27/06/05

quando la baldracca ha mollato Woody Allen per fare coppia fissa coi miei 18 anni

Dove sono finito?

Il vecchio venditore di scolapasta m'ha detto che mi sono semplicemente ritrovato. Non l'ho mica capita 'sta cosa. Tutti gli amici li ho visti sbiadire piano piano quando ancora i cellulari erano pesanti e servivano solo per telefonare e giocare a snake. Le fotografie si facevano col rullino: lo portavi felice a stampare per poi accorgerti che avevi speso ventimila lire per due foto appena decenti e trentaquattro dita in primo piano con facce dagli occhi rossi sullo sfondo.



Ho perduto tutto e mi sono ritrovato barbuto a non avere altro desiderio che cementare quanto di buono ho costruito in questi primi 23 anni. C'è stato un periodo che ero più solo di Superman. Con la faccia da hobbit e tutto il resto, dita troppo tozze, tazze di rimpianti che ora non so neanche che contenessero. Avevo paura dei pericolosi precedenti, quelli che ti mettono sulla strada buona per portarti a tossicchiare l'ennesima sigaretta nella festa d'addio al nubilato della Depressione Cronica, quando la baldracca ha mollato Woody Allen per fare coppia fissa coi miei 18 anni. Pensavo che al massimo potevo finire in Perù a sputare sui lama, lì a sognare sotto quei cieli peruviani che i Dream Theater avevano immortalato nella loro omonima canzone.



Se non sai suonare come Steve Vai, né cantare come Freddy Mercury, né hai la faccia, la canottiera e la spacconaggine di Brando quando ancora riusciva a guardarsi i piedi, il massimo che puoi fare è infilare il naso in un libro e spulciare argomenti per affascinare te e gli altri. Non ho mai comprato un dizionario etimologico perché sono certo che potrei perdermi dentro quelle pagine, cercando di capire che c'entrano i desideri con le stelle

(de-sideros), separati e al di là delle stelle, o che il dialogo è un logos che attraversa... lo specchio? Dove sogna il Re rosso che era solo un personaggio di Alice e che Steve King ha messo a comandare un mondo che è andato semplicemente avanti.



Già, lo scenario apocalittico è uno di quegli altri sogni iperdiffusi, lo ficchiamo tutti nel nostro carrello nell'ipermercato delle idee. Le donne hanno spesso due amici immaginari quando sono piccole principesse con gli occhi stellati di speranza, noi maschi siamo più estremi sogniamo di essere gli unici sopravvissuti di un mondo al crepuscolo che si spegne lento come una nevicata di neve nera.



Aspettiamo il fallout lì, nel nostro rifugio pronti a correre per salvare solo i nostri sogni, una vita ad inseguire sogliole di tempo libero (libero poi da che?) per ritrovarsi come il Dottor Greene ad aspettare di essere falciati dall'esistenza per realizzare anche i sogni più infantili. Volete buttarvi col paracadute, catturare una lucertola con un filo d'erba? Fatelo. Nessuno ce lo impedisce.



Spesso invece ci svegliamo e ci sembra semplicemente che siamo troppo grandi, che non le sentiremo mai più le campanelle della slitta di Babbo Natale. Per poi ridursi ad afferrare almeno un alito di speranza nelle gite quando qualcuno mette nel mangianastri l'immancabile cd con Cristina D'Avena che ci rinfresca l'infanzia cantando dei Puffi e di Pollon.

Io voglio solo guardare l'ennesimo tramonto più bello della mia vita.


20/06/05

di politica e di altre idiozie meravigliose

Ripensandoci, un nome per qualche tempo la mia combriccola l'ha avuto. Avevamo pure i tesserini che Ciccio aveva fatto smanettando con Photoshop ai tempi che avere un PC era un segno di distinzione.

Eravamo il Gruppo Rivoluzionario 26/7 II°. Io avevo fatto fare pure un timbrino per siglare i documenti che battevo con la mia olivetti lettera 22 dopo ogni riunione.

Ci mancava solo una sede.



E poi l'illuminazione, mia madre non ha mai creduto ai bot e agli altri fondi d'investimento. Per lei l'unico modo in cui trasformare i soldi faticosamente messi da parte è il mattone. Così arrivava a un gruzzoletto e comprava una casa. Più che altro catapecchie. Però una catapecchia era meglio che niente. Così il 19 marzo del 1998 io e i miei amici abbiamo messo un pò d'ordine in una delle mie bettole e ci siamo fatti la nostra "casa sull'albero". Piano piano ci portammo la luce, una porta, qualche poster, due bandiere col Che e pure una piccola libreria rivoluzionaria.



Ciccio e la sua chitarra all'inizio di ogni riunione suonavano Hasta Siempre. Cantavamo a squarciagola progettando di sabotare i motorini dei Pruni o il ritiro spirituale organizzato dall'oratorio (da lì ho preso la materia pulsante per la mia mela bucata...). Ci divertivamo, io studiavo e di corsa andavo nella tana.

Poi tutto pian piano venne dimenticato. Sino a che una triste domenica Lucio s'arrampicò sul divanetto di legno e staccò via le bandiere di Che Guevara per ridarle a Ciccio. Quello era il requiem del nostro gruppo. Poi tutto il resto fu una logica conseguenza, iniziammo a fumarci i sogni. E io che cercavo di salvare gli altri capii quanto ero stato bacchettone.



