31/12/04

manovre di speranza

cercavo parole e ho capito che il mio papuzzo aveva già detto tutto, faccio mie le sue densissime parole:


«Augurando un buon nuovo anno, in fondo, noi esprimiamo il contenuto di nostri sogni. "I sogni sono gratis." - mi dice un'amica in un'altra lista.
Soprattutto sono un diritto inalienabile, forse sono anche il carburante del mondo. Se a volte non si può pensare positivo, tra le maglie del nostro articolato e motivato pessimismo, si può sempre insinuare, timida o prorompente, una scheggia di sogno . Quelli, i sogni, sono indomabili, inaddomesticabili, sono nudi del loro candore ed a volte, proprio col loro candore, ti suggeriscono a mezze labbra parole di speranza. Il segreto forse sta nel non subirli i sogni, ma assecondarli. Fai presto a dire - mi dico e mi direte - quando questo capodanno coincide con la più grande contraddizione che gli eventi potevano confezionarci. I telegiornali ci dicono che in tutto il mondo questo sarà un capodanno diverso, in cui la festa di consuetudine, la consuetudinaria aspettativa del meglio, sarà macchiata dalle immagini e dal pensiero della catastrofe. E poi, con pensiero a cascata, dalla precarietà della altrui e nostra vita, da un senso di apocalisse imminente. Non lo so se sarà così. Non so se sarà un capodanno a mezz'asta. Non so se godere comunque d'una festa consuetudinaria di speranza sia egocentrismo e contraddica realmente la lapalissiana sofferenza d'un cosmo a macchia di leopardo, dove c'è chi piange i morti e chi brinda. Forse azzittire la festa è un atto di rispetto. O forse è una operazione inconsciamente ipocrita. Aspettando l'anno nuovo, ognuno a modo suo mette in campo il suo personale esercito di sogni e gli fa fare manovre di speranza.» 
 
Costantino Simonelli.

26/12/04

vado, mi laureo e torno

il resto è quasi tutto qui

19/12/04

piccolissime soddisfazioni

vibrisse, bollettino: Vibrisse: si ricomincia
... esplorare le possibilità. (In queste esplorazioni mi hanno aiutato alcune persone:
ringrazio in particolare Tonino Pintacuda). Alla fin ...
www.vibrissebollettino.net/ archives/2004/12/vibrisse_si_ric.html


  

05/12/04

Un lepronte per amico


Dal mega-archivione: 2004




Per combattere il caro vita ci si deve sempre inventare qualcosa di nuovo ed ecco che, pure che il mercoledì è un giorno di quelli belli pieni (vita universitaria giunta al turning point della specializzazione e un corso di CURA REDAZIONALE DEI TESTI dalle 14.30 alle 18,30), il sottoscritto trova la forza per onorare la tessera d'abbonamento al Super Cinema.

Dopo l'ennesimo film a 6.50 euro ho guardato il mio portafoglio e lui ha guardato me, alla fine lui, stanco di essere vuoto, ha preferito rimpinzarsi di pizzini e tessere inutili. Io ho continuato per la mia strada e ho preso il suddetto abbonamento. 25 euro per 10 film in prima visione. Nell'ordine ho già visto The Village, Resident Evil - Apocalypse, Sky Captain and the world of tomorrow, Se mi lasci ti cancello e Gli incredibili.

Chiarimento necessario: la tessera è stata generosamente donata a me e ai miei due cugini da mia zia, ergo, ogni volta alle 22.30 di ogni dannato mercoledì, noi tre impavidi andiamo al Supercinema, praticamente un deserto dove il vento spinge bicchieri di coca cola e pacchi di patatine sul pavimento. Ci andiamo zavorrati clandestinamente con fiumi di bibitozze prese all'hard discount e pezzazzi di pizza che riusciamo ad arrotolare tra la giacche a vento e il maglione. Ormai sembriamo dei piccoli kamikaze col colesterolo, entriamo con l'aria più innocente del mondo rispondendo con gentili "no, grazie" all'uomo pop-corn che ci sventaglia davanti megabicchierazzi di mais scoppiato da 5 euro. Noi stoicamente resistiamo e prima che la pizza ci deodori per sempre i primi tre strati dell'epidermide siamo già disposti nella fila centrale. Attorno a noi il vuoto. Piero, il cugino-patriarca risponde agli squilli e rilegge messaggi, io cerco di spegnere il cellulare che improvvisamente si mette a suonare la cucaracha, Francesco lancia rutti che forse usa come radar per muoversi nel buio della sala. Fatta tutta 'sta trafila inizia a girare la pellicola.

