30/06/03

Sì, ci sono libri che ti segnano a vita. Lo dicevo qualche post fa. Stavo riflettendo: oltre che macchiafogli e tastiera-dipendente sono anche un lettore famelico e, credetemi, quella panzana di Baricco sul nesso sconfitta-lettura non la digerisco proprio. Chi legge è uno sconfitto dalla vita che rischia solo così, girando pagina per non sporcarsi di gocce di vita. Baggianate! Leggere è immergersi in un mondo fantastico. Oltre il tempo, oltre lo spazio. Prendiamo uno dei frammenti di quei libri che mi hanno macchiato l'anima:


Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed è grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede, e così la sua fede consuma, celebra la certezza. Ma dopo che farebbe con la certezza? Dopo uno conosce le offese recate al mondo, l’empietà, e la servitù, l’ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza? Che farebbe? Uno si chiede. Che farei, che farei?


é Elio Vittorini nella sua conversazione in Sicilia. Ora così, sulla scia delle emozioni, lascio qui un racconto sgocciolato troppo tempo fa sulla mia tastiera.


LE 3 PAROLE MAGICHE


Ti capita quella mattina che pizzichi e spizzichi la lente a contatto senza ottenerne collaborazione. Te la spiaccichi contro la pupilla e lei preferisce starsene comodamente appollaiata sul tuo polpastrello. A Tonino era capitata una di quelle mattinate. Alla fine uscì di casa col naso pesante dei suoi vecchi occhiali, le ascelle che rilasciavano piano piano tracce di Axe e la gola ancora zuppa di collutorio. La strada era sempre quella, s'imboccava via Morana e i piedi seguivano quel tragitto troppo noto senza comunicare col cervello. Masticava le sue tre parole magiche e senza neanche accorgersene era già al Liceo. Arrivava ogni giorno con un ritardo variabile, tutto dipendeva da quelle maledette lentine. Oggi aveva sforato di una buona quindicina di minuti, non c'era nessuno a sfumacchiare marlboro sul marciapiede. Aveva perso tutto quello che c'era da perdere, solo le tre parole gli restavano e per questo continuava a ripeterle, per non restare ancora più solo.
Salutava con distacco i suoi compagni, un breve cenno alla professoressa di turno e una scusa farfugliata prima di precipitare dentro quelle sei ore che ti scorrevano lente e distanti. Tutti i concetti che scaccolavano fuori dalle bocche laureate chiedevano almeno un minimo d'attenzione. Tonino restava prigioniero della seconda fila con in testa le tre parole che piroettavano felici. I richiami di questa o quella professoressa lo strappavano via per un solo istante, bastava poco per ritornare lì. Nessuno lo sapeva, pensavano che era un ragazzo strano ma niente di più. Al suo compagno di banco bastava scopiazzare dalla sua versione di latino, ai professori che sapesse vomitare concettismi se interpellato e riempire le colonne di un tema. La campanella della sesta ora aveva assassinato anche quel giorno, Tonino poteva tornare da loro, era a casa. La casa dei suoi genitori non riusciva a sentirla sua, sembrava che quei muri lo tenessero prigioniero, lo soffocavano gocciolando ducotone. Per andare via di lì non bastava la patente o i diciott'anni, quell'angoscia ti avrebbe seguito sino in capo al mondo. C'era solo un modo e lui lo sapeva. Gli bastavano le sue tre parole magiche, solo quelle.
Il pranzo era una farsa, la madre gli chiedeva cose che non le interessavano e lui rispondeva con parole vuote e sorrisini d'occasione. Un giorno o l'altro gli sarebbe andata di traverso la pastasciutta e rantolante, boccheggiando forse avrebbe visto suo padre reagire finalmente a uno stimolo esterno. Poteva finalmente alzarsi dalla tavola e scendere nella sua stanza, si rintanava lì, provava una decina di diverse posizioni e slacciandosi le scarpe sistemava la luce ideale. Iniziava la sua magia e sussurrava le sue tre parole magiche, sull'ultima sillaba entrava in quell'ignoto mondo. Vagava con le orecchie piene di voci sconosciute, schiudendo gli occhi miopi a nuove percezioni. Il cielo aveva nuove sfumature e le nuvole lo cullavano sospirandogli la vecchia magia che aveva afferrato da piccolo. Il tempo lì era strano, qualcosa che passava in secondo piano e certe volte scompariva rapito da una lumaca che lo nascondeva dentro la sua conchiglia. Altre volte un cane nero correva veloce e acchiappava tra i denti bianchi minuti, ore, mesi. Correva lontano e scavava grosse buche in cui faceva sparire i figli del tempo.


"Tonino è tardi! Non devi studiare? Perdi tempo prezioso!" la voce di sua madre lo risucchiava via, lo strappava da quello strano, ignoto mondo per riconsegnarlo alla grigia realtà. Lei aveva dimenticato quell'incantesimo, lei che glielo aveva insegnato!
Tonino non voleva dimenticare e le ripeteva senza fermarsi come le parole di una vecchia canzone che ti s'incollano in testa e non riesci più a scrollartele via. Lui non voleva perdere l'unico accesso, l'unica chiave per quell'universo di luna.
"IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE" lo diceva ed era vero. Amava avventurarsi lungo capitoli che graffiavano il cielo del magico mondo della lettura, adorava guadare il fiume d'inchiostro saltando di libro in libro, arrampicarsi su per le virgolette che imprigionavano e le parole di personaggi che si staccavano dal testo e vivevano. Non si sarebbe mai stancato di giocare a rimpiattino con la lumaca e il cane nero dai denti bianchi, li avrebbe cercati e non avrebbe mai svelato il loro segreto. Ancora per molti anni avrebbe assistito in diretta a quel miracolo che si rinnovava giorno dopo giorno, ogni volta che apriva la copertina di un libro e con la bocca traboccante delle sue tre parole magiche avrebbe rivisto quel cielo dove gli aquiloni volavano liberi, volavano senza fili, volavano come lui stesso riusciva a volare.

  Ed ecco il bannerino per linkare i miei dicotomici furori

29/06/03

Ulisse, lumache e cioccolatini


Un Jesù Punk, un rappresentante di articoli per suicidi, tanto buon rock e una grande storia d'amore... by Tonino Pintacuda


Ecco la nona scheggia... Per riprendere il filo qui ci sono le puntate precedenti: Intro (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)


Nono


"Svegliati ragazzo, devo passare l'apirapolvere... Sveglia!" una voce strappò Ulisse dal sonno che era calato sui suoi pensieri. Doveva essere la maschera del teatro, la sala era ancora buia. Di Nicodemo nessuna traccia, anche lui scomparso.
La maschera lo guardava con due piccoli occhietti che sembravano verdi nel fuoco fatuo della lampada che teneva in mano. Le luci si accesero e Ulisse vide la sua faccia tra la barba rossastra che gli copriva le guance. L'aveva già visto, n'era sicuro. Non domandò nulla, s'alzò dalla sedia scotolandosi le briciole di popcorn e gettando nel cestino il bicchiere di coca cola che qualche baciapile gli aveva appeso sul pene.
Osservò i quadri che riempivano le pareti della sala, girasoli, dovunque maledetti girasoli. I girasoli si trascinavano dietro il più strano deja-vù della sua breve vita. Qualcosa che aveva a che fare con la maschera che l'aveva svegliato. Si girò e lo cercò. Inutile, era ancora più solo e Lisa era così lontana. Non trovava più la porta, tutte le pareti erano cieche, nessuna finestrella, nessun abbaino, nessun buco per topi. Solo solidi blocchi di tufo tirati su a cazzuolettate di calce e cemento. Il palco non aveva le quinte e nessuna porta laterale. Era prigioniero di quella stanza e aveva pure fame.
L'avventura continuava e lui era così stanco con in testa la faccia di Lisa che gli urlava aiuto. Doveva schizzare fuori da quella canzone di Battiato prima del ritornello. Di JC poteva anche fare a meno. Non era troppo sicuro di niente ma amava Lisa e Lisa era la sua priorità assoluta. Il resto poteva benissimo aspettare. Non c'erano porte ma da qualche parte sentiva uno spiffero. Non era Mc Giver ma se la sapeva cavare sempre in ogni caso. Guardò tra le fila del teatro, tra le cartacce e i popcorn c'era un rivoletto di coca cola che scendeva verso un piccolo forellino. Staccò la spina d'un portalampada e incominciò a martellare il pavimento. Indiana Jones non avrebbe saputo fare di meglio. Si ritrovò sudato e con la mattonella di marmo appena spizzicata. Doveva trovare una soluzione, non poteva più restare lì. Il telone era attaccato al solaio, s'arrampicò sulla stoffa pesante facendo leva sulla braccia. Arrivò in cima tutto sudato con una tosse piena zeppa di polvere. Trovò una scala e vi s'arrampicò.


C'erano tre sentieri con tutte le corde delle scenografie e con i contrappesi che sembravano tanti impiccati marciti al sole. Sarebbe tornato da Lisa, se lo sentiva. Ripescò nella sua testaccia tutto quello che gli avevano insegnato i film. Quei sacchi di sabbia compaiono spesso nei copioni. O finivano in testa all'antipatico di turno o servivano come spinte ascensionali. Bastava tagliare qualche corda. Aveva solo le unghia e i denti. Rosicchiò come un vecchio topo sdentato sputacchiando canapa e polvere e sudore. Dopo qualche ora e vari tentativi sbagliati, azzeccò la corda giusta e s'aggrappò all'altro capo. Finalmente la sua fatica portò qualche risultato. Un bella vetrata riempiva la parete, una vetrata che aspettava solo di essere violata. Si dondolò sulla corda ululando come un coyote e con un calcio ben assestato si fratturò tre o quattro dita dei piedi. La vetrata era blindata. A Mc Giver ste cose non capitavano mai. Aguzzò l'ingegno mandando a fanculo tutte quelle perle hollywoodiane, meglio fare affidamento solo sul cervello. Sto vetro non poteva essere incastonato direttamente sulla parete, era stato installato successivamente, magari con un bel telaietto d'alluminio con quattro viti parker per lato. L'intuizione era giusta ora ci voleva un coltellino svizzero o un bel piede di porco. Si guardò in giro ancora appeso come un salame a quel mozzicone di corda. Niente d'utile al suo piano di fuga.
Le viti erano state avvitate alla perfezione e lui non aveva niente neanche per allentarle. Ispezionò tutto il perimetro della vetrata e poi decise di riscendere alla ricerca di qualcosa per forzare quella maledetta finestra. Scese ustionandosi le dita spellate dalla corda e nessun'intuizione fece capolino tra i capelli. Si mise a fischiettare quella canzone degli U2, With or without you era la loro canzone. La canticchiò sottovoce con gli occhi chiusi e finì di nuovo tra le sedie scomode e sudate. Alcuni girasoli erano di cartapesta. Finalmente l'epifania che aveva tanto aspettato! Aveva un cugino di sette anni che l'obbligava a sorbirsi tutte le puntate dell'albero azzurro. Quel maledetto uccellaccio spennacchiato ripeteva ogni due minuti di farsi aiutare da un adulto e Ulisse era abbastanza grande da usare una bucafogli e una spillatrice. Il cuginetto gliel'aveva sempre detto, qualche volta Dodò l'avrebbe aiutato. Ed era vero. Colse una decina di girasoli cartapestati e li spogliò sino all'anima di fil di ferro. Stava raccogliendo l'ultimo quando s'accorse che dietro quel campo di fiori c'era una piccola porticina, era proprio lì, dietro un cespuglio di gesso. Era solo una botola di 50 cm per lato ma era la via di fuga ideale. Prese tutti i bicchieri di coca cola con qualche rimasuglio e si innaffiò di bibite per ridurre l'attrito con le pareti del cunicolo. Strisciò come una biscia tra la curiosità unanime degli scarafaggi. Qualcuno ne approfittò per zampettare tra i capelli e sgranocchiarsi qualche granello di forfora. L'attraversata sembrava non finire mai, sinora aveva solo guadagnato merda di topo, ematomi multicolori e lacerazioni multiple e nient'altro. Non poteva neanche fare marcia indietro, sarebbe morto lì pensando a Lisa e senza mutande.