Quando venni a sapere della prima canna di Lucio cercai di salvarlo, andai a cercarlo dove s'era nascosto. M'incazzai come un caimano quando venni a sapere che mi usava come scusa e scudo: per sua madre io ero una garanzia. Garanzia che svanì quando i genitori di Gaetano, tornando d'anticipo un sabato pomeriggio, mi trovarono fumato sul loro divano di pelle. Era Gaetano che m'aveva dato il fumo e ora passavo io per il demonio.



Poi il resto è quello che accade a tutti, ritrovarsi in case di cui non sai manco chi è il proprietario o che minchia ci fai lì. Bere e vomitare per poi ricominciare a bere e vomitare.

Forse così butti fuori l'angoscia che cala come mannaia sull'adolescenza che è agli sgoccioli. Perché, sin quando si tratta di abituarsi alla voce bassa e al rasoio da usare sempre più spesso, siamo tutti bravi. E' dopo che viene il difficile, quando devi metterti davanti allo specchio e dimostrare al mondo che non sei solo buono a sciupare shampoo. Che tutte le promesse che hai fatto le sai mantenere. Che sei pronto a rimetterti sempre in discussione per ribadire quello che di buono hai messo al centro del tuo mondo.



I Greci facevano la stessa cosa andando a beccarsi il loro feedback catartico dopo una tragedia. Che ne so, vedevano Edipo accecarsi dinnanzi alla scoperta dell'incesto e si sentivano svacantati. Tornavano a casa con un sentimento nuovo, scossi e però fiduciosi di un possibile rasserenamento. Come quando cammini in un sentiero di montagna, continui a salire sino a quando baci le nuvole. Come faceva Super Mario in uno dei suoi mondi. E lì, con la testa leggera e il cuore ancorato a una sola luccicante certezza le promesse le vedi, le senti, le tocchi.

E le baci.



Le baci sino a quando con le labbra rosse rosse e piene di speranza ridiscendi a valle, con le gambe ancora più muscolose, più salde, buone per marciare senza paura verso quel futuro che ti costruisci nel migliore dei modi possibili.


d'arancine-bomba e altri demoni

Sono venuti tutti gli amici a squadernarmi i pensieri.

Fisicamente siamo sempre più lontani, come l'aquilone dalla sua coda di spago. E proprio l'aquilone che qualcuno lanciò sulle pagine di Conversazione in Sicilia mi fa ripensare a quell'estate del 1998 che iniziò con la decisione di dimagrire.

Passare da 100 e passa chili a 82 fu come volare. Le mie chiappe rinsecchite le misi sulla sella del Typhoon e col buon Gaetano facevamo su e giù da Palermo, con qualsiasi tempo, sempre in due e senza la scodella in testa.



L'ormone ci sbrodolava su e giù lungo il sistema sanguigno, eravamo un grumo di speranze.

Mi piace pensare che lo siamo ancora. Avevo pure gli occhiali, il mio primo paio: quadrato, nero, orribile.



Spesso paragonano una teoria a un paio d'occhiali, il mondo è sempre quello, cambia solo il filtro attraverso il quale lo vedi e lo bevi.

Quegli occhiali poi sono stati rimpiazzati da modelli sempre più leggeri, sino al nuovo occhialino leggero leggero come un bacio dato al risveglio.

I miei amici... Eravamo una comitiva di quattro disperati, con Lucio che già sfumacchiava e io che combattevo i chili di troppo e le mie battaglie fatti di ideali coriacei e senza tempo. Ideali che sapevano di buono e stantio come il pane casalingo che pian piano si indurisce all'aria.



Con Gaetano si babbiava spesso e volentieri, facendo su e giù da un rivenditore di patatine e l'altro. Se c'era fame di arancine e di chilometri si viaggiava sino a Palermo e scambiavamo la faccia della Montessori con due arancine bomba, almeno 400 grammi di riso e altrettante calorie che poi significavano inevitabilmente un giorno di digiuno per scontare il peccatazzo di gola.



Ci piaceva stare insieme, sognare impossibili storie d'amore e di tette, terrorizzati di non essere abbastanza belli da nudi, poi c'era l'eredità degli anni 50 in cui tutti volevamo vivere...



Già, gli anni di Fonzie e dei teddy boys, coi jeans pro-orchite e il gel che poi nevica sulle scapole. Non avevamo un nome, nessuna sigla. Non che ci mancasse fantasia, quella ne avevamo pure troppa. Avevamo dato noi i nomi ai nostri nemici e poi quei nomi s'erano appiccicati nella memoria di tutti: da una parte i Pruni, dall'altra la Banda Monnezza. In mezzo noi, che eravamo buoni a criticare e a movimentare la vita placida dell'oratorio.



Andavamo spesso da Ricordi o da Mineos, ci hanno tirato su i Pizza Sub della signora Mineos (col genitivo sassone ormai appiccicato come una condanna). 2500 lire per un paninazzo fatto con la pasta di pizza piegata in due e rimpolpata di mozzarella, wustellazzi e altre ipercaloriche meraviglie. Sopra ci mettevamo birra e cocacola.

