vera depressione può pure smettere di leggere che non capirà mai che cosa significa trovarsi terrorizzato dalla mitragliata di possibilità che la vita t'offre. Tutte decisioni che devi prendere senza tentennare, solo che aver già scelto con leggerezza una volta t'ha portato a ritornare sui tuoi passi, con una mano davanti e una sul didietro.

28/04/09

se non credi più a nessuno / niente crede neanche a te



Sono le cose più micragnose e insignificanti che impari ad apprezzare quando tutto cambia: le zuffe sul far della sera per chi vuol vedere Blob e chi le scazzottate irreali del vecchio barbarossa Walker Texas Ranger.

Scivolano giornate immutate a far la spola da casa sino a quella stanza, illudendosi che domani andrà meglio, che magari è l'ultimo prelievo, l'ultimo esame, l'ultima indagine coordinata tra vari reparti.

E l'indomani ricomincia, sembrano lontane anni luce le mattine passate al Comando dei vigili a timbrare e dattilografare le prime stentate narrazioni. Ere geologiche da quelle mattine di pace a divorar pizzette senza preoccuparsi di rotolini e maniglioni dell'amore. A ridere di gusto per battute vecchie come stegosauri...
Ma la vita continua...

26/04/09

Chiamatemi dottore

Ospedali, galere e puttane: sono queste le università della vita. Io ho preso parecchie lauree. Chiamatemi dottore.

Ogni notte, quando aspetto mia madre sul pianerottolo del terzo piano dell'ospedale, ripenso a quest'ultimo anno, a come si siano sgretolati sbilenchi presupposti che dovevano lanciarmi nell'empireo della carta stampata. Sono stato annorbato da vagoni di complimenti, con poco pelo nello stomaco per capir che gli altri hanno ben altre preoccupazioni che aiutar te ad emergere.

Ci voleva l'ultimo tassello, la damnatio memoriae sistematica e reciproca di quelli che chiamavo amici e maestri, capaci solo di prendere continuamente in giro, "ho per le mani un progetto... se va in porto il primo a cui avevo pensato eri proprio tu", o peggio ancora "ho visto che mi hai mandato il curriculum, complimenti, ma sei troppo quotato per vender assicurazioni sulla vita a scalcagnati padri di famiglia che manco tengono più gli occhi per piangere", e magicamente, nel frattempo han collocato zita, amante, amante dell'amante, cugino acquisito e figlio del vicino, che erano invece così poco quotati da essere perfetti e riciclabili per ogni dove.

Scotolando per bene, son rimaste le vere cose importanti, l'amicizia di due, al massimo tre amici che sono davvero e inspiegabilmente tali, malgrado la mia storica incapacità ad alzar cornette e parlar del nulla, son sufficienti quegli sporadici e non preventivati incontri per rafforzarci a vicenda. È rimasto pure quel cugino che è quasi fratello con tutta la semplice sicurezza che lui ripone sul futuro e sulla Famiglia. Quella famiglia che vacilla, concretamente incapace di tener testa alle difficoltà che i rampolli di ogni ramo si trovano a fronteggiare. Talentuosi come ogni dannato bipede implume che condivide il corredo cromosomico di quelle scimmie che scesero un dì lontano dagli alberi. Perché, amici miei, parliamoci chiaro, per qualcuno saranno le parole, per qualche altro i tratti di matita o la capacità di memorizzare battute, malattie, facce e soluzioni d'equazioni intorcigliate. Per qualche altro è semplicemente la fortuna a dar forma e sostanza a una buona eredità che non va dispersa perché si continua a investire e crescere e prosperare.

24/04/09

Mahna Mahna (manamana, Mah-Na Mah-Na)





Due euro per cento motivi

Scopro solo ora che quella da due euro è l'unica moneta che si può usare a fini commemorativi. Che ha pure il suo senso: ci hanno tolto Alessandro Volta, la Montessori e Bellini, altrettanti baluardi di sicurezza blu, viola e verde e, di tanto in tanto, fanno fare la stessa fine pure al naso di Dante.