Lisa lo aspettava, doveva tornare da lei, riabbracciarla, perdersi nei suoi baci e fuggire via da quella maledetta Bagheria, da quel maledetto cielo maligno e da quella stupida apatia che cala come mannaia. Sarebbero scappati via a bordo della Renò con il serbatoio pieno oltre misura con la colonna sonora sputata dal mangianastri. Magari quel bastardo del pater di Lisa avrebbe appiccicato le loro foto segnaletiche a ogni casello ma loro ce l'avrebbero fatta. Non potevano fermare i loro sogni, nessuno aveva impedito al capitano Achab di affondare insieme alla sua chimera bianca. Magari avrebbero chiesto un passaggio al biplano di Donald Shimoda o sarebbero planati sui sogni di qualche bimbo che faceva volare il suo spensierato aquilone. Sarebbero stati finalmente felici, Ulisse libero con gli occhi negli occhi di chi ama e Lisa con un sorriso mentre tutti i tubetti di colla del mondo aspettavano nuove rotture. Sarebbero stati felici, felici come non mai a spingere il macigno su quella collina che è già montagna, una montagna sempre più alta e loro a spingere sempre più su, spingere assieme l'eredità di Sisifo. Sisifo che aveva giocato anche la morte, ubriacandola di parole e per qualche tempo nessuno poteva più morire. Giove aveva perfino smesso d'inseguire procaci ninfette, aveva spacchettato la nera signora e aveva regalato a quel furbastro quella punizione che continuava ancora oggi. Come se non dovessimo mai morire, lo diceva sempre a Lisa, come se non dovessi mai più tornare a casa.
Lisa lo stava aiutando e lui si impegnò con tutta la forza di cui era capace e alla fine ci riuscì.


Ulisse era nato un'altra volta, sputato via da quel budello di pensieri. Si girò a guardare quel tunnel: erano solo una trentina di centimetri che s'erano dilatati innaffiati di sconforto.

28/06/03

Siamo arrivati a 6400  visitatori. Grazie a tutti gli allegri ragazzi morti™ . Beccatevi pure un dicotomico sorriso...

Lunedì: ultimo esame della sessione estiva...



Filosofia morale


(Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione)


Prof. Sandro Mancini


PROGRAMMA a.a. 2002/2003


Argomento del corso


Dal "sogno di una cosa" alla critica dell'economia politica: la filosofia della prassi di Karl Marx


 


 I Modulo:  Inquadramento critico del pensiero marxiano, enucleazioni delle sue fonti filosofiche, analisi degli scritti giovanili


 II Modulo: I cardini teorici della critica dell'economia politica


 III Modulo: Il primo libro de Il capitale


 Testi


I Modulo


1) K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, pagg. 69-188.


2) ID., Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, in K. Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti, pagg. 91-110.


3) 5) ID., Tesi su Feuerbach.


4) K. Marx - F. Engels, L'ideologia tedesca (Prefazione e Sezione I: Feuerbach, Editori Riuniti, pagg. 3-70. Il testo della prima sezione è stato pubblicato dal medesimo editore, col titolo redazionale La concezione materialistica della storia).


 II Modulo


1) K. Marx, Per la critica dell'economia politica,  Prefazione, Editori Riuniti, pagg. 4-8.


2) ID., Salario, prezzo, profitto, Editori Riuniti, pagg. 6-14, 55-114.


3) ID., Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (Grundrisse), La Nuova Italia oppure Einaudi. Brani scelti dai quaderni M, I, II, III, IV, VI, VII (Nell'edizione La Nuova Italia: vol. I, pagg. 3-40, 96-120, 223-275, 277-299; vol. II, pagg. 59-94, 387-411, 454-473).


III Modulo


1) K. Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti:


- Prefazione alla I edizione e Poscritto alla II edizione, pagg. 31-45;


- Prima sezione: cap. 1, pagg. 67-115; cap. 2, pagg. 117-125; cap. 3, pagg. 127-177;


- Seconda Sezione: cap. 4, 179-209;


- Terza Sezione: cap. 5, pagg. 211-232;


- Quarta Sezione (intera), pagg. 351-553.


 


Letture introduttive opzionali


Oltre alla lettura del Manifesto del partito comunista, per un primo approccio al pensiero marxiano si consiglia la lettura della Introduzione a Marx di Bedeschi, nella collana arancione "I filosofi" di Laterza. Per un inquadramento più analitico si consiglia la lettura del primo volume della Storia del marxismo, Il marxismo ai tempi di Marx, (in particolare pagg. 5-153: i saggi di Hobsbawm, Mclellan, Vilar, Dobb). 

26/06/03

Fino al 1982 la mafia non esisteva per la legge. Erano stati uccisi a decine tra magistrati, giornalisti, forze dell'ordine e uomini politici. Ma le sentenze, quando e se arrivavano erano sempre uguali: assoluzione per insufficienza di prove.

Dopo la metà degli anni ottanta un piccolo gruppo di magistrati e poliziotti riuscì ad assestare colpi durissimi all'organizzazione criminale, mettendo a punto leggi importanti come quelle sui pentiti e sulla confisca dei patrimoni mafiosi.

Sono morti quasi tutti anche loro per il loro coraggio e la loro determinazione.

Lo Stato risponde con impegno e con durezza, vara la legge che prevede con l'art. 41/bis il carcere duro per i mafiosi. La mafia ancora una volta reagisce con la strategia stragista nel '93.

Da allora fino ad oggi l'Italia della mafia ha vissuto e vive una fase di calma apparente.

E ora, proprio ora, è il momento di porsi interrogativi, di sollevare dubbi e soprattutto è importante non dimenticare.


BLU NOTTE - MISTERI ITALIANI

"La mattanza"
Dai silenzi sulla mafia al silenzio della mafia

25/06/03

Il tempo delle ICS


Mi hanno detto che fare una ics nei numeri del calendario denota un pessimismo radicato. Sarò pure pessimista ma io ne faccio una piccola piccola col blu della punta scalpello-indelebile-scrive su tutto del tratto MARKER. Lo faccio da quando avevo nove anni. Ho iniziato quindici giorni prima del mio decimo compleanno. Me l’aveva consigliato mia madre, forse per tenere a freno la frenesia che m’aveva preso: bruciavo dalla voglia di avere un’età a due cifre, un’età da “grande” . Sarei stato abbastanza grande da tenere anch’io il telecomando, bè, chiaro, se non c’era nessuno più grande di me nei paraggi del televisore del salotto. Poi ho continuato con tutte quelle ics, così, per accorciare i giorni che mi separavano dalle vacanze sparpagliate negli otto mesi di scuola. E mia madre mi ha sempre detto che s’impara sempre qualcosa di nuovo ogni giorno: quindi quelle ics erano buone pure per tenere il conto di tutte le cose nuove che sapevo. Mi bastava sfogliare al contrario i fogli del calendario di Topolino e Pluto per contare quante cose nuove sapevo, ed erano tante…


Di sicuro il concetto di TEMPO l’ho cominciato a capire proprio con le mie ics blu, di sicuro non mi prendevo un benino piccolo piccolo nella ricerca che la maestra m’aveva dato per le vacanze. Il titolo era chiaro: IL TEMPO. E io avevo passato tutte le vacanze a riempirmi gli occhi e la testa con i cartoni dell’Uomo Tigre e di He-man. Lo facevo per equilibrare tutte quelle sdolcinatezze (forse a quei tempi nemmeno la sapevo sta parola) che mi faceva obbligatoriamente assorbire mia sorella. A otto anni e mezzo sapevo tutto di Candy Candy e della casa di Pony, potevo ripetere a memoria il giorno di pioggia che Andrea e Giuliano incontrano Licia per caso e la mitologia non aveva segreti per merito di poro-poro-Pollon combinaguai… Ai tempi non pensavo che erano cartoni da “finocchi”, il finocchio per me era solo quell’ortaggio che mia madre metteva nell’insalata e che serviva per non ruttare lo sfingione di Natale. Che finocchio voleva dire omosessuale l’ ho capito solo a tredici anni in una PAUSA_CESSO, il Grande Francesco Paolo le chiamava così le ricreazioni. Le chiamava Così perché andava sempre a cacare all’intervallo e, dato che era già lì, si fumava o almeno provava a fumarsi le sigarette che rubava dal pacchetto di sua madre. Se ti comportavi bene e non facevi commenti sulle puzze di Francesco Paolo, potevi aspettare dietro la porta del cesso e il Grande in cambio di consistenti parti della tua merenda ti illustrava le meraviglie del SESSO. Sì, Francesco Paolo era un esperto, almeno in teoria. Aveva due sorelle adolescenti per casa, due casi clinici per i suoi attenti occhi e, ogni volta che andava a buttare l’ immondizia, si teneva per sé le copie di Cioè e di Ragazze al Top che le sue sorelle avevano letto e riletto. Lui passava i suoi pomeriggi a catalogare gli articoli tra una partita e l’altra di Super Mario, li raccoglieva in una carpetta dove aveva scritto Top Sicret, come aveva visto in qualche telefilm poliziesco. Poi ci rivendeva quella sapienza per mezza ciambella Mister Day o per quattro Ringo al cioccolato (quelli alla vaniglia non gli piacevano). Io avevo una sorella, quindi avevo già capito tutta la trafila degli assorbenti e del nervosismo pre-mestruale. Certo, non capivo bene dove fosse l’uovo in tutto quel casino che faceva Simona in bagno. Ma era uno di quei dubbi che mi tenevo per me, penso che mio padre ne sapesse meno di me e non volevo farlo sentire impreparato e con mia madre mi vergognavo troppo. Avevo solo capito che le galline avevano tutti i giorni il loro ciclo. Io volevo solo vedere l’uovo di mia sorella, mica volevo una ferrari fuori serie o un calendario con le tette di fuori… ma pensavo solo che mia sorella era molto più grande di una gallina e che quindi il suo uovo poteva bastare per almeno quattro frittate… solo una sbirciata. Francesco Paolo per mezza pizzetta e un succo di pera mi aveva detto tutto sugli “invertiti”. Io c’ero rimasto un po’ perplesso e lui per farmi capire meglio il concetto aveva detto che dipendeva tutto da come si mescolavano l’ uovo della femmina e lo SPERMA – lo diceva proprio così, tutto maiuscolo- del padre. Qualcosa andava storto nella “lambada orizzontale” – questa di scuro l’aveva presa da suo padre e gli piaceva sempre un sacco metterla nelle sue lezioni -, per sbaglio nasceva una femmina nel corpo di un maschio, gli mancava il concetto di lesbica… bè, si vede che Francesco Paolo non era poi così grande… Io ero ancora più perplesso, pensavo a quella povera femmina e all’unico posto possibile da dove poteva uscire il suo uovo in un corpo maschile… Mi diceva che avrebbe aggiunto altri particolari alla prossima PAUSA_CESSO e, dato che la sua risposta era incompleta, lui, salomonicamente mi aveva ridato il cozzo mezzo mangiucchiato della pizzetta e il fondo del succo di pera: era Grande e Giusto Francesco Paolo. Mi aveva salutato aggiungendo qualcosa mentre pisciavamo negli orinatoi a parete – erano accanto ma tutte e due guardavamo in alto, mica eravamo due di  “quelli” -, aveva aggiunto che “loro” si riconoscono” facilmente dai loro gusti televisivi: “loro” preferivano quelle cose smielate come Kiss me Licia, Lady Oscar, Haidi… Cavolo, c’ero rimasto male, molto male. Non l’ avrei detto manco se mi strappavano tutt’e dieci le dita delle mani con una tenaglia arrugginita e rovente, ma a me quelle storie mi sembravano belle, più reali dell’Uomo Tigre e di He-man. Dico: nessuno che si accorgeva che quando spariva Naoto c’era Tigre e viceversa? Nessuno vedeva  che He-man era il Principe Adam in mutande con i pettorali lucidi di auto-abbronzante?