Poi andavamo al Johnatan Club, io guardavo gli altri giocare a stecche o fare quel gioco in cui poi ti spuntava la donnina nuda, calcolando quanti gettoni ci volevano per vedere la pelliccetta pubica, conveniva andare a comprare un'intera annata di Playboy e ammazzarsi di seghe. Cosa che effettivamente il Carciofo fece, secondo quanto ci diceva lui stesso, vantandosi di aver passato un'intera giornata a mollo della Jacuzzi per vedere qual era il limite fisico del suo pisello.



Poi arrivarono le femmine e qualcuno perse la testa. Soprattutto Ciccio che aveva dalla sua gli occhi azzurri e quella bastardaggine che alle puelle piace da impazzire. Sapeva pure suonare alla chitarra le canzoni degli Articolo 31 e aveva tutta una filosofia di vita che aveva succhiato da Rambo e da quel telefilm di minchia che era Classe di Ferro.



A quanto ne so, Ciccio ha impallinato la cicogna e ora vive felice in una casa che pare ferma ai sogni floreali degli anni 60. Una specie di comune dove ti sballi pure mentre fai bollire il latte. Latte che Ciccio prepara alla moglie e al bimbo in arrivo.



Che malinconia, quasi tutti hanno capito che era arrivato il momento di mettere da parte i sogni per grattugiarci sopra un pò di arrivismo. Gaetano vive nella Zummomobile rossa e lavora alle poste, Lucio fa quei corsi che servono per credere di fare qualcosa di buono per un prossimo raggiante futuro, il Carciofo s'è aperto una boutique con i soldi che la mamma teneva tra la pellicetta pubica e i cespugliazzi ascellari che non mancava di farci vedere ogni volta che andavamo a prendere il figlio. Gli altri sono spariti, hanno scelto di continuare per qualche altro anno a scacciare la noia con qualche canna o bevendo qualche altro ettolitro di vino.

Io me ne sono andato prima, li guardo, ripenso a quelle belle serate in cui ci sembrava di essere invincibili, cazzeggiando alla Rotonda o tornando a casa sempre un pò più tardi. Come se il mal di testa da sbornia fosse un segno di maturità e non una piccola e pulsante tortura.



Alla fine dell'estate puntualmente andavamo a farci il convegno dell'oratorio, ma anche lì anno dopo anno eravamo sempre meno. E masticavamo sempre più spesso la frase che lampeggia alla fine dell'adolescenza: "ti ricordi?".

Sembra che tutto quello che abbiamo fatto, l'abbiamo portato a termine solo per poi poterne riparlarne oggi.

Come che riuscire a fregare qualche Pruno, o battere a stecche qualcuno della Banda Pattume fosse stata una stella di latta da appuntarsi quando uno sogna di riavere i sogni che aveva a 7 anni.

Però mi fermo, ripenso a come mi piaceva fare curva dopo curva la stessa strada coi miei amici, con loro e i loro vizi, le loro paure. Quelle che avevo pure io. La chimera dell'impegno politico, le canne fumate guardando il cielo, le missioni punitive, le buffonate per attirare l'attenzione delle ragazze a cui spuntavano piano piano le tette, i concerti di rutti e di scoregge, le gare a chi beveva e mangiava di più.



Con loro sono diventato la persona che sono oggi. Anche grazie a loro ho trovato il coraggio che almeno una volta m'è servito per non perdere il senso di meraviglia che ha dato inizio al mondo e alla filosofia. E oggi non mi spaventa addentare quella grande avventura che si chiama futuro. Che poi lo capisci solo dopo che il futuro te lo fai tu, giorno dopo giorno. E che manco la macchina di Doc serve poi a capire che razza di uomo diventerai. Basta poco per cambiare tutto. Era questo il succo della trilogia di "Ritorno al Futuro": il futuro dipende da una miriade di scelte, sono quelle che ci rendono quelli che siamo. E io ho scelto, ho scelto di sperare.




19/06/05

quella cicatrice me l'ha fatta superman

Perché ci piacciono tanto i super-eroi?

Dico la mia, dato che sono cresciuto col mantello di Superman sulla culla.

Ho una cicatrice sul polso sinistro che solo qualche babba ha preso come residuo di un mancato suicidio. Lo sapete, il malinconico asociale coi capelli a mezzo collo riscuote sempre un certo fascino in piena adolescenza...

Ecco, quella cicatrice me l'ha fatta Superman.



Mio padre nel 1986 stava smontando una vetrina che, tolta dalla base cassettata, sembrava proprio la stessa cabina in cui Clark Kent entrava e poi usciva col mantello rosso e col pigiamone blu. Io che avevo 4 anni intingevo i miei sogni in quel mantello svolazzante. Capitemi: non potevo sciupare l'occasione, dovevo entrare nella cabina e fare vedere al mondo di che pasta ero fatto.



Naturalmente l'unica cosa che ho ottenuto è stata la suddetta cicatrice, ampiamente ricompensata dai miei primi due masters: HE MAN e quello con le gambe a molla.



Ora, proprio come già successe nei famelici anni 80, i cineasti ci rimpolpano i sogni con filmoni tratti dai super-fumetti. Ci siamo sparati già quattro Batman (e ora c'è pure il prequel), due X-Men, 2 Spiderman, 1 Hulk, 1 Daredevil con lo spin-off Elektra, etc. etc. Ora arrivano i Fantastici Quattro.



L'America non aveva una sua mitologia verso cui girarsi e se l'è creata nel mondo delle nuvole parlanti. E noi ce la beviamo con gli occhi e in dolby sorround. Perché noi non ce l'abbiamo più la sete necessaria a volare in alto. Che minchia di supereroe poteva partorire il genio italico?