Due euro... Che ci fai di sti tempi con due euro?

Prendi un vagone bisunto per giungere a Palermo?
Prendi due caffé e lasci quei due pezzi da venti centesimi per mancia?
Manco ti viene più la Gazzetta e il Giornale di Sicilia, con quei dieci centesimi che gravano sul prezzo del giornale che fa tutto esaurito in occasione d'arresti o quando c'è da scovar necrologi.

Forse ci paghi un "simpatico" posteggiatore perché rifar fiancate o sostituire copertoni costa qualcosina in più. Oppure t'infili in un negozio dove trovi tutto a 99 centesimi e compri un elfo viola con le orecchie a punta e un'inutilissima mini-sdraio per il cellulare.

Oppure finalmente t'illumini e fai la cosa più saggia, vai in un'edicola e compri il primo numero di 90011.magazine: 100 pagine fitte fitte con la squadra di 90011.it che hai imparato a conoscere e stimare che s'arricchisce di nuove firme tra foto di sicuro impatto, libri, inchieste, perfino la famigerata delibera 155 che il sonno ha tolto a più d'un bagherese.
E la meravigliosa graphic novel Munnizz, pensata e dipinta da Nico Bonomolo.
Ci trovi questo e tanto altro, e sono solo due euro: 2 centesimi a pagina.





15/04/09

Cuore di padre

tonino periodista by grenar

Oggi papà s'è alzato dal letto e s'è messo a raccontare di quando facevo l''inviato speciale in Sud America al fratello del suo compagno di stanza. Ha detto orgoglioso che quel giornale gli piaceva. La mamma gli ha fatto notare che forse il gradimento dipendeva dal fatto che su quelle pagine ci scrivevo io. E lui, malgrado il sondino e la tristezza che lo avvinghia quando cala la sera, ha sorriso.



Mi sono commosso e ho fatto quello che continuavo a rimandare: ho riunito in un unico file il mio "diario uruguayano".
Sono 101 pagine scritte in 3 mesi, a 24 anni, a 12000 km da casa.

Sono tornato giusto due anni fa, sono tornato e ho trovato mio padre ammalato...
E benedico la difficile scelta di non ripartire. Malgrado la conseguente depressione, gli scazzi, la rabbia dell'inazione e tutto il resto che da quell'atto è derivato. Perfino gli otto chili che mi sono spuntati sotto la cintura da quando ho smesso di fumare un anno fa.

Il file l'ho diviso in tre parti, ché tutto insieme era quasi 10 Mb.
La prima parte copre gennaio e febbraio, la seconda tutto marzo e la terza aprile.

Ho ritrovato facce, sensazioni, odori e sapori. E le altre cose che sono naturalmente rimaste fuori dalle pagine del giornale: l'amicizia con il ristoratore d'origini italiane del ristorante Ruffino, le belle chiacchierate per raffinar lo spagnolo con il cameriere del ristorante accanto alla redazione e soprattutto l'amicizia col portiere dello stabile in calle Misiones, Francisco, un gigante di quasi due metri col cuore puro di bimbo che m'abbracciò bagnandomi di lacrime un attimo prima dell'arrivo del taxi per l'aereoporto.

14/04/09

Bagheria morì all'improvviso


L'Approfondimento in occasione del lancio della nuova grafica editoriale ha pubblicato la novella a cui sono più legato. L'editing è stato curato da Domenico Di Tullio.


Ecco il pdf:  la prima e la seconda parte.


(La bella foto di Vincenzo Giammalvo è il migliore commento al nuovo volto di Corso Umberto I).

11/04/09

«finché prenderemo d'anticipo il mattino»



Andare dall'altra parte della Terra per tornare e capire che le stelle cadenti stanno tutte in un bacio forte di trentanove anni d'amore.