Mi sono lasciato un po’ prendere la mano, ritorniamo a quella famosa ricerca… Avevo visto cartoni sino al giorno prima dell’ultimo giorno di vacanza e, come sempre, l’ultimo giorno io e mia sorella avremmo passato la notte per fare tutti i compiti del diario. Io avevo solo una decina di problemi sull’ area del pentagono e dell’esagono e quella ricerca sul Tempo. Mia madre aveva già preso il sesto volume dell’enciclopedia dalla copertina verde marcio: dalla esse alla Zeta più le tavole a colori. S’era letta tutta la definizione di Tempo e poi, come sapeva fare solo lei, aveva messo due ics rosse all’inizio e alla fine di quello che io dovevo copiare in calligrafia sul mio quadernone dei Puffi. Avevo scritto in alto IL TEMPO e poi avevo iniziato. Mia madre aveva interpretato quella ricerca come Tempo-da-orologio e aveva sintetizzato tutti i progressi dell’uomo: dall’ombra del primo bastoncino di legno conficcato nella sabbia all’orologio atomico che spaccava il milionesimo di nanosecondo. Dopo che avevo finito avevo sei facciate piene piene e un dolore alla mano destra dove poi mi sarebbero spuntati due bei calletti. Arrivo l’indomani a scuola, pettinato e in perfetto ordine. La Maestra passa tra i banchi e ci da un bacetto lieve lieve sulla guancia, uno per uno. Legge i quadernoni con la sua matita bicolore tra le dita. È il mio turno, già penso al Bravissimo bello grande che mi riempirà almeno mezza pagina… Lei legge forse appena tredici o quattordici righe e gira la matita dalla parte cattiva del blu, con me non l’aveva mai fatto. Penso che ci sarà una doppia sbagliata o una divisione in sillabe errata, no. Lei fa una ics gigantesca in tutti e sei i fogli, sei croci bluastre e mi guarda scontentissima, manco le avessi chiesto del suo uovo o se mi avesse beccato mentre le sbirciavo le gambe sotto la cattedra. Mi dice che sono andato TOTALMENTE FUORI-TRACCIA, lei con il TEMPO intendeva il TEMPO-da-calendario, dalla riforma di Cesare all’anno bisestile.


Il Tempo mi aveva fregato, per la prima volta avevo portato a casa un benino piccolo piccolo e solo perché ero io, ad un altro la Maestra avrebbe messo uno Scarso gigantesco.


Da allora ho capito che il Tempo mi avrebbe sempre fregato, potevo pure fare un miliardo di ics nel calendario ma, alla fine, vince sempre Lui. E il pessimismo radicato non c’entra un cavolo.

22/06/03

Il mitico spadotto


È stato Paride con pazienza ad illustrarmi la morfologia di ogni capezzolo possibile. me lo ricordo come se fosse ieri, lì, all'ultima fila con la prof. sullo sfondo che spiega l'ermetismo. Paride inizia snocciolando nomi colorati ed evocativi, nomi che sanno di Mille e una notte, di promesse bagnate, di caldi sussurri, nomi che solleticano a fondo. E ai nomi accoppiava piccoli modelli in scala appena accennati con la matita sul banco. Rozzi ma efficaci con le ombre al posto giusto. Quello che era diventato un'ossessione era il famigerato capezzolo a 'spadotto', appuntito e sodo, pronto a bucare le coppe di qualsiasi reggi-tette. Si sognava così di incontrare la donna appuntita da esplorare con lo stesso rispetto di un pioniere che sa di essere il primo a seguire quella strada.


Era un sogno, tanto che tutti gli altri capezzoli presto sparirono dal banco, sostituiti da inni in endecasillabi sciolti inneggianti alla sorca bianca, altro sogno dell'ultima fila. Volevamo tutti conoscere un'albina per vedere se era bianca anche lì... Poi molti avevano fuso i due sogni proibiti: un'albina con i capezzoli a spadotto!


Dicevo che tutte le altre tipologie morfologiche di capezzolo erano sparite, tutte tranne il mitico spadotto che era stato ripassato a colpi di coltellino svizzero, inciso a ricordo perenne sulla formica del banco. Poi venne la rivoluzione informatica e Calogero, il primo di noi a capirci qualcosa di modem, hard disk, mouse e stampanti aveva realizzato un modello tridimensionale che mostrava il famigerato spadotto (l'aveva ottenuto scannerizzando una quantità industriale di giornaletti da due pater e quattro ave che teneva sopra lo scaldabagno), aveva realizzato quel modello e, smanettando sulla tabella dei colori di Adobe Photoshop, aveva ottenuto pure la sfumatura paradisiaca dell'areola, doveva essere color cappuccino con lievi venature imbrunite, si favoleggiava, non so su che base (dato che ai tempi si praticava ancora ripetutamente l'auto-sfregamento...) che oltre quella sfumatura il capezzolo era già stato munto troppe volte...


Ah, i ricordi dell'ultima fila... quante ne avrei da raccontare!


***


Dimenticavo:


Paride si è sposato con un'albina, vive felice ed è stato nominato direttore del Massimo dopo un master in disegno anatomico


Calogero è andato a cercare il colore perfetto, fa da treppiedi alla macchina fotografica di Helmut Newton, è felice e ha fondato e gestisce il sito www.sorcabianca.it


La voce narrante ha conosciuto un orecchio, si sono sposati e il dialogo, anche se a senso unico, è perfetto.


Bluto Blutarsky ha conosciuto Alex Carb e gli ha proposto di conquistare il mondo, li hanno visti fuggire su una Ford Ka color cappuccino con lievi venature imbrunite


Gaston è stato incoronato gran visir dell'ordine della tetta d'oro e ha ceduto il premio in denaro dell'incoronazione a Giulia Merlino


Giulia Merlino ha investito tutto il capitale per una attualizzazione delle potenzialità del suo decoltè. Poi hanno portato in salvo l'ultimo suo neurone rimasto intatto, stanno cercando di clonarlo per ripopolare i due emisferi dell'encefalo della bella messinese.


Spadaro ha trovato lo spadotto tra i peli di DDT, sono felici. Hanno adottato un cane, lo hanno chiamato Papozzi.


Tonino ha portato in salvo la mucca Carolina e i suoi multicapezzoli, il fattore gli ha impallinato le chiappe che ora fanno bella mostra di sé nel salone di Stas'.


Tutti i saturnisti  (e i pre-para-post-oltre) hanno fondato una casa di cura a forma di tette e otto. La neuro è stata solerte, gli ha prenotato un intero reparto. La mailing list del saturnismo è stata nominata patrimonio mondiale dell'umanità dal PARV

20/06/03

Ennesimo restyling per Bombasicilia, in stile rivista di sinistra. Intanto fuori gocciola un sole malato e scaricando la posta mi arrivano messaggi in bottiglia stracolmi di alta filosofia. Io sono immerso nella dialettica capitale-lavoro ma c'è chi sta peggio di me, leggete:


«Holàààààààààààà dear dicotoninonic

 

comm' va? Ho cominciato a studiare Aristotele e mi sono venuticerti pensieri altamente critici:

 

Tutti gli uomini per natura tendono a sapere [e fin qui...]. Segno ne è l'amore per le sensazioni [ma quali ca....zo di sensazioni piacevoli vengono fra le pareti di casa? Quindi è deciso: studiamo in spiaggia.]: infatti essi amano le senzazioni x se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità, e, più di tutte, amano la sensazione della vista [di tante ragazze a mare?]: in effetti, non solo ai fini dell'azione [va bhe ma guardare e non toccare va bene una volta....], ma anche senza avere alcuna intenzione di agire [amor platonico od omosessualita nascosta?], noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensaziono [ma Aristotele ha mai applicato i due sensi del tatto e del gusto su una ragazza?] E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere più di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose ["Hey guarda quelle due **** (qualsiasi volgarità significhi "belle figliuole")"  "Allora, vediamo, una è più alta, una è mora l'altra bionda, una agli occhi verdi......," ma x favore..............].

 

Da ciò ho ricavato che Aristotele è un autore eternamente attuale,  ma non in spiaggia.»

E Guido ce lo siamo giocati...

17/06/03

Così ci si congeda dal mondo adolescenziale
Un mondo sta per svanire un altro si annuncia
Il grande incubo che fa
diventare tutti più grandi

di MARCO LODOLI



DIECI o quindici tappe fondamentali ha la vita, stazioncine belle o tristi dove per forza bisogna transitare: il primo giorno di scuola, la bicicletta a Natale, il primo bacio, un tradimento, e più avanti la prima macchina, il lavoro, il matrimonio, un figlio, un altro, e poi i nipoti, e la pensione e quel doloretto che non è niente, ma per sicurezza è meglio fare le analisi... Alcune di queste stazioni magari possono essere saltate o sostituite, altre sfilano senza troppa importanza accanto ai nostri binari, ma sicuramente l'esame di maturità rimane marchiato a fuoco nella mente di tutti i viaggiatori. Quelle mattinate di sole e batticuore segnano la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, sono uno spartiacque definitivo: indietro non si torna, l'ombroso mondo adolescenziale, timido e sfrontato, vago e leggendario, trova la sua consacrazione e il suo congedo in poche ore di prove scritte e orali sparse nel giro di una settimana.

"Notte prima degli esami", cantava Venditti anni fa, individuando quella che è l'ultima particella di libertà e di indefinitezza prima che la maturità giunga a dettare le sue leggi, a imporre i suoi doveri. E per tanti ragazzi italiani la notte prima degli esami è arrivata, è stanotte. Già cigola la porta d'acciaio e di vento che tra poco si chiuderà per sempre, c'è giusto il tempo per gettare un ultimo sguardo alla prateria, per sentirsi ancora un attimo parte di un branco di puledri senza sella e senza finimenti. Si stava tutti insieme, in un'aula dalle finestre grandi o piccole, ma che comunque affacciavano sull'universo infinito delle possibilità. Insieme ai compagni si provava terrore degli insegnanti arcigni ed esigenti, si rideva di quelli buffi, dei mezzi matti pieni di tic, delle zitelle inacidite e dei supplenti giovani, del professore grasso e sudato e di quello segaligno e nervoso, mascherine che per l'intera esistenza restano vivide nel teatrino della mente. Ed è stato un insegnante bizzarro, forse, ad averci cambiato un po' i pensieri, aprendoli a orizzonti nuovi, a scelte importanti.


"Senza il prof Taldeitali io non sarei diventato ciò che sono, e lui chissà cosa è diventato...". E da domani tanti ragazzi avranno i loro esami, forche caudine sotto le quali dovranno per forza passare. Una volta erano davvero tosti: i nostri genitori ricordano ancora che razza di prova fosse: "Tutte le materie, e di tutti e tre gli ultimi anni, un incubo spaventoso". Poi ci fu la lunga stagione delle due materie: se ne sceglieva una e l'altra veniva assegnata d'ufficio, ma tra poche materie già note, ed era quasi sempre quella desiderata. Il voto veniva formulato in sessantesimi, bastava un piccolo trentasei per sfangarla. Anni e anni di pacchia, anche se l'ansia degli esami in fondo rimaneva identica, perché è un'ansia che prescinde dalla difficoltà della prova, che riguarda un appuntamento della vita al quale non si può arrivare fischiettando.


Vivere questi giorni a cuor leggero, con sovrana indifferenza, sarebbe una bestemmia contro i lunghi anni trascorsi a scuola, in classe e nel cortile, intorno alla cattedra o al cesso a fumare, seguendo con attenzione le lezioni o scrivendo disperati bigliettini d'amore. Tutto il tempo andato si impenna e si solleva in questa vetta estrema (è solo una collinetta, ma non importa...): è necessario salire sulla cima e provare la vertigine, il senso di smarrimento, di inadeguatezza, di solidarietà con i compagni legati in cordata. E anche ora che gli esami sono stati ulteriormente facilitati, ora che sono gli insegnanti interni a valutare "il candidato" e tutto si risolve in quattro chiacchiere su una tesina e in un abbraccio amichevole, è giusto che i ragazzi sentano almeno un brivido nella schiena, almeno adesso che sta per suonare la campana dell'ultimo giro e dietro alle spalle un mondo sta per svanire, mentre davanti un altro, ben più feroce, si annuncia.