Un segaiolo con lo sperma magnetico? Un cantante da crociera che tenta di conquistare il mondo?



Continuano ad obnubilarci la speranza.

In quel bel film che è "le ali della libertà", Andy attraversa le fogne per ritrovarsi libero e pensare anaforicamente a quella bella cosa che è la speranza. Ma se 'sta speranza la lasciamo intonsa, immasticata, immateriale facciamo lo stesso errore da cui volevamo sfuggire. Le speranze vanno concretizzate, si devono raggrumare in qualcosa di concreto. Se ci riusciamo senza perderci, scopriamo qualcosa di meraviglioso.



Credetemi, ve lo giuro sulla mia cicatrice, neanche Superman saprebbe fare di meglio...

17/06/05

L'invasione dei winnie-mortadella e maurizio costanzo

Coi suoi denti di coccodrillo apre le porte, entra lei, fa una piroetta ed entro pure io. Me ne porto dietro una bella manciata, attaccate a dei cerchietti di ferro che tintinnano per la strada e mi tengono compagnia e, in casi estremi, mi proteggono sfregiando chi si vuol fregare il mio vetusto cellulare che pesa quanto il busto di Kafka che ho preso a Praga.



Messe su una bilancia, loro pesano quanto il cellulare. Di certo non infilerò mai una monetina da due euro per prendere in edicola o in tabaccheria uno di quei Winnie Pooh immortadellati in un travestimento da animaletto zuccherato.



Dico: sei un orso e vai già in giro solo con la maglietta rossa e senza mutande, hai per amico un porcelletto rosa e un conigliazzo inacidito e un asinello che va bene per sponsorizzare tutto il kit del perfetto suicida. Non ti basta?



No, le nostre donne prima ci maciullano il cervello che vogliono il cellulare sempre più leggero e poi ci mettono Winnie-mortadella a penzolare appesantendo il ciucciasoldi con cui tutto fanno tranne che telefonare.

Sono quei dubbi apocalittici, i miei dubbi arancioni che sul far dell'estate ritornano puntuali.

Oltre all'inutilità dei Winnie-mortadella, qualcuno è così gentile da spiegarmi perché nessuno fa qualcosa per porre fine alla sofferenza di Maurizio Costanzo?



Ci sono soluzioni pratiche ed economiche: o lo fanno doppiare da Tonino Accolla, la mitica voce di Homer (t'immagini?), o lo sottotitolano o, meglio ancora, Maria De Filippi invece di fare e disfare patetiche coppie già scoppiate in partenza, perché non gli mette il guinzaglio e lo schiaffa nello studio di una benemerita logopedista?

In cima alla Torre Nera



Roland alla fine è arrivato alla Torre Nera, ha cancellato il Re Rosso e ha iniziato la scalata. Piano dopo piano recupera la sua memoria. Il suo è un viaggio nella quarta dimensione, quella del ricordo. Lì ci sono tutte le cose che ha perduto e, se abbiamo ben interpretato il senso dell'open ending che il Re del Brivido ci ha donato, l'eterno ritorno avviene tramite il recupero di almeno un oggetto totemico. Un oggetto che credevamo di aver perduto per sempre.

Questa volta è il corno. Poi sarà magari una delle due pistole col manico in sandalo che aveva dato ai membri del suo Ka-tet.

E voi? Che oggetto trovereste in cima alla Torre?



Io credo che ci troverei una copia dello Scrittore Fantasma, il bel libro di Philiph Roth. Perché D'Orrico può pure continuare a stordirci con la brutta faccia di Pipparolo Piperno, una cosa buona nella vita l'ha fatta: a forza di celebrare e incensare il suddetto Roth m'ha spinto ad accumulare abbastanza punti Feltrinelli per fare incetta dei libri dell'ebreo più profondo e spassoso che abbia mai letto...

E proprio il giorno che ho comprato la mia copia de Lo Scrittore Fantasma ho trovato la mia pentola d'oro, l'ho trovata piena di speranza.



O ci troverei il barattolo in cui mio padre il giorno dell'esame di primina mi fece trovare due grilli. Quel barattolo per me è come lo slittino di C. F. Kane in QUARTO POTERE: Simboleggia quell'infanzia che mi ostino a non perdere mai.

Sono un babbasone e sogno babbaluci, ma lo faccio con quella fame di vento e d'aquiloni che mi avvicina a Charlie Brown.



Di mille ce n'è, nel mio cuore di storie da narrar... Da narrar. Vi potrei parlare del circolo degli inventori che misi in piedi con la collaborazione di mio cugino Piero, delle pozioni che facevamo miscelando candeggina e altre porcherie.

O di come attraversare la casa della vicina per arrivare all'emporio della Signora Margherita per me equivaleva a fare un viaggio nella pancia della balena di Pinocchio, o volare nell'occhio del ciclone per finire nel mio mondo di Oz.

Ora sono io che guido. Curva dopo curva sposto la mia Ford lungo il sentiero dorato, vedo il sole che mi tramonta davanti, me lo bevo sulle note di Guccini o di Vinicio.

16/06/05

cavalcando tre arcobaleni

Ed eccoci, siamo tornati su questo schermo a tenerci un pò di compagnia. Magari siete vecchi co.co.co. che aspettate un posto fisso. Aspettiamolo insieme.