27/03/09

Comunicare dovrebbe essere il mio mestiere...

...sia quando scrivo per qualche testata, sia quando impartisco lezioni a somari d'ogni taglia e modello.


Però ogni volta che devo partorire un comunicato stampa la mia autopercezione si sfalda in tanti piccoli tonini, un po' come Woody nell'insuperabile Io e Annie, mi vedo giovane e inesperto aspirante giornalista.


Aspiro ancora a togliere la sedia da sotto il divin culo di D'Orrico, magari col naso un po' intasato dalla sinusite cronica, e - diciamocelo - giovane lo sono sempre stato un po' di meno, vicchiusu nell'animo e tendente da anni a quattro peli grigiometalizzati come il mio frigorifero e la mia ford fiesta.

I 420 fantasmi della 155



Saro babbo fatto e consato ma di sta cosa non ne sapevo nulla. E questo mi rende giulivo, la fame di lavoro non mi ha ancora impedito di prendere a coltellate la mia dignità.

23/03/09

La prima volta che l'ho fatto

Ieri ho liberato il mio primo libro.

Ho partecipato all'inaugurazione della nuova gestione del parco letterario Tomasi di Palermo e all'annessa esperienza di bookcrossing. Del bc ne avevo sentito parlare su Fahrenheit, si "libera" un libro e si mette in circolazione per seguirne il viaggio attraverso i commenti di coloro che l'hanno ritrovato e liberato a loro volta.

Era una versione pilotata:  Maria Teresa Camarda (che gestisce il parco insieme a Ginevra De Gregorio e ad Alessio Colli) ha spiegato le regole del gioco e ha messo un cestone su un tavolino della zona caffè. Per dare inizio alla versione panormita del bc si lasciava un libro e se ne prendeva un altro. Magari diametralmente opposto ai propri gusti letterari.

22/03/09

Di novità spiccatamente bagheresi, sciamani con coda di sirena e d'altre meravigliose idiozie

Naviganti, di cose ne succedono a bizzeffe.

La sfiga di mio padre e della sua cardiopatia la lascio sullo sfondo: dopo la preparazione per l'ennesimo intervento il cardiochirurgo giustamente deve maritarsi e inaugurare il talamo dopo un giro per il mondo.

BombaSicilia, lo sapete bene, è bella che andata. Novità si profilano all'orizzonte, corroborate dalla recente riunione dei bombasiciliani superstiti in nota cioccolateria panormita, alla vigilia del concerto del grandissimo Vinicio.

Sul fronte lavoretto-scrittura-giornalismo: alla fine ho ceduto alle lezioni private, in questi dieci anni ho studiato, scritto, fatto peripli del mondo conosciuto per tornare a far studiare le stesse cose che già avevo digerito dieci anni fa. Più scuro di mezzanotte non può fare?

Imminente la pubblicazione della seconda parte di quella novella che mi portavo dentro da una vita: Bagheria morì d'improvviso, potete recuperare la prima parte qui. Glisso sulla domanda che tutti mi fanno: se pensate che sono un vecchio professore sessantenne che lotta contro la mafia... non può che farmi piacere. Magari non lo sono ancora, ma un giorno correndo un po' di più, chissà!

Bagheria ha una libreria, una vera libreria, non uno scaffale della Sma o d'un'edicola. La gestisce la grande Liliana. E Roberto Alajmo ha presentato lì il suo ultimo delizioso libricino: Le ceneri di Pirandello, pubblicato dalle meritorie Drago Edizioni e illustrato da Mimmo Paladino. Ho avuto il piacere di intervistarlo e il frutto di quella chiacchierata lo troverete sul prossimo numero di 90011.magazine.

20/03/09

Nuova casa

Ricordo a tutti gli affezionati lettori di questo blog che adesso scrivo qui.