(La Repubblica - 17 giugno 2003)

Dicotomico legge la legge di Murphy


Postulati di Pardo



  1. Le cose buone della vita sono illegali, immorali o fanno ingrassare.

  2. Le tre cose veramente fedeli nella vita sono lo sporco, un cane e una donna vecchia.

  3. Non è importante essere ricchi: basta vivere nell'agio e poter avere tutto ciò che si vuole.

16/06/03


Nel prato dell'Erba voglio io non ci starei nemmeno un altro minuto, davvero. Perché non è mica facile vedere gli altri morire e stare lì a lasciare galleggiare i santi sogni dei poeti.
Ero qui anche l'altro giorno e l'ho vista passare: era bella e aveva poche cose da imparare con quegli occhi neri. Ora capisco che aveva quel ragazzo da correre tanto. Anch'io mi sarei fatto un viaggio ultraterreno per non perdere quegli occhi. Perché ci sono cose che ti capitano così, troppo poco tempo per capirci qualcosa. E spesso li lasci svaporare, come le nuvole che si porta via il vento nel guscio delle tartarughe. Quando sono troppo stanche di andare così piano.
E' l'infinito che mi fa paura.
Ma è solo l'infinito che mi dà la vita.
Perché ci dicono che è così che va il mondo.
Sto seduto qui un altro secolo, poi decido dove andare. Ecco l'ottava scheggia...


[puntate precedenti: Intro (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) ]


Ottavo
Lisa


Lisa e Ulisse s'erano incontrati sei anni prima all'oratorio, portati lì, mano manuzza alle rispettive apprensioni materne. L'oratorio era l'ultima oasi sicura dove posteggiare i figlioli in attesa della terrificante ondata ormonale di cui si avvertivano le prime avvisaglie.
La madre di Ulisse l'aveva beccato a tarda notte con il pinnacolo tra le mani a visionare casalinghe perverse che agitavano tetteeculiecosceelingue sul piccolo mivar in bianco e nero. L'aveva strappato dalle occasioni di peccato spruzzandolo con acqua benedetta contrabbandata in una bottiglietta di Lourdes e l'aveva ammanettato con tre rosari.
La madre di Lisa era ancora più sconvolta, sua figlia stava imbambolata con gli occhi persi nel poster di Antonello Venditti e colorava i suoi album aggiungendo giganteschi attributi agli orsetti del cuore. I rispettivi pater erano persi nei 90 minuti, sordi e ciechi a qualsiasi novità. Avevano scaricato i loro figli là e tanti saluti.
La prima volta s'erano odiati, Lisa piatta e informe con un mega-assorbente negli slippini di Barbie, Ulisse a capire come mai un preservativo così stretto potesse contenere litri e litri d'acqua.


Era stata Lisa a interrompere le ostilità, s'era avvicinata con i capelli corti sotto un cappello del Wwf e con un sorrisino tutto calcolato gli aveva chiesto delucidazioni sul suo massimo dubbio.
"Ulì, ma… ma, insomma, come fate a sedervi sulla tazza con quel "coso", non vi si schiaccia sulla tavolozza?" la domanda era arrivata al bersaglio, Ulisse stava fermo tra i pali della porta con le mani guantate aspettando qualche pallonetto. Strabuzzò gli occhi e vide lo scarafaggio in mini short "guardaquellochenonpotraimaimancosfiorare", un solo attimo di distrazione e gli occhialoni tartarugati finirono a terra spezzati in tre pezzi. Aveva ancora nella faccia la firma del capocannoniere e l'unica cosa che riusciva a pensare era come potevano venire certi dubbi a una ragazzetta che ancora aveva solo i capezzoli nel vuoto cosmico del primo reggiseno.

Nemmeno si levò i guanti e scappò sullo ciao perdendo la targa appena girato l'angolo. Era la fine di marzo e lui ancora aveva l'ingombrante verginità marchiata a fuoco sul sorriso da ebete, proprio sotto gli orrendi baffetti di pelo canino. Manco mangiò rimuginando quella domanda e pure che non aveva nessuno stimolo si andò a posizionare sulla tavolozza con un senso di soggezione che non aveva mai provato prima, per intere settimane cercò di riacquistare la tranquillità. Inutile, appena qualche strombettata posteriore gli suggeriva di andare al cesso arrivava il panico e si rivedeva Lisa davanti a guardargli il pacco.
Incominciò a considerare i lati positivi della faccenda, la cagata era stata sostituita da un pornofilmazzo dal vivo, Lisa continuava ad essere il suo chiodo fisso e lui l'aveva eletta a sua musa ispiratrice. Non doveva più sfogliare gli umidi giornaletti che aspettavano sopra lo scaldabagno. La sua fantasia incominciò a vedere Lisa che gli carezzava le palle e lei stessa rispondeva ai suoi dubbi tenendogliele piacevolmente sospese, adagiandole nel palmo delle sue piccole mani.


S'erano rincontrati dopo due settimane, lei era fasciata in un abito da monachella ma lui la vedeva in nudo integrale grazie alla sviluppatissima vista a raggi X che accompagna tutti i pipparoli. Avevano parlato per tre ore di fila e avevano scoperto l'ovvio. Odiavano il mondo e volevano morire prima d'essere vecchi e flaccidi. Erano andati a passeggiare sulla spiaggia con le ascelle pezzate e lì Lisa aveva snocciolato la sua teoria sull'omosessualità, tutta a vantaggio delle seguaci di Saffo. <> S'aspettava magari le solite frecciatine d'Ulisse, qualche accenno ironico nel suo ostinarsi a mettere sempre qualche testicolo nei suoi discorsi. Nada, quello continuava a guardarla estasiato come uno scarabeo stercorario. Ulisse era troppo occupato a prendere appunti per la pippa post pranzo, le lesbiche erano le sue preferite…
"Dammi qualche segno di vita… C'è nessuno?" Ulisse aveva la vista annebbiata e l'udito freudiano, aveva sentito "dammi un colpo nella fica, non c'è nessuno…" e un'erezione formato famiglia aveva deformato i suoi boxer portafortuna. Aveva troppo caldo, si gettò a mare tutto vestito per stemperare l'eccitazione.


Lisa s'era tolta i mocassini proletari e aveva incominciato a correre sul bagnasciuga con una risata chiara, dolce e fresca. Ulisse riemerse dal brodo salato, s'arrotolò i jeans appena sotto il ginocchio e corse pure lui. Aveva le gambe più lunghe e in cinque falcate l'aveva già raggiunta e abbracciata. La guardò e la vide per la prima volta e vide com'era bella. Nelle orecchie Vasco Rossi gli urlava ALBACHIARA, guardò un'altra volta i suoi occhi neri, le tolse gli occhiali e il bacio fu.


Per tre mesi tutto era andato a meraviglia, sembravano schizzati fuori da un romanzetto Harmony, tutt'e due stracotti a pensare al futuro incrociando le lingue. Erano felici ma le cicatrici erano sempre in agguato.
Ulisse s'era faticosamente intrufolato nelle coppe nemiche e aveva scoperto un tracciato di sfregi e piccole bruciature di sigaretta. Lisa s'era subito calata la maglietta color aragosta e il resto della serata era passato in un silenzio insostenibile. Lui doveva sapere, troppi dubbi s'agitavano nel suo cervello. S'immaginava il padre di Lisa vestito con un solo perizoma di pelle che la torturava con una faccia traboccante di soddisfazione. Sapeva che era un pensiero assurdo ma quel perizoma proprio non riusciva a scordarselo. Forse Lisa faceva parte di una setta satanica, era stata messa al centro della stella a cinque punte e il capro l'aveva stantuffata per tre ore di fila… Doveva sapere, non poteva continuare a partorire ipotesi tanto schifose. La verità l'avrebbe volentieri lasciata agli sceneggiatori di X-files.


Lisa è nella sua stanza, stava ripensando a quella domenica di marzo quando aveva accettato di salire sullo ciao di Ulisse. Non lo vede da una settimana e il mondo non se lo ricordava così mediocre…
Fuori piove e anche stasera lui non verrà. Stavolta ci sono andati giù pesanti. Forse non tornerà più, non tornerà più e lei resterà nella sua stanza grigia. Lo ama ma la storia è diventata un macigno che la sta schiacciando. Sono state le cicatrici a distruggere tutto.
La sua famiglia è andata a messa e lei fuma uno spinello nel balcone della cucina. La bottiglia di martini è quasi vuota, la deve ricomprare prima che se n'accorgano. Fa gli ultimi tiri con la gola bruciata dal pressato che ha comprato da Laura e getta il filtrino giù in strada. Si chiude in bagno, la vasca è quasi piena, aggiunge qualche pugno di sali da bagno e si toglie l'accappatoio. Dicono che con l'acqua calda è tutto più facile, la sua lametta la guarda dal lavandino. Sarebbe bello smettere di rimandare l'inevitabile, diventare vecchia e grassa come quella vacca di sua madre non è il massimo delle sue aspirazioni. Lei vuole viaggiare.
L'acqua è troppo calda, esce dalla vasca e la sua schiena bianca si riflette nello specchio dell'armadietto. L'alito della finestra le indurisce i capezzoli e nuove gocce colorano l'acqua.


Ripensa all'ultime cose che si sono detti, si rivede nel sedile della renò con lui che cerca di capirci qualcosa e lei…
"Farmi toccare da te o da un estraneo sarebbe lo stesso. Prendiamoci una pausa, meglio se frequentiamo altre persone… potremmo uscire a quattro…" s'era bevuta il cervello, sparava cazzate e lui cercava di farla ragionare. Ora lo sapeva, non aveva più dubbi, l'amava.
Aveva bisogno di rivederlo ancora una volta, fargli leggere le sue ultime poesie, aveva bisogno di sentirsi amata. Dovrà parlargli di tutti questi momenti, spiegargli ogni sua assenza. Sarà un motivo valido aver tentato di morire un'altra volta? Stava spellando una vena e non pensava a nessuno, stavolta non ci sarebbero state scuse da inventare per un maglione, un cuscino, un pavimento macchiati. Non avrebbe più potuto pulirli. Aveva detto che siamo tutti figli di Sisifo, due Sisifo nello stesso tartaro a ripetere l'errore, sempre meno forti, più spossati e stretti, fianco a fianco e stretti, i cuori in cima al monte con quel maledetto macigno che scivola un'altra volta. Sisifo per destino e volontà. Sarebbe bello vivere come se non dovessimo mai morire, respirando a pieni polmoni l'aria fresca del mattino, come se non dovessimo mai morire…
Andare e ritornare nel medesimo luogo, senza essersi mai allontanati. Se n'andrà via presto, che voglia piangere o ridere, seguirla o scegliere la strada opposta non vuole saperlo.
Sarebbe mai tornato? Avrebbe dovuto chiederlo al suo cuore. Non chiedere a chi ami di tornare, chi fugge sta solo e sta solo anche chi insegue. È tardi per tornare sui propri passi, loro sono tornati, la chiave gira e la porta sta per essere attraversata e l'ultima goccia timida cade sul vuoto biancore delle piastrelle.






Un bambino stringe un orologio a catena, lo fa girare nel vuoto. L'orologio si stacca dalla catena e va a morire sul muro delle stelle.

14/06/03

Istituzioni di filosofia 6
Filosofia del linguaggio 9
Storia della Filosofia 9
Estetica 9
Storia della Filosofia antica 6
Psicologia generale 6

Altre attività (ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche, ecc…) 6


Laboratorio italiano di scrittura 3
Storia medievale 6
Storia dell'estetica 9
Sociologia della comunicazione 9
Logica matematica 6 26/06/2003
Filosofia morale 9 30/6/2003
Fondamenti della matematica 6 2/9/2003
Storia della Filosofia medievale 6 18/9/2003
Intelligenza artificiale 6 (21/7/2003)


Lingua e traduzione inglese 9


Anno Accademico 2003/2004


Teoria dei linguaggi e della mente 9
Filosofia della scienza 9
Linguistica generale 6
Filosofia teoretica 9
A SCELTA DELLO STUDENTE 12
Altre attività (ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche, ecc.) 3
Prova finale e conoscenza lingua dell'UE 12 (9+3)

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13/06/03

Ulisse, lumache e cioccolatini


puntate precedenti: Intro   (1)  (2)  (3)  (4)  (5)  (6)


Settimo
Il guardiano sta cantando


Il guardiano sta cantando un'altra canzone di Bob Dylan, è seduto sulla poltrona e spizzica le corde di una gibson.
"Nobody feels any pain
tonight as I stand inside the rain
everybody knows
that baby has got me closed
but lately I see her ribbons and her bows
have fallen from her curls
She takes just like a woman..."