Abbiamo visto che se un blog vuole sopravvivere deve inventarsi sempre nuovi spunti, fare come Fulvia Leopardi e tra un bicchierino e l'altro di assenzio shakerare sapientemente ingredienti vari che legano ottimamente, un quarto di avventure al limite del tragicomico, qualche intervista, notizie strampalate e ottime incursioni nell'attualità.



Sopravvivranno pure i poeti post-qualcosa, postmoderni, post68, postdatati, posteggiati, postini di lettere mai arrivate. Loro parlano spesso in deliri che senza metrica e matrice avvelenano la speranza, che possiamo pure ignorarla ma è lei che alla fine vince tutto. Lei e l'amore.



Perché possiamo far finta che non sia così ma tutta sta depressione post-adolescenziale è solo una malcelata voglia di essere al centro dell'universo dell'altro.

Restano solo belle parole di contorno.

Nessuno vuole essere un contorno, aspiriamo tutti ad essere la portata principale nella vita dell'Altro. Chiunque esso sia.



Come dicono le persone sagge o quelle con la scopa di saggina: si parla solo di ciò che si conosce. E allora parlo di me e per me, e di tutte le altre vite che mi satellitano e lumacano accanto.

Non sopporto i cori russi, la musica finta rock... vabbé, Battiato a parte, qui c'è qualcosa che ci intossica la speranza: e questo non dobbiamo permetterlo a nessuno. Nessuno può farci sentire una piadina in un mondo di sogliole.





Se vi ricordate il primo storico "Ritorno al Futuro", capirete che intendo se dico che ci inoculano giorno dopo giorno i bacilli della sindrome di George Mc Fly. Babbiando babbiando, cercano di segarci i sogni mentre siamo girati a sentire un altro giornalista che usa l'espressione che ormai impenna e impazza: siamo un mondo a 360 gradi. Tutti a girare il loro angolo giro per dire che fanno tutto al top.



Il c.t. che vuole una partita a 360 Gradi, la Fiat che vuole rilanciarsi a 360 gradi, le cagne in calore che pretendono quattro ingroppate a 90 gradi per ottenere pure il loro meritato angolo di 360 gradi.



Tutti sti angoli giri ci ricordano che i nostri scroti gonfiano inesorabilmente, girano con il mondo che va alla deriva uggiolando scuse mal nutrite e mal nitrite.



Qui ci sono solo due strade: o ripartiamo da zero e ricominciamo dalla mela proibita e dal brodo primordiale in cui galleggiavamo insieme ai protozoi, o ci rimbocchiamo le maniche e la smettiamo di dire che tutto va così perché va così da sempre ed è inutile cercare di fare qualcosa etc. etc... Dico, se hanno fatto almeno una dozzina di serie dei Puffi, tutto è possibile. Tutto.

Perfino imbeccare la strada giusta, l'unica che ci porterà a realizzare tutte le promesse che ci siamo fatti ogni anno sotto l'albero dei nostri Natali. La stessa promessa che ci siamo scordati dopo i botti di Capodanno.



Siamo stati in grado di seguire gli intrallazzi e gli amorazzi di Lady Oscar, di Georgie dai lunghi capelli dorati e di Candy Candy; abbiamo sciupato intere generazioni di neuroni sui mondi di SuperMario a schiacciare funghi e calciare tartarughe. Abbiamo letto e riletto di come Zio Paperone con un solo decino ha accumulato i suoi fantastilioni.



La speranza è l'unica risposta.

Alla fine dell'arcobaleno c'è la pentola d'oro. Io di arcobaleni ne ho visti almeno tre.

Mi metto in viaggio sulla speranza.

E sperando sorrido.

Incartato e Incastrato

Doveva succedere prima o poi di restare incartato e incastrato in uno schema fisso di sterili e inutili variazioni sul tema.

La fossilizzazione è il pericolo che ti macina il cuore stesso del tuo ego scriptorio. C'è una sola cosa da fare per combattere contro questa inevitabile tendenza che prima o poi ti stritola.

E' successo a Stephen King (ricordate quella puntata dei Griffin in cui il suo agente gli chiedeva una storia nuova e quello gli proponeva una storia con l'abat-jour assassino?), è successo a Giulio Mozzi con i suoi viaggi in Eurostar, è successo a Kafka che non sapeva più che metafora inventarsi per arrivare al Castello del conte West-west.

Doveva succedere pure a me.

Qui c'è poco da cesellare.



Scrivo da abbastanza per capire che alzare le dita dalla tastiera non può che farci bene, senza babbiare ulteriormente con altre mistificazioni che l'oculato Peppe nel commento al post precedente ha smascherato con quell'onestà che caratterizza tutti i miei lettori. Perché di complimenti uno può pure morire intossicato.



Non avete avuto le palle di dirmi: "caro Tonino ti stai scimmiottando sempre più spesso... siamo sazi di paesi sperduti e di freak erotico-comici. Dacci nuove storie, nuovi stimoli, facci sognare un'altra volta".



Arrivi ad un punto che il salto di qualità può farti spiccare il volo o farti cadere nell'abisso dell'afasia, del silenzio certificato.

Però non voglio chiudere. Sarebbe troppo facile darvi un lungo addio.

Voglio continuare a lottare con la mia chimera. Magari l'affronterò con maggiore preparazione, non mi butterò più nell'arena allo sbaraglio.