18/02/09

BombaSicilia è morta

Appare così da ieri il sito di Bombasicilia. Listato in nero e con un breve comunicato che annuncia la recente morte di un portale che ha vissuto anni di splendore, vero punto di riferimento per tutti i macchiafogli siciliani e non.

Certo, chi ne faceva parte non è rimasto con le mani in mano a vedere la Creatura agonizzare.

Qualcosa è quindi già in preparazione. A partire da un indirizzo mail (balzasicilia[at]gmail.com) presso cui potete scrivere per qualsivoglia evenienza.

(via Antonio Consoli)


17/02/09

Il colibrì e l'infinito






Il film è tutto giocato sulla simbologia del colibrì che nel suo volo infinito traccia otto coricati, che - guarda caso - sono proprio il simbolo di ciò che non ha fine.


Come diceva qualcuno: la fine è sempre un ottimo punto di partenza.


Da antologia: il vecchio colpito dai ben sette fulmini, l'amicizia col pigmeo, il capitano-artista e i suoi tatuaggi e il cane della vecchia che insegnò a Benjamin a suonare il piano.
Più forzato l'epilogo e l'inizio col racconto dell'orologio che andava all'indietro.


Non importa da che parte si incomincia, il senso di una vita sta sempre al centro.
Qui c'è una bella lettura del testo a cui il regista s'è ispirato

09/02/09

Evoluzioni



BombaSicilia s'avvia verso la definitiva archiviazione: sette anni son passati da quel pomeriggio d'ottobre del 2001. Sembra una vita fa, studiavo psicologia generale, un mese e una settimana prima di ritorno dalla passeggiata con la mia cagnolona avevano fatto implodere le Torri... C'erano ancora solo i siti in html statico, i blog dovevano ancora arrivare e c'era un piacere tutto nuovo a impaginare su quello sfondo giallo i nostri sogni figli di altrettanti insopprimibili bisogni.

Son passati sette anni e tre mesi e la voglia di giocare con l'alfabeto c'è ancora. Ci teniamo solo le iniziali, il gruppo lavora silente e costante alla nascita della nuova "BiEsse".

19/01/09

Tre gocce di zammù (9)

Minico non se lo poteva ancora spiegare perché gli s'era guastato il seme quando c'era da fare Piné, lui Rosalia l'aveva presa come sempre, senza variazioni e senza seguire le voglie malsane, aveva pure atteso che si rivestisse senza gingillarsi con quei due coppi di minne con cui lei l'aveva accalappiato. E Rosalia era una sposa felice: Minico la trovava ancora tanto bella da svegliarsi in piena notte per darle vasate appassionate, come quando s'erano conosciuti alla processione di San Tarcisio d'una ventina d'anni prima.

S'erano subito innamorati, a quei tempi Minico era il maniscalco di Comala, talmente bravo che la gente veniva sin dalle pendici del Mongibello per farsi ferrare i muli e i cavalli e tutti pagavano bene, tanto che coi risparmi accumulati i Battaglia avevano aperto l'omonimo forno dove Rosalia aveva cresciuto Michele, il loro primogenito, bello più d'Apollo, coi ricci biondi che gli cascavano sulla fronte liscia liscia. Michele era così colmo di bellezza che aveva fatto per quattro anni il Bambin Gesù nel presepe vivente e poi l'angelo in tutte le sacre rappresentazioni. L'unico difetto era la balbuzie che s'accentuava quando Caterina veniva a prendere a credito la pagnotta da mezzo chilo.

Pinè ora aveva venticinque anni, cinque lustri e ancora c'era chi giurava di sentire nelle campagne, all'ora degli spiddi, l'eco dell'urlo che la levatrice lanciò quando lo fece uscire da Rosalia.