Nicodemo è malinconico, forse sta ricordando qualcuno che ha amato. Si alza dalla sedia con in faccia un'idea dietro gli occhiali da sole. Vede le facce di tutti quelli che ha ospitato nella sua catapecchia sul fiume, se ne sono andati tutti, senza nemmeno salutarlo. Guarda dalla finestra e vede che Ulisse è sul ponte a scrutare l'orizzonte. Appoggia la chitarra alla poltrona e s'alza di scatto.


- Da quanto tempo sei qui?- inizia Nico e le nuvole vanno a nascondere il sole.
- Non mi ricordo manco le facce di quelli che conoscevo, non mi dispiace però. Ho perfino smesso di fumare… - Ulisse guarda il mare, guarda quello che resta della sua zattera, si sforza di vedere Lisa nella schiuma di mare che si forma alla base del ponte.
- Da troppo tempo - Nicodemo non dice altro, cerca nostalgia negli occhi di Ulisse.
- Se non mi vuoi più tra i piedi basta dirlo. Mi costruisco una mia capanna, la vita da solo non m'angoscia poi tanto. Sei ingiusto, avevi detto d'essere mio amico e proprio ora che sto mettendo un pallido ordine nella mia vita mi vuoi rispedire al mittente. Io ho fatto di tutto per guadagnarmi la tua stima. Non ci sono riuscito? Posso dire di averci provato, almeno. A differenza tua. Rispondi alla mia domanda: tu da quanto tempo sei qui? -
- Da sempre. Io sono il guardiano di questo ponte. Sono nato qui e qui trascorrerò il resto dell'eternità… ma tu puoi volare via di qui, puoi tornare dalla tua famiglia, da Lisa…-
- Lisa… - Ulisse respira forte e aggiunge - Lisa mi manca… la dovresti vedere è perfetta… come un verso di Montale e ha un cervello… un cervello capace di formulare certi pensieri che mi ci blocco per intere settimane. Forse non la conosco affatto però io m'illudo, suppongo, immagino, penso, credo di amarla. Sempre per inteso che NON SO ASSOLUTAMENTE CHE COSA SIA L'AMORE -.
- La conosco. La conosco benissimo. È una delle mie clienti più affezionate… - Nicodemo forse ha parlato troppo, vorrebbe riprendersi quell'ultima frase. Ulisse s'è zittito, sente un freddo immane allo scroto, fa fatica a stare in piedi.
- Lo sapevo già. Se ci penso l'ho sempre saputo di quelle cicatrici ancora prima di vederle… ma detto da te suona così definitivo, perché non fai niente per impedirlo, lei è così viva, così bella, così… - cerca di dire qualcos'altro ma Nico lo interrompe: - Sono quelli come lei che hanno bisogno di me. Credono di trovare nel mio campionario qualche risposta ma hai visto che ancora non c'è nessuna fattura a suo nome. Continua a farsi male ma non trova mai il coraggio per smettere sul serio di sperare - Nico sorride e Ulisse per la prima volta alza gli occhi al cielo e sorride anche lui; sa bene che i sorrisi veri sono rari.
- Ulisse ti sei guadagnato il biglietto per il teatro. Incontrai qualcuno che saprà aiutarti nella tua ricerca. Capirai molte cose, oggi. Ma non perderti mai nello sconforto. È l'unica cosa che devi ricordare. -
Ulisse guarda ancora una volta il mare, è così bello da far male al cuore. Accetta l'invito di Nicodemo.


Sono di nuovo nella capanna, sui vestiti non c'è niente da fare. È ancora troppo presto. Escono dalla porta posteriore, negli occhi di Ulisse guizzano emozioni troppo forti, è indeciso. Non vuole altra confusione nella sua testaccia bacata. Nicodemo è davanti a lui nella sua salopette di pelle nera, s'è portato dietro la chitarra e gli spartiti. Nessuno ha più voglia di parlare.


I piedi spellati di Ulisse mandano scariche di nero dolore e ancora non si vede nessun teatro all'orizzonte. Camminano sotto il cielo infuocato per un tempo che sembra accartocciarsi su sé stesso. Vedono il sole sempre lì, nel mezzo del cielo. Il ragazzo cerca di stare dietro al guardiano, scaglia i suoi pensieri lontano da lì, rivede il cielo grigio di Bagheria, la sua via, la Renò 4, il gradino schiaccia-chiappe, il campanello di Lisa. Mentalmente sale i gradini, i suoi piedi assaporano il tepore chiaro del marmo. La porta è socchiusa, l'apre e lei è lì, alla finestra del bagno. Nel lavandino gocce di rosso sangue e una lametta ancora tiepida. Un'angoscia lo prende con violenza, Lisa cerca di tamponare l'ultima ferita con vari strati di tenderly. La carta succhia con troppa velocità il sangue, ne serve dell'altra. Lisa si toglie il maglione, non deve lasciare tracce. Non ha il reggiseno e si guarda nello specchio, di profilo. Riprende il suo rituale e accarezza con la sua unica inossidabile amica la pelle troppo bianca dei seni. Si guarda i polsi, anche stavolta scaglia lontano la vecchia gillette e piange… Ulisse scappa via, una fuga caotica lo rispedisce sul ponte della vita e della morte. Quell'allucinazione era troppo reale, smette di cercare palliativi mentali, focalizza i suoi pensieri solo sul teatro. Ora lo vede, è una costruzione sbilenca, il legno tarlato dell'insegna conserva solo qualche lettera scorticata. Una T e una R con scaglie di giallo. Le pareti sono grigiastre e zeppe di crepe e solo un telone li separa dall'ingresso. Nicodemo scosta il panno pesante di polvere, avanza sicuro senza neanche aspettare Ulisse, sparisce tra i corridoi. Il ragazzo ora è solo tra le lampadine multicolori che gli dipingono sul volto la faccia di un clown triste. Non riesce a scrollarsi dai capelli il ricordo di Lisa e di quella lametta che le carezza i seni. Si agita tra le ragnatele che gli sfiorano la faccia come dolci amanti tradite. Non ci sono finestre e l'aria è opprimente come velluto. Cammina a passi lenti cercando le risposte che Nicodemo gli ha sventagliato davanti. Arriva a una porta chiusa, non bussa. La maniglia gli resta nelle mani e qualcosa lo risucchia dentro e lo scaraventa su una poltrona da cinema. Gli dicono di stare zitto, Ulisse non riesce a vedere, gli occhi faticano ad abituarsi, il buio della sala lo inquieta. Il sipario si alza su un attore con la faccia dura di chi non dorme da mesi. Aspettava qualcuno o qualcosa dietro una porta chiusa. Non aveva la chiave e si dannava in inutili girotondi vagheggiando pensieri contorti. Si spegnevano i riflettori e poi si riaccesero sugli occhi dell'attore, era invecchiato da una scena all'altra, sempre lì, dietro quella porta a giocare con le illusioni. Tossiva una tosse di vecchie sigarette, di notti insonni, di stanchi amori trascinati controvoglia. Gl'interessava solo sapere che c'era dietro quella porta, aveva atteso tutta la vita dietro quella porta forse terrorizzato da una vita vuota. Gli occhi vagavano dalla porta alla finestra dove una luna gelosa gli chiedeva attenzione. Stava seduto su quella sedia scomoda e scricchiolante, suonava ancora quella melodia densa di malinconia. Dietro quella porta ci dovevano essere le risposte che aveva cercato per tutta la vita, non s'era mai stancato di aspettare. Aspettava ancora quando la Morte bussò dall'altra parte della porta chiusa. Finalmente la porta s'apriva e una donna nuda entrava fasciata in un velo nero troppo sottile. I capelli neri svolazzavano nel vento freddo della sera, suonava quella stessa melodia all'arpa che trascinava dietro di sé. Suonò mentre piangeva e senza parlare abbracciò l'uomo che l'aveva aspettata per tutta la vita. Il sipario calò sul velo che fasciava i due amanti in un abbraccio senza fine.


Il pubblico applaudiva il fascino crudele della Morte e la passione di quell'uomo che aveva scelto di dedicarle tutta la sua esistenza. Anche Ulisse batteva le mani con una nuova tristezza negli occhi. I suoi pensieri sfrecciavano lontani, attraversavano distanze stellari e andavano ad accarezzare Lisa, la sua bocca, i suoi denti bianchi, i suoi occhi neri.

12/06/03

Le torri di Hanoi


«nel grande tempio di Brahma a Benares, su di un piatto di ottone, sotto la cupola che segna il centro del mondo, si trovano 64 dischi d'oro puro che i monaci spostano uno alla volta infilandoli in un ago di diamanti, seguendo l'immutabile legge di Brahma: nessun disco può essere posato su un altro più piccolo. All'inizio del mondo tutti i 64 dischi erano infilati in un ago e formavano la Torre di Brahma. Il processo di spostamento dei dischi da un ago all'altro è tuttora in corso. Quando l'ultimo disco sarà finalmente piazzato a formare di nuovo la Torre di Brahma in un ago diverso, allora arriverà la fine del mondo e tutto si trasformerà in polvere».

11/06/03

Dicotomico #FF6600


Io la bacheca l'ho conosciuta grazie a Zummo. La mia vita la posso spaccare in due: c'è una parte ante-Zummo e una parte post-Zummo. Tutte le cose che m'hanno sbiadito la patina bacchettona le devo a Zummo. Zummo l'ho conosciuto che avevo 14 anni e una panza da bevitore di birra professionista, lui quel giorno mi guardò schifiato e non potevo aspettarmi di meglio, ero vestito con un pantalone rosso e una camicia giallla, i capelli li avevo con la riga e la faccia da minchione. Non è che oggi questi caratteri recessivi siano completamente scacciati, sono sempre in agguato ma la Zummità che Zummo mi ha infuso li tiene abbastanza lontani.
La bacheca me l'ha regalata Zummo, mi ricordo ancora, era una versione arancione, con orribili gif animate: c'era la bettola, c'erano i personaggi della III^ C e c'erano i libri di Giga con i grafici su Porco Busy. La cosa che mi è rimasta appiccicata in tutti questi anni è una foto di Zummo nella home page che diventava un pagliaccio con i capelli verdi e il naso rosso. Sono strani i ricordi...niente può cancellare la prima volta che ho visto la fabbrica dove nasceva la bacheca: era la prima volta che entravo nel regno di luimik, la stanza prendeva consistenza piano piano: ecco sul muro i quadri di Giga con l'essere con la faccia a banana, una tastiera, una palestra da camera, quella specie di dondolino che serve per gli addominali, il porta-bottiglie da cantinero, le chitarre, gli spartiti e lì il computer troneggiante. Il computer dove nasceva la bacheca... Certi ricordi ti fanno compagnia per una vita... la bacheca è uno di quelli. Certo, non sapremo mai come finirà il giallo dell'estate (ricordate?) o perché la bettola ha chiuso, nè che fine ha fatto il libro di Ignazio Sardina (o era un nome simile) sui suoi anni al liceo (pubblicizzato per almeno un anno). C'era The zummo witch project e quella animazione in flash surreale e c'ero pure io con Dicotomico's stories. C'eravamo tutti, ci siamo ancora e la bacheca è ancora qui, rimane il prisma in cui scomporci.
Io credo nella bacheca, credo che non riuscirò mai a scalfire il primato grafico di Giga, credo che Mitch realizzerà il suo sogno e suonerà il contrabbasso in smoking e ciabattones. Credo che il fratello (non più) piccolo di Luigi e Michele mi odi ancora, credo che c'è un posto dove radio sassari trasmette 24 ore al giorno e dove la gente chatta per un'ora e mezza quando sarebbe più facile andare a ridere con i bocca un pizza sub della signora Mineos. Credo che nella mia stanza 121 c'è un'altra grande paura: una vita parallela senza la bacheca. Una vita parallela in cui Zummo in quella domenica mattina non mi aggiunge tra i preferiti quel chilometrico amatissimo indirizzo: digilander.iol.it/luimik/index.htm
. Una vita senza l'arancione #FF6600.