Vedo accumularsi spunti narrativi dannatamente buoni ma il pessimismo dilaga, anche in campo letterario.

Se leggo un'altra volta il sondaggio d'orrichiano su chi sarà l'anti-Piperno vado a Roma e faccio mangiare a Piperno la mattonella in cui si vanta di essere un laziale.

Quando ci vuole ci vuole.



Ogni storia è fatta di virtualità e attuazioni: come le vecchie storie di Topolino "a bivi". Scegli ad ogni turning point che direzione intraprendere e tutte le altre ti snocciolano felici tra le gambe.

Aveva ragione Baricco, gli scribacchini che affettano la vita, quella vera, in paragrafi prima o poi sbattono contro un'incudine di parole già dette.



Il Mistero dello Scrivere me lo trovo davanti, come Truman che alla fine trova una porta sul mare:



"Mistero" trae origine dal latino "mysterium", ma anche dal greco "Mystes" (cioè iniziato). "Mystes" deriva dal verbo "myo", che sta per "stringo", mi chiudo, da cui anche miope.
Mysticos, mistico, propriamente significa misterioso, riguardante i misteri. Chi si chiude in sé, chi si stringe, di fatto viene a trovarsi nella condizione di dover mentire.
Colui che mente sa bene che sta mentendo, ma non trova altre strade, in quanto il mentire viene avvertito come meno pericoloso del dire."




Ugo Marchetta, Segreti e vergogne nelle storie familiari. Sintomi, indicibilità, narrazione


15/06/05

La promessa topa

Lucia di argomenti ne aveva due, torniti e sodi e coi capezzoli a spadotto che necessitavano di opportune coppe rinforzate. Si portava in giro quei siluri e se eri fortunato capitavi nel loro raggio d'azione beccandoti un momentaneo accecamento non siliconato.



Con quelle mammelle da polena aveva cercato di farsi strada nei meandri della pubblica amministrazione di uno dei tanti paesini del Sud che stanno sul culo del mondo: lei pensava che il mondo non finisse lì, in provincia del nulla. E sfregandosi mani e tette s'era fatta piazzare nell'ufficio di relazioni col pubblico.



Il Sindaco era un uomo illuminato, aveva letto che un re di qualche staterello più nero del suo aveva semplicemente dato il numero di cellulare ai sudditi e in manco mezz'ora la rabbia proletaria gli aveva fatto esplodere il telefonino. La gente si lamenta sempre, si sa e il Sindaco che non aveva leve per garantirsi la rielezione - non aveva porcessi per associazione a delinquere o amanti omosessuali da sciorinare -, aveva trovato in Lucia il suo cavallo di Troia. Pure che Lucia era semianalfabeta, con quelle minnazze poteva garantire un rapporto diretto coll'utenza. Ovvero l'utenza veniva con minuzzaglie problematiche che alla vista di quelle tette sparivano come spetacchiate nella notte. Questo perché da quando s'era sparsa la voce che il casello dell'URP del Comune era stato riempito da quella latteria, gli uomini che di solito mandavano le loro donne e la loro dinastia a vomitare lamentele, avevano deciso che delle questioni importanti era giusto occuparsene direttamente.



Lucia guadagnava così stima, rispetto e scatti di stipendio, mentre tutti gli altri facevano più co.co.co. di una gallina balbuziente, lei era stata assunta a tempo indeterminato con una clausola ben precisa, appena quei seni si fossero intristiti in seguito a eccessivo uso, sfregamento e/o legittimo ciucciamento filiale, Lucia doveva lasciare la guardiola ad un'altra stratettuta; questo perché il sindaco non voleva mai e poi mai ricorrere a falsità qualunquiste, era stato rieletto proprio sulla base delle garanzie che aveva dato e ridato: all'ufficio relazioni col pubblico ci sarebbe sempre stata una maialona al 100 % naturale. Niente bizoccole rifatte o riciclate da precedenti gestioni.



E Lucia che aveva sempre maledetto sua madre per averle fatto quelle gobbe anteriori, riconsiderò i vantaggi insiti in un'abbondante scollatura. Questo sino a quando non conobbe Camillo e naturalmente se ne innamorò come una pera cotta. Solo che Camillo era terrorizzato da quelle poppe, non sapeva che farsene di tutta quella grazia di Dio.



(continua...)

Di pulci e d'entusiasmo

Il Buon Vecchio Zio Votarxy, l'ipertricotico dottore, ha proprio ragione basta con i necrologi. Non importa quanti siano i blog che si vanno spegnendo piano piano come vecchi pianeti abbandonati, quello che importa è come il sottoscritto intenda continuare a rubare il vostro prezioso tempo incollandovi a questo monitor.



Di racconti zuppi della visione che io ho della Sicilia e della vita ve ne siete calati in abbondanza ma si vede che erano quelli che vi portavano e riportavano qui, magari la legittima curiosità di vedere come andava a finire alla combriccola della mela bucata, alle cucuzze o ai vari afferracazzintallaria che popolano il mio encefalo. Ci provo sempre più spesso a stare lontano da questa tastiera per evitare di disintegrarmi in troppi messaggi in bottiglia.



Fatica inutile perché voglio bene alle parole che s'addensano lottando contro questo bianco urlante. C'è il Mistero dello Scrivere che dimena la sua coda uncinata, la agita per tenermi lontano. E' il viaggio del medico condotto di Kafka, la sua repulsione per i denti d'oro che Felice teneva nel bicchiere.