Tre gocce di zammù (8)

La famiglia Battaglia portava ancora il lutto stretto e di fianco alla persiana e alle sue gelosie verniciate di verde bottiglia c'era la cartolina funebre "per il mio caro figlio" che oramai si leggeva a mala pena. Michele non aveva avuto manco un funerale, che don Calorio irremovibile fu: per i suicidi le porte della sua chiesa erano chiuse. E Don Minico Battaglia aveva stoicamente accettato, con tutto il rispetto che poteva portare alla tonaca del parrino, ma dentro di lui qualcosa si guastò. Smise di mangiare perfino lo sfincione e le sue promesse di oblio fradice di olio, mollica e primosale. A Comala lo sfincione era piatto nazionale, che lo sanno tutti che ogni comunità non ha bisogno di far provincia per cementare le sue abitudini in un alone di sacralità e patriottismo, spesso incomprensibili a chi viene da fuori.

Quando si favoleggiò che la Sicilia sarebbe divenuta la quarantanovesima stella della bandiera americana, fu Don Minico con tutta la sua autorità e la mole dei suoi centoventinove chili a proporre Comala come capitale e lo sfincione come simbolo da far campeggiare sulla bandiera del movimento autonomista. Ai bei tempi tutti gli portavano rispetto e nessuno s'arrischiò a ridergli appresso, che ad uno sfincione in campo giallo e rosso a spodestare la Trinacria mai nessuno aveva nemmeno osato pensare.

11/01/09

Tre gocce di zammù (7)

È tradizione che il presepe si faccia sempre la domenica prima dell'Immacolata e tutti assieme: si tirano fuori le pecorelle, i pastori, l'angelo che sventola il drappo in cui c'è scritto "Gloria in Excelsis Deo", lo scantato, l'addumisciuto e la vecchina che carda la lana, la lavandaia a cui saltò la testa e che era stata accomodata con quella di un'altra.

Qualche statuina è spizzicata, qualche altra ha visto giorni davvero migliori ma la plastica non ha mai tentato Pinuzza, i suoi pastorelli di terracotta li ha da quando s'è maritata e li erediteranno Caterina e Rossella. E poi la notte tra il ventiquattro e il venticinque sarà il momento del bambinello di cera che suo marito gli portò da Palermo, bastava mezzo giro di corda per vedergli muovere la testa e gli occhiuzzi dello stesso colore di quelli di Rossella.

Quest'anno avrebbe aiutato anche Carlo. Aveva dimostrato d'essere un bravo picciotto, rispettoso ed educato. Non era scappato quando qualche solerte comalese l'aveva informato della misteriosa sparizione del padre di Rossella, amava sua nipote d'un amore pulito, senza volersela portare chissà dove a fare le porcherie, sapendo bene che c'era una picciridda di mezzo.
Cucchiara incominciò a scodinzolare e a lamentarsi, quel canuzzo aveva uno stomaco su cui si potevano rimettere gli orologi, un po' come quello di Ninuzzo.

08/01/09

Tre gocce di zammù (6)

Carlo passeggiava sui marciapiedi del Corso Federico dal lato dell'ombra, che pure ch'era dicembre il sole picchiava sul borsalino. Si pigliò un caffè al bar Aurora e si accese una sigaretta con uno zolfanello.

Da quando suo padre s'era trasferito da Monreale a Comala la sua vita era stracanciata, aveva perfino smesso di correggere il caffè con la grappa e aveva detto addio alla facoltà di legge che nulla aveva accucchiato in sette anni di studi, giusto giusto diritto civile e filosofia del diritto. Tanto valeva passare ad ingegneria e iniziare a pensare di entrare nel bisinissi del mattone che tanti amici suoi aveva arricchito. Nel riflesso della vetrina della torrefazione s'aggiustò il cappello e il baffetto alla Clark Gable che tanto facevano ridere Caterina.

A Rossellina Carlo piaceva, le faceva fare cavalluccio e le portava sempre le rotelle di liquirizia che le facevano la lingua nera nera come il pelo del canuzzo che le aveva regalato, lei l'aveva chiamato Cucchiara perché quando Carlo l'aveva portato dentro una scatola di scarpe era talmente piccolo che dovevano dargli a mangiare con un cucchiaino. Fu amore a prima vista: dove c'era Cucchiara, trovavi pure Rossellina.