10/06/03

Bart wrote...


un rutto non e' una risposta
non devo pavoneggiarmi come se fossi il padrone di ogni cosa
non ho la patria postesta' sui bambini della prima elementare
scrivere in corsivo non significa scrivere corretto
i trapianti di organi vanno lasciati ai medici competenti
non ho visto elvis
non istighero' piu' alla rivoluzione
non disegnero' donne nude in classe
le punizioni non sono noiose e senza senso
non gridero' piu' " al fuoco ! " nella classe affollata
non incoraggero' piu' gli altri a volare
non diffamero' piu' new orleans
non prescrivero' piu' medicine
non portero' piu' pecore in classe
non scambiero' piu' i pantaloni con gli altri
non sono una donna di 32 anni
il caffe' non e' per i bambini
non mangero' piu' cose sotto pagamento
non ho l'immnunita' diplomatica
nessuno e' interessato nelle mie mutande
non vendero' piu' cure miracolose
la biancheria intima va messa dentro e non fuori
non mi nascondero' piu' dietro il 5° emendamento
non dormiro' piu' durante le lezioni
non sono un dentista
devo terminare cio' che ho iniziato
non sono autorizzato a dare fuoco ai supplenti
i miei compiti non sono stati rubati da un uomo con la pistola
non spediro' piu' grasso per posta
non usero' piu' abbrev.
5 giorni non sono tanti per aspettare una pistola
dire "stavo scherzando" non giustifica insultare il preside
non sono la reincarnazione di sammy davis jr.
i fagioli non sono frutta ne' strumenti musicali
il gas nervino non e' un giocattolo
ralph non fa "morph" se lo si strizza forte
non sprechero' piu' il gesso
non andro' con lo skateboard nei corridoi
non ruttero' piu' in classe
non dirigero' piu' mie esercitazioni anti-incendio
non coniero' piu' monete con la mia effige
stanno ridendo di me e non con me
non mi chiamo dott. morte
non seppelliro' piu' i bambini di prima elementare
non fotocopiero' piu' la mia faccia
il maestro non e' un lebbroso
non devo giudare l' auto del preside
non gridero' piu' "e' morta" durante l'appello
non andro' molto lontano con questo modo di fare
il fango non appartiene ad uno dei quattro gruppi alimentari
non mi devo dare delle arie
non devo sculacciare gli altri
non devo piu' cercare di corrompere il preside
sputare non significa liberta' di parola
l'inno nazionale non termina con "ave satana"
il bagno dei maschi non e' un aquapark
nessuno e' interessato alle mie ascelle
le bruciature indiane non sono un nostro retaggio culturale
la verita' non e' qui fuori
la smettero' di parlare del pianista alto 30 centimetri
LE MUTANDATE NON SONO SALUTARI NE PER I BAMBINI NE PER OGNI ALTRO ESSERE UMANO
non chiamero' piu' il direttore "testa di rapa"
a nessuno piacciono gli schiaffoni sulle scottature
non faro' piu' pagare il biglietto nei bagni
i criceti non possono volare
la prossima volta potrei esserci io, sull'impalcatura
I BART BIGLIETTONI NON SONO VALUTA LEGALE
non vedo niente di strano nell'ozio della maestra
il baccano divertente non e' divertente
non declamero' l'ignoranza dei maestri
non chiamero' piu' la meastra "bella gnocca"
la gomma all' aglio non e' un bello scherzo
non faro' piu' quella cosa con la mia lingua
non faro' piu' puzze rumorose in classe
il pianista nano non e' un castigo divino
non ho visto nulla di strano nella sala professori
non devo sbirciare nel bagno delle bambine
non distribuiro' piu' alcoolici ai compagni
fumare nuoce alla salute
non sta bene sputare nei corridoi
non devo giocare col mio pistolino
non attacchero' piu' gomme sulla lavagna
non faro' piu' roteare la tartaruga
i miei compiti non sono stati rubati da un uomo monco
non applichero' ordigni esplosivi alle caffettiere
non sono il mio fratello gemello
restituiro' il cane guida
il catrame non e' un giocattolo
non fa schifo essere te
a nessuno importa quale è la definizione di
non sono un parrucchiere diplomato
"E' stato il presidente" non è una buona scusa
chiappe.com non è il mio indirizzo email
Non intenterò cause legali frivole
La mia mamma non è amica di Jerry Seinfeld
Sherry non è "chiappona"
Sono proprio stanchissimo
Non sono stato lì nè ho fatto quella cosa
Non posso assolvere i peccati
Nessuno vuole sentire le mie ascelle
I denti dondolanti non hanno bisogno del mio aiuto
La grammatica non è una perdita di tempo
Nessuno è interessato alla mia sciatica
Anche gli zoticoni sono persone
non sostituiro' gli anticoncezionali della maestra con delle mentine
per fare un'esercitazione anti-incendio non serve un incendio
il mio sedere non è degno di un sito internet
 

08/06/03

Ci sono film che ti segnano a vita.


E fanculo la serie A (ricordando che sono Palermitano...), capita. Proprio come la merda. Seguendo la libera associazione sinoptica: "Jenny, I don't know if Momma was right or if, it it's Lieutenant Dan. I don't know if we each have a destiny, or if we're all just floating around accidental-like on a breeze, but I, I think maybe it's both. Maybe both is happening at the same time." Molta filosofia, il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrebbe essere un giardiniere dell'Alabama, il mondo andrebbe molto meglio.

07/06/03

la stanza 101


L'idea di Zummo di un treno di ricordi per il prossimo numero della rivista della bacheca  mi stuzzica. Come dire: abbracciamo il passato e traghettiamoci nel futuro. Però qualche dubbio c'è: se la bacheca si è evoluta ci saranno stati dei dannatamente buoni motivi, ripassare la storia va bene ma non possiamo e non dobbiamo revisionarla. C'è già chi lo fa. Tutti quei pomeriggi nella bettola virtuale...


Giro a tutti una domanda: in 1984 di Geroge Orwell (o Eric Blair se preferite), il libro consigliato da Linda nel primo numero della rivista, Winston rinnega il suo amore per Julia alla vista di una gabbia piena di topi. Il suo incubo peggiore ha preso vita nella stanza 101. Tutti sanno cosa c'è nella propria stanza 101, un distillato di paure ancestrali che ognuno si porta dietro insieme all'anima. Nella mia c'è l'incapacità di scrivere e risvegliarmi una mattina completamente ebete. Voglio continuare a pensare per tutto il tempo in cui starò sotto la luna, c'è già chi ci prova a farmi smettere. E nella vostra stanza 101 che c'è? Cosa nascondete dietro la porta? 

06/06/03

La famiglia Dacupina è già on-line, con la prima scheggia per conoscerli meglio...


Ulisse Dacupina, 20 anni, studia filosofia e ancora non si è ripreso dalla lettura di Chiedi alla polvere che ha shakerato con Matrix e Dylan Dog


La Signora Dacupina, 40 anni (da almeno 15 anni), giunta all'estasi teologica tramite i ricettari di Suor Germana


Antonio Dacupina, 55 anni alla soglia della pensione ha accumulato tanti lavoretti domestici che rimpiange la scrivania e l'ulcera del comando di Polizia


Simona Dacupina, 23 anni, studia al DAMS arte, la sua principale occupazione resta sempre e comunque smacinare le palle a Ulisse e all'intero clan dei Dacupina


(se volete linkare i Dacupina nella tag-board c'è la stringa da copiare)

05/06/03

L'idea di un blog che sia tutto incentrato sulle peripezie della mia famiglia (magari dilatate, stiracchiate  e ingigantite) mi solletica da un pò di giorni, la casa c'è già, tra poco arriva la prima puntata...


04/06/03

Il paradiso dei blog, per una nostra metafisica


«Oggi l'universo elettronico ci suggerisce che possano esistere delle sequenze di messaggi che si trasferiscono da un supporto fisico all'altro senza perdere le loro caratteristiche irripetibili, e sembrano persino sopravvivere come puro immateriale algoritmo nell'istante in cui, abbandonato un supporto, non si sono ancora impressi su un altro. E chissà che la morte, anziché implosione, sia esplosione e stampo, da qualche parte, tra i vortici dell'universo, del software (che altri chiamano anima) che noi abbiamo elaborato vivendo, fatto anche di ricordi e rimorsi personali, e dunque sofferenza insanabile, o senso di pace per il dovere compiuto, e amore.»


Umberto Eco, In che cosa crede chi non crede?


Basta dilatare 'sta bellissima citazione e pensare la questione in questi termini: chi scrive in un blog non sta forse elaborando un software "fatto anche di ricordi e rimorsi personali, e dunque sofferenza insanabile, o senso di pace per il dovere compiuto, e amore"? E i diecimila e rotti bloggers di splinder che postano tutto questo che svaporerà sfavillando dalle maglie della rete e volerà via, al di là delle antenne, al di là degli aquiloni, sempre più su... E lì ci saremo noi e i nostri blog, i nostri prismi in cui scomporci e ricomporci, sino a raggiungere l'oceano delle idee perdute.


appunti per una metafisica ad uso e consumo dei blog


  • http://dicotomico.splinder.it/
  • argomenti: narrativa
  • grafica: 6/7
  • commento tecnico: mi piace l'immagine introduttiva di questo blog, lineare e pulito. Forse l'estensione del testo è un po' troppo grande
  • testi: 7,5
  • commento sui contenuti: blog atipico, un blob sulla narrativa. E' l'occasione giusta per leggere estratti di grandi scrittori, anche se manca un filo conduttore e ogni tanto gli estratti sono un po' troppo lunghi
  • voto finale: 7+

  • Solo oggi mi sono accorto che finalmente damian di Critico (Le impressioni di un blogger sui blog) mi ha commentato. Un bel 7+. 

    Ripassare logica matematica, filosofia morale, storia della filosofia medievale e smozzicare Intelligenza artificiale è una tortura. I cortocircuiti mentali si sommano: tra poco Marx chiederà a Duns Scoto se l'essere è derivabile da una macchina di Turing appoggiata su un grafo orientato. Detto ciò, il feuilleton continua, siamo alla 6^ scheggia. La storia ora si fa interessante: siamo nel teatro di Nicodemo, tutto il resto non esiste. 


     Sesto
     Io e te siamo qualcosa



        - Io e te siamo qualcosa, lo so. Ma cosa siamo? Non fare quella faccia! Mi stai ascoltando? Sono già arrivate le scimmiette, nuovo record! Sei riuscito ad ascoltarmi per due minuti. Vaffanculo! - Lisa era seduta su quel maledetto gradino a livellarsi le chiappe. Troppe sere avevano trascorso lì, a parlare, parlare e parlare ancora cercando risposte ai loro patetici dubbi esistenziali. Si credevano diversi dalla massa pulsante che respirava lo smog sulle panchine di Don Gino. Un giorno si sarebbero stufati di giocare con le illusioni, le poesie di Lisa o i romanzi di Ulisse dovevano essere il biglietto per partire da quell'acquario troppo stretto. Biglietti di prima classe per il Perù con Ulisse fradicio di curiosità sputacchiato da qualche geloso lama. Cozzavano contro ostacoli che sembravano troppo grandi anche per le loro gigantesche fantasie. Non riuscivano neanche a far più tardi del coprifuoco di Cenerentola e negli occhi di Lisa sempre lo spettro del padre, Ulisse lo vedeva spiaccicato nei suoi splendidi occhi neri, lì a sputar fango sui sogni della figlia. Neanche s'accorgeva d'averla persa per sempre in quella notte d'agosto. Era passato più di un anno ma ancora Lisa covava un rancore pieno e vivo che s'alimentava di continuo. Lisa aveva raccontato tutto a Ulisse. Tutto per un mozzicone di Merit. Lisa s'era permessa di rimproverare suo padre perché fumava una  sigaretta dopo l'altra nel balcone e s'ostinava a spegnere tutti i mozziconi tra i boccioli di rosa che stavano spuntando. Lisa gli aveva suggerito l'uso del portacenere e gli aveva portato quello che sua madre teneva nel salone. Lisa inciampò sulla coda del gatto e si fece scappare di mano il posacenere di vetro di Murano che finì in pezzi. Il terribile pater, già incazzato di suo, aveva urlato rabbioso. Poi, voltandosi verso la figlia, le aveva detto una sfilza di parolacce e, smadonnando come un addannato con le emorroidi, aveva messo fine a qualsiasi tipo di rapporto. Un anno era passato da quella sera ma la situazione era perfino peggiorata con silenzi e occhiatacce e allusioni. Poi era arrivato Ulisse e Lisa gli s'era attaccata per non affogare. Non c'erano stati segreti, s'erano confessati tutto quello che per troppo tempo avevano tenuto nascosto. Lisa gli aveva mostrato quelle strane cicatrici che lampeggiavano sulle  sue braccia… 
      
    Lisa continuava a parlare, Ulisse vedeva le sue labbra snocciolare vocali e consonanti, le vedeva chiaramente dai due oblò ma non riusciva più a sentirla. Era riuscito a raccogliere solo quella frase. Non era la prima volta che la sua girl le spiattellava quelle paranoie, era bravissima a complicarsi la vita in contorsioni inutili e massacranti.
    La sambuca portò a termine la sua sporca missione e il buio l'agguantò.