Lo ammetto: sono f e l i c e pure io. Una volta tanto l'onestà intellettuale che da sempre proclamo e pretendo a gran voce m'impone di dirvelo. A volte basta proprio poco, vedere una lucciola che s'accende il culo sul far della notte, rileggere uno dei gloriosi Dylan Dog prima della depressione di Sclavi, rivedere La Febbre dell'Oro di Chaplin, farsi portare a spasso dal proprio cane che scodinzola pieno di pulci e di entusiasmo.

12/06/05

Jelly Lama dixit

Storici blog chiudono sempre più spesso.



SuperG, il mitico Supergiovane, mia storica nemesi in una mitica battaglia grafica finita nel museo dei buchi del culo è spirato. Proprio ora che aveva perfino scacciato il blu per uno sfondo bianco.



Giulio Mozzi, appena ri-citato da D'Orrico nell'ultimo Corriere Magazine (che continuo a comprare a soli 30 centesimi lasciando il Corriere all'edicolante), ha preferito ritornare alla meritevolissima Vibrisse piuttosto che raccontarci un altro dei suoi viaggi in Eurostar. Cosa che deploravo per il semplice motivo che m'aveva messo la fissa di fare la stessa cosa nei trenucoli sgarrupati della Sicilia, quei treni lerci e in ritardo ancora prima di partire dal deposito, quegli stessi treni cigolanti che viaggiano grattando il binario unico. E provateci voi a fare quello che faceva Giulio in un treno siciliano. Origli con semplicità e ricevi sguardi killer e impliciti inviti di andare a sfoltire la scorta di Scottex di cui si gloria il giovane Ego Sconnesso.



Bene o male questi miei "dicotomici furori" ci sono da più di due anni, più volte mi sono messo a torcere punti esclamativi per trasformare le apodittiche affermazioni che pullulano nel blog in ben più interessanti interrogativi.

Scimmiottando un vecchio albo gigante di Dylan Dog ("il giorno del giudizio": lì erano i racconti che un computer si mangiava a diventare reali interagendo con i nomi dei protagonisti che il disattento scribacchino prendeva a caso dall'elenco telefonico di Londra), dove finiscono i blog quando cala la notte delle parole?

M'immagino che cambino soltanto sostrato e residenza, chi ha bloggato continua a farlo implicitamente anche se non pubblica più niente. Se hai vissuto per un pò affettando in paragrafi quello che ti si svelava davanti agli occhi, lo continuerai a fare. Magari sino a scivolare nel parossismo.

Resterai lì, dirai una sentenza con le virgole tutte al punto giusto e aspetterai i commenti che s'accendono uno dopo l'altro come le stelle della sera.

Dobbiamo continuare a scrivere. Sempre meglio, scendendo sempre più in profondità.

Scendere sino a laggiù, sino a rinvenire il cuore pulsante, l'irrevocabile testimonianza di quello che davvero siamo. Arrivare sino a lì per poi volare sempre più in alto. Al di là delle antenne e degli aquiloni.

11/06/05

come cani di Pavlov (sperimentazioni umane nella neo-università)

Questo è uno di quei giorni in cui hai semplicemente voglia di correre. Proprio come il buon vecchio Forrest Gump.

Ieri volevo masticare chilometri sulla bici rossa lungo le curve della litoranea, pioveva.

Sono rimasto un pò di più a letto, guardando il bimbo biondo che riempie la copertina delle "Correzioni".



E pensavo di non alzarmi più, stare lì a rimaneggiare questo lungo lungo anno passato a inseguire i professori con un retino per farfalle con un buco troppo grosso. Alla fine me n'è scappato solo uno, ma 9 materie sono abbastanza.

E così questa è la specialistica, almeno come l'ha progettata l'Università di Palermo. Partiamo dal principio, ci siamo laureati in pochi, troppo pochi. Manco uno stentato 10 % del totale.

Per fortuna, dico io. Dove ci piazzavano se eravamo più della dozzina di neodottori in filosofia della conoscenza e della comunicazione?

Almeno qui ci hanno posteggiato nei vari dipartimenti, senza intralciare l'addetto alla spartizione delle aule. Un problema in meno, almeno per lui...



Poi la scomposizione in fattori primi: il 75% dei neodottori, dopo aver studiato Wittgenstein a tignité, ha preferito continuare a farlo e quindi ha scelto il curriculum che pare - dall'esterno, almeno - una coraggiosa duplicazione del piano di studi triennale, stessi professori, stessa aria, stesse promesse.

Bene, cambiamo tutto per non cambiare nulla. O più semplicemente è sempre meglio seguire il vecchio adagio sui guai connessi alla scelta di una strada diversa da quella conosciuta.



Ho scelto il curriculum estetico per cercare, quantomeno, di allargare gli orizzonti miei e dei miei neuroni studiando materie guidato da facce nuove. Mi sono ritrovato solo ma almeno ho studiato cose di cui sconoscevo quasi totalmente l'esistenza.

Poi da Praga è venuta pure una coraggiosissima compagna di sventura che non temendo i 54 c.f.u di debito (in quanto proveniente dal DAMS) ha scelto di studiare quello che le sembrava più proficuo per cercare di diventare un critico d'arte.