07/01/09

Tre gocce di zammù (5)

«Rossellina, lo vuoi un mottarello?»
«Minico, quelle cose confezionate lasciale agli americani e agli amici loro, che meglio del gelato alla nocciola del bar Carmelo non ce n'è»
Nell'emporio dei Lanzafame era arrivata un'alitata di progresso, dopo quasi cent'anni di resistenza a qualsiasi novità, accanto alle bottiglie d'anice comparvero di soppiatto le merendine e le patatine imbustate. Pinuzza sorrise sollevata: per fortuna quelle porcherie erano giunte quando già Ninuzzo era volato via dal nido, che altrimenti la pensione se la sarebbe scialata tutta in due giorni per riempirsi la panza di gelati da passeggio. A lei bastava un chilo di pane di frumento, un litro d'olio e una caciotta per saziare la famiglia tutta, assieme ai rigatoni col sugo di pomodoro e i biscotti col cimino che mai dovevano mancare.

«Prendo pure lo sciroppo alla menta e due chili di bucatini che domenica viene a pranzo Carlo e voglio fargli la pasta con le sarde e il finocchietto selvatico che mi portò mio cugino Saro».
La signora Pinuzza con un nipote quasi parrino e a tre anni dal fattaccio, poteva permettersi di squietare la curiosità di Minico Lanzafame, che avrebbe poi provveduto a diramare il bollettino con tutte le commarelle che l'avevano evitata negli ultimi tre anni, manco avesse la spagnola.

Tre gocce di zammù (4)

La signora Pinuzza iniziò a cucire biancheria di fino per i corredi delle comalesi prossime a maritarsi, così poteva far campare dignitosamente Rossella e Caterina. Ninuzzo ora studiava teologia a Messina e venne fuori che voleva farsi gesuita. Quella notizia portò una ventata di rispettabilità tra le mura dei Lo Cicero, tanto che i cugini che avevano smesso di andare nella casa del Corso ricominciarono a farsi vedere e a riempire di balocchi e dolciumi Rossellina che diveniva di giorno in giorno più bella.

Caterina si convinse che Ciccio era stato rapito da una donna di fuora che l'aveva visto bello, asciutto e gagliardo come Nembo Kid e l'aveva tenuto con sé a forza di incantamenti. Di sicuro Ciccio non lo sapeva che ogni volta che s'ammazzava una lucertola o un rospo si doveva dire a voce alta "pri serpi t'ammazzu, si si' donna m'arrispunni" e così la donna di fuora se l'era scinnuto in mezzo ai diavoli della Zisa che nuddu mai riuscì a contare. A questi pensieri sputò tre volte per terra e si stricò per bene sulla fronte la coda di lupo che una volta Ninuzzo gli aveva portato di ritorno da un'andata a caccia con gli amici suoi.

06/01/09

Tre gocce di zammù (3)

Caterina aspettò a lungo sotto la pioggia, sulla straduzza del cimitero, accanto all'ossario in cui Ciccio l'aveva fatta donna e donna tutta. Aspettò pure lì le notti passare, che il beccamorto Agostino la vide e la lasciò fare in memoria dell'amicizia che aveva stretto con il nonno suo durante la guerra coi tedeschi. E i giorni si fecero settimane, e le settimane divennero fogli di calendario. La panza cresceva senza premura e crescevano pure le minne che tanto danno avevano fatto.