    ***


    Qualcosa lo stava tirando a galla, stava riemergendo. Non poteva affogare i suoi malumori nel sogno di qualsiasi alcolizzato, troppo comodo.
    Vedeva solo forme sfocate, la versione extra-large di Lisa era stata rimpiazzata da qualcosa che non riusciva a focalizzare. Non poteva tenere ancora per molto gli occhi aperti. Li chiuse e incominciò a muovere le braccia, uno alla volta, sfidando la resistenza di tutti e 42 i gradi della sambuca. Era finito il tempo dei tentennamenti, delle frasi a metà, delle decisioni non compromettenti. Doveva decidere, proprio come gli aveva sempre consigliato suo padre. 
    L'arpione gli si infilò nel pannolone azzurro. Passò qualche istante e si ritrovò fuori a sputacchiare ettolitri di sambuca. Era salvo, cinguettò un "grazie" e svenne con un sorriso stampato di traverso sul volto macerato.


    - Dove sono?… Mamma…- Ulisse era faticosamente uscito dalla colossale sbornia, parlava con monosillabi cercando di legare assieme consonanti e vocali. Si svegliò e sentì un odore nauseante, chiunque l'aveva salvato ora stava stordendolo con gas nervini. I peli del naso erano ancora fradici di sambuca, meglio l'alcol di quel concentrato di scoregge. Sentiva freddo ei si accorse che era nudo, un'altra volta. Guardò in giro alla ricerca della giubba ma non era da nessuna parte. Chi l'aveva salvato gli aveva lasciato un post-it sulla fronte.


    La stanza era buia e scarna, solo un tavolo, due sedie, un letto e una poltrona. Accanto al pentolone c'era un piccolo armadio con un'anta a specchio. Da qualche parte partì una musica che riuscì a rilassare Ulisse, era Bob Dylan che se la prendeva con la sua pietra rotolante.
    "Once upon a time you dressed so fine
    you threw the bums a dime in your prime
    didn't you
    people say beware doll
    you're bound to fall
    you thought they were all
    kidding you..."


    Ulisse aveva fame. Si avvicinò al pentolone da sabba e guardò dentro. Era solo acqua. Guardò meglio e vide che qualcosa galleggiava. Infilò uno spaventato mignolo per evitare una spiacevole ustione. L'acqua era tiepida, tuffò tutta la mano e afferrò qualcosa di morbido e viscido.
    - Non farlo! - nella semioscurità luccicavano solo due occhietti neri.
    - Tu sei… tu sei… - il ragazzo che cercava J.C. era in preda a un attacco di balbuzie, cercava di prendere fiato ma le parole non riuscivano a uscire, la lingua s'era accucciata tra i denti. Restò così, bloccato con una mano sul misterioso ingrediente del brodo e con in bocca una parola che non riusciva a dire.
    - …il guardiano. Ho avuto tanti nomi da quando vivo qui. Chiamami Nicodemo - disse e  Ulisse, ancora rantolante, acchiappò con la mano asciutta il biglietto da visita che gli passò.
    Lo lesse a voce alta: - Nicodemo - il guardiano del ponte. Rappresentante di articoli per suicidio - sotto sta dicitura c'era uno smile degenerato in un teschietto, aveva in bocca un fumetto: VUOI MORIRE? CHIEDIMI COME. SCONTI PER COMITIVE E PER POETI.
     
    Il sole tramontò molte volte sul ponte. Ulisse era sempre nudo ma non ci faceva più caso. Stava tutta la notte a parlare e Nicodemo si limitava a annuire con i suoi occhi neri sotto il cranio calvo.
    Nicodemo continuava ad andare a teatro e Ulisse restava seduto sulla poltrona di pelle bianca a aggiornare la contabilità e a registrare le fatture. Il tempo passava ma Ulisse non se n'accorgeva, si svegliava presto e camminava piano sul ponte, con Nico.
    Ulisse passava così i suoi giorni e s'era rimesso pure a scrivere, martellando sui tasti aggrippati della vecchia olivetti lettera 22 che Nico teneva accanto al pentolone.



    LA MONETA DELLA LUMACA
    di
     Ulisse Cerami
     
    Forse anche Gesù Cristo aveva fatto delle cazzate a 18 anni. Era questo il pensiero che l'inseguiva da qualche settimana. Il sole era sempre lì, occupato a far invecchiare le cose con la sua luce accecante. Preferiva la notte, preferiva bagnarsi gli occhi con le tenebre. Stava al volante della 126 con lo stereo appena percettibile sotto i rutti del motore. C'erano tanti posti che ancora non conosceva, il Mondo lo lasciava agli altri, gli bastava addentare la Sicilia e affondare i suoi occhi in paesaggi inesplorati per strappare via qualche ricordo da conservare. Qualcuno gli aveva detto che s'isolava, ch'era strano. Lo sapeva già. Mischiarsi alla folla gli scatenava attacchi di quel prurito fantasma che ti s'appiccica ai piedi dopo un crampo. Gli sembrava logico evitare l'evitabile, contatti sociali ridotti al minimo e tanto tempo per ballare con i suoi pensieri. Il filosofo rinnegato  pensò che, da sempre, il mare se lo conservava per l'inverno.
     
    Le curve gli venivano bene, stava portando la 126 e tutto quello che conteneva a Torre Normanna. Gli ultimi giorni d'ottobre gli passavano accanto senza sfiorarlo, non doveva neanche sforzarsi per trovare il modo d'ucciderli. I Beatles cantavano dalle casse "Hey Jude" e lui stava pensando cose che di quei tempi era meglio non pensare. Lisa era con lui.
    Aveva guidato per tutto il giorno con la cassetta dei Beatles di sottofondo. La notte era tornata in compagnia di tutte le stelle che luccicavano nel buio. C'era pure la luna lassù con la sua faccia da teschio spolpato. Si fermò dopo aver svoltato in una stradina sterrata, girò la chiave e la 126 sussultò boccheggiando strane nuvolette azzurre dal naso della marmitta.
    Il fuggitivo toccò qualcosa dalla sua divisa e lei osservò lo stemma che luccicava nel riflesso della luna. Lo stemma della Grande Dicotomia.
    L'uomo in divisa s'accese una sigaretta. Una sola boccata e la scagliò via. Gli occhi di Lisa restarono attaccati alla brace arancione che presto fu ingoiata dalla desolazione che gli stava attorno.
    La battaglia tra RAI e Mediaset era finita, erano state oscurate tutte e due. Il Padrone aveva deciso così, come aveva fatto con il Cinema, con Internet e con i telefonini. Il Padrone era dappertutto, ti sentivi camminare sulla pelle i suoi tentacoli pure sotto la doccia. Aveva tanti nomi e tante facce ma tutti sapevano che abitava nella Grande Biblioteca, nessuno ricordava come fosse arrivato al potere.
      "Tu eri uno di loro…" disse Lisa spezzando il silenzio, lui non si gira, continua a tentare di accendere il fuoco. Stringe tra le mani il suo stemma, gli fa ribrezzo toccarlo. Lo stringe e lo strappa via lacerando la giubba.
    "Tu lavoravi nella Grande Biblioteca, eri uno di quei terribili Filosofi!", lui continua a guardare i legnetti che scoppiettano feriti dal suo accendino, s'accende un'altra marlboro. "Il Mondo stava morendo. Ci sembrava l'unica soluzione…" tagliò corto lui, aggrottando il sopracciglio sinistro. Lisa sa bene che con quel piccolo gesto il discorso era chiuso.
    Lisa assaggia senza troppo appetito il panino che il Filosofo gli offre, sente la mozzarella filante e quel po' d'erba cipollina che le piace tanto.
    La risposta arrivò col vento, un sospiro materno le ricordò la loro missione. Il filosofo rinnegato le piantò gli occhi dentro i suoi. Restarono così, in silenzio mentre un'altra alba uccideva la notte.
     
        La 126 sembra rifiutarsi d'andare a San Nicola - pensò il Filosofo. Poteva scegliere qualsiasi luogo, il G. B. gli avrebbe dato una delle migliori capanne del Nord. Lui aveva preferito accamparsi nella sua Sicilia. Era strano, pensava, a 18 anni avrei voluto viaggiare per il mondo, vagare senza nessuna meta e ora che ne ho la possibilità preferisco restare qui. Fuggire era un'idea che lo faceva vomitare. Sarebbe potuto scappare ma i suoi pensieri sarebbero sempre rimasti di proprietà del Nuovo Ordine. Le sue migliori idee erano di proprietà del regime.
    Guidava nella notte e Lisa dormiva.
     
    La spiaggia era come se la ricordava e il mare era lì mentre il sole stava sorgendo all'orizzonte. Beveva una coca che sapeva di piscio e guardava Lisa che dormiva.
    Posteggiò accanto al vecchio campetto di calcio e guardò la strada deserta, a quell'ora tutti dormivano ancora. La campagna s'era ripresa il suo spazio strangolando l'asfalto con i suoi tentacoli di verde. Si respirava bene lì e i ricordi iniziarono a galoppare sotto i suoi capelli troppo lunghi. Si ritrovò disteso tra la campagna e la spiaggia, Lisa s'era svegliata e stava in silenzio a contemplare il mare. Rideva mentre lanciava piccoli ciottoli al mare.
    "Ricordi il passato?"
    "Certe notti mi sembra che sia tutto un meraviglioso incubo" guardava anche lui il mare e aveva voglia di lasciarsi andare. Le si avvicinò.
    "Com'era qui?" chiede lei, baciandogli la guancia sporca di una barba di tre settimane.
    "L'estate era tutto un ammasso di macchine e persone, ragazzi sbronzi e posteggiatori abusivi che pretendevano tremila lire per farti parcheggiare. Si stava sino all'alba a ballare su ritmi martellanti che chiamavano con strani nomi: house, garage, commercial sound, macarena… stavamo tutte le notti qui a mangiare e bere sborsando cinquantamila lire per due pizze e due birre alla spina ma ci divertivamo perché era bello dopo un anno passato a far finta di concludere qualcosa al Liceo. L'inverno trasformava San Nicola in un paese fantasma, sembrava che i cittadini vivessero lì solo tre mesi all'anno e per molti era davvero così, la villeggiatura era una breve parentesi per rilassarsi. Bastava mettersi in canottiera e boxer nella veranda a sgargarozzarsi una Moretti per sentirsi padroni del mondo, potevi fare la stessa cosa a casa ma non aveva lo stesso gusto e quindi preferivi indebitarti per compranti un bilocale vicino al mare. Eravamo fatti così, ora non avrebbe senso. Siamo tutti campagnoli e allevatori, mangiamo cibi genuini e viviamo vicino alla fottutissima natura. Una bella birretta alla spina non ha più lo stesso sapore… se sei sempre così rilassato…" Parlava alle stelle, Lisa era rimasta ad ascoltarlo con addosso solo gli slip ricamati.
     