Gli altri hanno scelto di studiare il curriculum storico-filosofico o teoretico. E forse hanno fatto la scelta migliore, nell'incognito abbraccio che ci aspetta alla fine del prossimo anno, almeno hanno studiato un pò di più di filosofia di quanto abbiamo fatto noi.



Ho fatto il nomade in giro per Palermo, nell'inverno più freddo dell'isola triangolare ho segato in due la città a forza di fare su e giù dalla stazione all'università, dovendo arrivare in tempo per firmare e testimoniare così a norma di legge pure la mia inequivocabile presenza, come se potessero non accorgersi se io, unico novello estetologo, c'ero o non c'ero.



Poi è iniziato pure il caldo e quando il purgatorio del primo anno stava per finire, finalmente hanno attivato la penultima materia che mancava, il prof. di Psicologia è venuto a fine maggio con l'implicito impegno di svolgere un programma in meno di un mese.

E ora le ultime due lezioni le faremo io, la mia collega ceca, il Prof e la sua tirocinante nello studio del suddetto Prof., seduti in belle e comode poltrone verde mare.



Forse c'è un messaggio nascosto in tutto questo. Mi sto specializzando e sono finito a giugno sulla poltrona di uno psicologo...

Sono già impazzito e manco me ne sono accorto?

10/06/05

Sì X 4





Sono nato dopo 4 aborti, frutto amaro di una mancanza ormonale nella placenta di mia madre.

Con i quattro sì di domenica avrei altri 4 fratelli, e riceverei solo un quinto dei cazziatoni paterni...



(l'immagine è dell'amico daX, il mitico Coniglione)

lettera aperta a tutti i blogger

Blogger giovincelli si aggirano per la blogosfera con l'unica pretesa di vedere schizzare il contatore delle visite verso l'infinito e oltre, poveretti!

Manco sanno che vuol dire mettersi in balia della corrente, li leggo e li vedo affannarsi, scoppiano dalla voglia di dire qualcosa e poi masticano semplicemente sterili e inutili catene di Sant'Antonio o scimmiottano stili e stilemi famosi.

Andate a ritagliarvi un vostro idioletto, un linguaggio che sia solo vostro. Ne guadagnerete in profondità e soprattutto risparmierete sulla bolletta: lo so, questo post è più amaro delle didascalie che Tiziano Sclavi metteva sulle vignette dei più gloriosi Dylan Dog, ma è altrettanto amaro trovarsi in un mondo di fotocopie.

Nessuno può andare avanti per sempre con questo impegno, lo so. Ti sega le mani, ti sanguinano sulla tastiera.

Ma se neanche ci provate, prima o poi vi ritroverete più vuoti di prima.

Non abbiate nessuna premura.

Lo stesso Coniglione per tornare scoppiettante s'è preso l'anno scorso un periodo di pausa...

Perfino il visitatissimo giuliomozzi.com ha chiuso ritornando finalmente a far rivivere Vibrisse (l'unica cosa da rimproverargli ora è la scarsa attenzione riservata alla grafica, basterebbe ritornare alla semplicità del vecchio bollettino con il suo verde e il suo fucsia). E' fisiologico: mille blog nascono e altrettanti ne muoiono. Si ristabilisce l'ordine di gesso delle cose, chiunque ha aperto un blog ha l'obbligo di donare al mondo almeno un post, un solo messaggio in bottiglia che arrivi davvero all'Altro. Inseguite questo messaggio, cercatelo con tutte le forze.



Ce lo dovete.

Lo dovete soprattutto a voi stessi.

Essere Vergognosamente Felice

Vi volevo chiudere tutti fuori.



Sbattere la porta e dirvi trentatremila volte addio. Perché tutto il paradigma era da cambiare, ho semplicemente messo a fuoco male il cannocchiale. E ho perso di vista l'essenziale che coincide sempre più spesso con quanto di più semplice ci capita davanti agli occhi: le orme di una mucca che pascola accanto al paradiso o le lucciole che ci sono ancora, basta saperle cercare.

I piccoli insetti elettrici c'erano pure tra le pagine di Calvino: "Il Sentiero dei nidi di ragno" si chiude con la constatazione di Pin che le lucciole «a vederle da vicino sono bestie schifose anche loro», e il Cugino replica: «Sì, ma viste così sono così belle».



E' tutta una questione di distanza e prospettive. Se un punto di vista sbagliato compromette tutta una vita dedicata a inseguire la chimera della Scrittura, questa chimera la imbriglio e invece di affannarmi a lasciarvi parole che siano solo mie vi dono parole di altri, parole che in questa alterità sono ancora più mie.

Perché, se prima volevo semplicemente capire, ora voglio fare come Charlie Brown, rispondere alla domanda che ho sempre odiato con una risposta spiazzante:



- cosa vuoi fare da grande?
- essere vergognosamente felice.

02/06/05

viaggio in paradiso

- E cosa dicono?

- Che puoi arrivare a perderti. Perdi tutto: i confini, il senso del tempo... Due corpi possono unirsi a tal punto che non sai più chi è chi e cosa è cosa e quando la confusione raggiunge quell'intensità ti sembra di morire... in un certo senso muori. E ti ritrovi da solo nel tuo corpo, separato, ma la persona che ami è ancora lì.

È un miracolo. Vai in paradiso e torni indietro da vivo. E puoi tornarci tutte le volte che vuoi... con la persona che ami.



dal film "L'uomo bicentenario".