E siccome i diavoli e le malelingue mai dormono e tutto scombinano, la gente s'incominciò a stancare di Caterina, che le veglie e la gravidanza mal curata l'avevano fatta sfiorire presto. In un'altra storia Michele l'avrebbe impalmata, magari prima che la panza sollevasse troppo l'abito bianco, ma a Comala una fimmina che aveva già conosciuto i piaceri di sotto il viddico era bollata per sempre, solo le altre fimmine della sua casata e i parrucchieri arrusi potevano continuare a parlarle come se niente fosse. Tutti gli altri comalesi la dovevano lasciare stare. E così fecero.

Tre gocce di zammù (2)

Ninuzzu cresceva in diametro, colesterolo e quoziente intellettivo, mentre sua sorella Caterina diventava la più bella picciotta del paese, attirando orde di masculi da tutti gli ottantadue comuni della provincia di Palermo. Cresceva pure la distanza tra la Germania e Comala e pian piano le lettere dei genitori divennero sempre più rare, si venne poi a sapere che l'aria teutonica aveva sfasciato il matrimonio di Sara e Pitrino, che si separarono senza troppi strepiti. In quegli anni c'era un'aria strana pure a Comala, succedevano cose di cui nessuno capiva bene il motivo: spariva gente, sempre di più.

Una mattina Don Calorio, il parroco che passava le domeniche a far predicozzi lunghi, barbosi e pieni di livore per il progressivo degrado della sua comunità - omettendo che lui stesso contribuiva a quel degrado prestando picciuli con interessi da cravattaro, camminava intabarrato nella tonica lacera e ripizzata lungo il Corso, tutto intento a riscuotere gli interessi settimanali dei suoi investimenti, quando vide Caterina con il viddico di fuori che si ammuccava senza pudore col figlio di Tano Battaglia che, dato che c'era, le dava pure una bella sistemata alle minne.

05/01/09

Tre gocce di zammù (1)

Dove si narra dell'appettito di Ninuzzo e di due negozi di Comala


«Sangu miu, che stai facendo?» disse la nonna aggiustandosi la vestaglia.
«Guardavo la processione di San Tarcisio dal finestrone... Lo sai che hanno scelto il mio amico Micheluzzu per la volata degli angeli? Se non avessi 'sta panza magari sceglievano pure me».
E la nonna sorrise storta ripensando a quando la buon'anima del nonno s'era arricampato dal fronte che era ridotto a quattr'ossa col pantalone tenuto su con lo spago duro, che solo la guerra ti insegna davvero cos'è il pititto. La fame lo sbranava dall'interno, di notte, quando faceva ancora più male e aveva tanta voglia di addentare qualsiasi cosa che non riusciva nemmeno a chiudere gli occhi. Provava allora con le pagliuzze della seggiola ma niente da fare, le gengive sanguinavano e perdeva un dente dopo l'altro.

Mandò via quell'immagine del marito affamato e ritornò a pettinare il nipotino che aveva una pancia tonda tonda e gli occhi buoni. «Non ti preoccupare, Ninuzzo, questa tutta altezza è».

03/01/09

Tre gocce di zammù

[caption id="" align="alignright" width="138" caption="venditore di acqua e anice"]venditore di acqua e anice[/caption]

La nonna ci tirava su ad acqua fresca e tre gocce di zammù, l'anice che la ditta Tutone imbottigliava ininterrottamente dal 1813, da quando Bolivar s'era preso Caracas e tutto il Venezuela. Sta connessione tra l'anice e il Sudamerica era uno dei cavalli di battaglia del nonno che in Venezuela aveva due fratelli e tre cugini che erano andati a cercar fortuna lì, sognando di divenir ricchi tanto da farsi il pediluvio e il bidè col petrolio.

Quando la fame rummuliava negli stomaci il beccuccio dell'oliera d'acciaio tracciava generose scie d'oro sul pane appena scaldato sulla piastra della cucina economica che divorava ciocchi d'ulivo e di limone.  Dopo la merenda c'era il riposino obbligatorio che durava sino all'ora di Dallas da vedere in ossequioso silenzio che l'alternativa era la mitragliata di sculacciate col battipanni di canapa intrecciata.