        Ora i Beatles cantavano Help, erano una coppia bizzarra lui e Lisa.
    "Ma hai solo sta cassetta?" disse lei, sarcastica.
    "Credi che sia facile procurarsi la musica proibita? Se non ti piace staremo in silenzio…"
    "Ma chi ti ha mai detto che non mi piace?"
    La strada ricominciava a vivere e le prime mucche pascolavano placidamente sopra marciapiedi dimenticati, qualcuna incominciò a brucare l'erba che spuntava sicura in mezzo ai vecchi pali pubblicitari, la 126 non poteva andare oltre, erano arrivate pure le pecore. Posteggiò lateralmente e scese, poi aprì lo sportello di Lisa.
    "Dovremmo procedere a piedi" disse e Lisa annuì.
    Camminarono a lungo quella mattina, attraversarono la vecchia autostrada che ormai era diventata una vera e proprio giungla. Le radici dei vecchi salici avevano spezzettato l'asfalto in vari punti e l'erbacce avevano fatto il resto. Si fermarono sotto un guard-rail divelto e mangiarono qualche barretta di cioccolata.
     
    Dovevano arrivare al raduno prima di sera.


    Camminavano in silenzio, nella desolazione delle città fantasma. S'erano allontanati dall'autostrada. Il filosofo aveva solo dodici cartucce per la sua colt, non avrebbe potuto opporre resistenza a una dei numerosi posti di blocco. Se fosse stato solo avrebbe pure rischiato ma c'era Lisa e non poteva lasciarla sola. Bastò seguire quel vagone di pensieri per ritrovarsi sballottato senza ancore. Il passato gli scoppiò in testa come pop corn, chicchi di rabbia e rancore per quello che lui e i suoi amici avevano creato. Si ricordava troppo bene tutti quei pomeriggi da Mario a fumare spinelli per scappare via da quella maledetta apatia che ti sentivi sgocciolare sui sogni. Lui voleva vivere libero ma quale prezzo avevano dovuto pagare... un massacro, l'eliminazione era stato solo un massacro condito con vuota retorica, retorica rubata a quel dittatore dai baffetti stile spazzola da scarpe. Avevano azzerato il passato, avevano ucciso tutta la precedente classe politica, avevano cacato dentro le loro bocche e poi avevano preso il loro posto. Ma qualcosa era cambiato, il filosofo non aveva dubbi, era stata Lisa ad aprirgli gli occhi. 
    Lisa era rimasta sola, era stato lui a ucciderle il padre. Era in missione per conto della Biblioteca. Aveva ucciso senza rimorsi il vecchio e stava per dare fuoco alla casa quando aveva trovato quella ragazza spaurita nel bagno. Il regolamento prevedeva l'eliminazione di ogni parente diretto dei sovversivi. Doveva ucciderla e toglierle i vestiti, per ogni eliminato il Gran Bibliotecario esigeva una prova tangibile dell'eliminazione. Col coltello del serpente le strappò i vestiti e la vide nuda. Vide i suoi seni piccoli e bianchi e tutte quelle cicatrici. In testa gli tornò quella poesia di Sylvya Plath, lady Lazarus... c'è un prezzo da pagare per spiare le mie cicatrici... un prezzo da pagare.
    Lisa l'abbracciò e gli sussurrò solo una cosa: "Grazie...". Il filosofo s'andò a sedere sulla poltrona bianca, davanti agli occhi aveva il padre di Lisa, ormai solo carne, carne destinata a marcire. Lisa era andata da lui e l'aveva baciato con passione e riconoscenza e poi gli aveva raccontato tutto. Odiava suo padre e le sue preghiere erano state finalmente ascoltate. Tutto per un mozzicone di merit... era una notte troppo bella per dormire e lei era nella veranda a guardare la luna che danzava tra le stelle. Stava mangiando una merendina e carezzava il suo gatto. Il padre era uscito a fumare una sigaretta e poi aveva scagliato il mozzicone tra le rose di Lisa. Lei gli aveva solo suggerito l'uso del portacenere e lui l'aveva aggredita urlandogli le peggiori parole che avrebbe potuto pensare. Poi s'era accorto di quel gatto, le aveva detto che doveva smetterla di fare San Francesco e raccattare quelle bestiacce. Afferrò il micio per la coda e incominciò a sbatterlo contro un muretto di pietra, lo sbatteva sempre più forte e Lisa piangeva ma non poteva fare niente. Sua madre era morta e quell'essere immondo sfogava i suoi istinti su sua sorella. Ora erano rimasti solo loro due, Marilena s'era suicidata per non subire più quell'assurda violenza. Lei non voleva fare quella stessa fine doveva assecondarlo ma il gatto continuava ad urlare e la sua testa rimbombava di quel dolore e il vecchio buio le faceva paura ma il gatto stava morendo e lei scattò in piedi. Cominciò a prenderlo a calci e lui era impallidito ed era un gigante, un gigante che s'era ripreso quello che gli apparteneva, se l'era ripreso con violenza e Lisa aveva stretto il cuscino per non urlare...
    S'era interrotta ed era scoppiata in lacrime. Si alza e incomincia a dar pugni sulla spalla del filosofo e piangeva e gridava insieme: - Dov'eri quando mia sorella s'è impiccata? Dov'eri quando la testa del mio gatto è esplosa sul muretto? Dov'eri quando piangevo stringendo il cuscino? Dov'eri quando non riuscivo a smettere di sperare? Dov'eri quando quel mostro tornava ubriaco? Dov'eri? - Il filosofo la lascia sfogare  e Lisa piange, piange nel buio della casa che inizia a bruciare. Piange tra le braccia del killer che l'ha salvata. 
    I ricordi s'erano riassopiti e il filosofo rinnegato guardò gli occhi neri di Lisa. Mancava poco al raduno.
    Era già notte quando arrivarono. I filosofi erano arrivati prima di loro. Le tende ardevano ancora e i cadaveri dei ribelli erano stati accatastati come ceppi secchi. C'erano donne e bambini nel mucchio con i corpi sforacchiati dai colpi delle mitragliatrici.
    Lisa scoppia a piangere, aveva riposto tutte le speranze in quel raduno.
    Il rinnegato finalmente capì. Era stato lui, inconsciamente a guidare gli sgherri del regime lì. Era questo il dolore che sentiva pulsare nell'anulare destro. Il Gran Bibliotecario non s'era fidato neanche di lui e all'indomani della Rivoluzione gli aveva fatto impiantare segretamente un segnalatore. L'operazione era stata portata a termine dopo averlo narcotizzato. Solo ora il rinnegato comprese la scia di sangue che si lasciava dietro. Era fuggito dal Padrone ma era stato il Padrone a permettere la sua fuga per trovare i ribelli. Quel verme aveva continuato ad usarlo. Una rabbia animalesca gli montò dentro. Si mise a cercare tra le tende, sperando di trovare almeno un superstite. Nessuno, ogni suo sforzo fu inutile. Aveva già provato quel senso d'impotenza. Non era riuscito a fare niente nemmeno durante l'eliminazione. Quell'incubo che ormai apparteneva ai ricordi, ricordi che crescevano nella fantasia della gente. QUEL SANGUE SCIVOLAVA SULL'ASFALTO, SCIVOLAVA SENZA FRETTA, IL SANGUE DEI NEMICI. LE MADRI AVEVANO SFOGATO IL LORO DOLORE SUGLI ASSASSINI DEI FIGLI, CON FEROCIA GLI ASSASSINI ERANO STATI ASSASSINATI IN QUELLA NOTTE TROPPO LUNGA... LA NOTTE DELL'ODIO CON IL PADRONE CHE RIDEVA DAGLI ALTOPARLANTI, RIDEVA E QUELLA RISATA ERA IN OGNI COLTELLO, IN OGNI BOSSOLO SPUTATO DALLE MITRAGLIATRICI CHE FALCIAVANO IN NOME DELLA RIVOLUZIONE. I PEDOFILI CROCIFISSI SULL'AUTOSTRADA DEL SOLE, QUELLI CHE AVEVANO ABBANDONATO I CANI COSTRETTI A DIVORARSI A VICENDA... E LUI VOLEVA CHIUDERE GLI OCCHI, SCORDARSI CHE ANCHE LUI ERA RESPONSABILE DI OGNI ABOMINIO... QUELLA DITTATURA DEI SOGNI L'AVEVANO PROGETTATA INSIEME, IN QUEI DISCORSI DA BAR DELLO SPORT... MA IL SANGUE SCIVOLAVA, VIVO, ROSSO E SCIVOLANDO URLAVA, URLAVA DA TUTTE QUELLE FERITE, URLAVA IN OGNI RIVOLETTO, URLAVA DALLE FOGNE CHE L'INGHIOTTIVANO, URLAVA IL SUO NOME... E LUI AVEVA STRAPPATO LA SUA IDENTITÀ, NON ERA PIÙ UN UOMO, ERA UN'IDEA E QUELL'IDEA DOVEVA ESSERE IL SUO OBIETTIVO. LORO AVEVANO CREATO LA GRANDE DICOTOMIA MA ORA LA LORO CREATURA VIVEVA UNA SUA VITA E LORO ERANO SOLO MARIONETTE TROPPO UBRIACHE PER FERMARE QUEL SANGUE, QUELL'ORRORE ROSSO SANGUE CHE TRASUDAVA DALLE VECCHIE ILLUSIONI.
    Il rinnegato svenne nei fuochi che illuminavano la notte.


    Lisa lo fece rinvenire bagnandogli il volto con dell'acqua. Il rinnegato senza nome e senza passato si ricordò del segnalatore. Si alzò di scatto, scagliò lontano la pezza umida che aveva in fronte e si mise a correre prendendo per mano Lisa.
    Corrono tra le tende ardenti, tra i cadaveri. Lisa non ce la fa più, vorrebbe fermarsi ma devono guadagnare spazio e il segnalatore è sempre lì, innestato nella falange dell'anulare. Li raggiungeranno sempre.
    Continuano la loro folle corsa in quello spiazzo di verde ormai deserto, il rinnegato ha finalmente trovato qualcosa d'utile: un'ascia piantata in un ceppo. Beve tre sorsi da una bottiglia di liquore artigianale che ha trovato tra le piante, Lisa lo deve aiutare.
    Guarda il suo dito sul ceppo e l'ascia tra le mani di Lisa.
    chiude gli occhi e quando li riapre quel dito ormai è solo un pezzo di carne e sangue, non fa più parte di lui. Il segnalatore è ancora lì, scarnifica il suo dito con il coltello del serpente e finalmente lo vede, lo distrugge calando più volte la lama dell'ascia e vede schizzare lontano pezzi di micro-circuiti e schegge d'osso.


    Gli elicotteri della Grande Dicotomia volano e sono giganteschi calabroni che macchiano il cielo. Scacciano il buio con i loro fari, i primi cingolati arrancano su quella salita, le prime truppe scendono e su tutti quei manichini la divisa grigia e lo stemma, due serpenti che si amano in un viscido 69.
    "Signore, il segnalatore è stato disattivato e del sovversivo nessuna traccia. Il campo è deserto. Passo."
    "Date fuoco all'accampamento, imbecilli! Il rinnegato non poteva sapere del segnalatore... i filosofi non sono a conoscenza dei sistemi di sicurezza del nuovo ordine. Gli abbiamo dato lenza, abbiamo atteso pazientemente che s'unisse ai ribelli. Dovevamo solo lavorare di mulinello... non può essere lontano, perlustrate tutta la zona! Passo e chiudo."


     


    Ulisse s'interrompe bruscamente, rilegge quello che ha scritto. Appallottola i fogli e li scaglia lontano. Stava scrivendo solo accozzaglie di frasi senza senso e senza avere nessun'idea di dove andare a parare. Era chiaro che lui era il rinnegato e la Lisa del racconto era la sua Lisa. Stava romanzando inutilmente la sua vita. S'era tolto la soddisfazione di ammazzare il padre di Lisa ma tutto il resto non serviva a nulla. Non poteva risolvere i suoi problemi sulla carta. -Stavolta no- pensò e andò sul ponte a riflettere.