01/12/04

sparato e completo

Ho finito la tesi. Mi sento (per citare l'amato Pavese) un fucile sparato. Sparato e completo.

22/11/04

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Saturo d'impegni riemergo dal silenzio per dirvi che questo non luogo riaprira' il tre dicembre...


Se siete in astinenza dicotomica mi trovate qui


Buona vita a Voi e ai Vostri sogni.

07/11/04

un paradiso all'aroma di vim e candeggina

La cesura tra infanzia e adolescenza io l'ho vissuta in un cesso.
Il primo anno di liceo noi bambinetti dalla voce bianca potevamo pisciare in pace solo se i bestioni piu' grandi erano fuori a fumare coi bidelli.
Poi, d'improvviso, il bestione sfumacchiante ero diventato io. I picciriddi non osavano entrare se io e i miei amici eravamo nel nostro cesso a fare la consueta riunione.


Partivamo tutti verso il cesso al grido unanime di "Riunione!". Li' progettavamo, per il bene della collettivita', di sacrificarci a turno per un'interrogazione, era li' che gonfiavamo i ricordi del sabato sera: in un cesso di scuola si deve sparare a zero sul sesso. E' un imperativo.
Le minchiate lievitano quadruplicando il loro volume: la sera prima hai conosciuto una turista a Cefalu', magari le ha offerto appena appena una coca cola balbettando per una vasata leggia leggia; nel cesso quella coca cola diventa una bottigliazza di champagne formato vittoria di F1, le tette della turista diventano un ideale estetico inarrivabile e i capezzoli si avvicinano al coefficiente attrattivo del mitico e introvabile 'spadotto', capace di bucare le coppe di qualsiasi reggi-tette rinforzato. Lo champagne diventa solo l'inizio e una pomiciata timida diventa una sessione agonistica dei campionati internazionali di Kamasutra.


Paride ruttava dei rutti che facevano tremare i tubi dello scarico, Carlo studiava le quote del toto nero per giocare la "bolletta", io m'arrampicavo sulla tavolozza per scrivere sopra la cassetta pucci "TONINO WAS HERE" come avevo visto fare in "le ali della liberta'" da Morgan Freeman.
Proprio nei cessi ho imparato a rollare le cicche, le mie venivano storte come il naso di una vecchia, quelle di Carlo dritte come un punto esclamativo.
Luigi preferiva complottare contro i professori facendo delle penose imitazioni dell'intero corpo docente. Carlo sciupava le spetacchiate sottili, le malefiche scoregge erano da conservare per la lezione di Chimica e, come da copione, la professoressa arrivava, sentiva l'afrore intestinale di Carlo e, inevitabilmente proferiva l'immutabile verbo: "Ragazzi, aprite. C'e' aria viziata!".


In quel cesso facevamo di tutto, talvolta ci andavamo pure a pisciare. Ma solo in casi eccezionali. Era un microcosmo. Il nostro sancta sanctorum. Un'oasi  in cui nascondere i pizzini con le formule della trigonometria e i "traduttori" per la versione di latino.


Alle medie era solo il luogo deputato alla minzione; all'universita' sarebbe diventato un'occasionale fumeria d'oppio o il luogo squallido per la piu' squallida delle sveltine.
Al liceo era un paradiso all'aroma di vim e candeggina.

28/10/04

l'afferracazzintallaria

Paolo Lo Cicero era un'afferracazzintallaria.
Era quella l'efficace definizione usata da suo padre per segargli i sogni.


 - Non ti ho mandato a scuola per vederti coi capelli 'ngrasciati e la barba lunga. 'Sti fumetti che disegni sono solo tempo sciupato. Tempo che non tornera' piu'.
 - Questi non sono "fumetti", e' arte sequenziale.
 - Chiamala come minchia vuoi, resti sempre un'afferra cazzi 'nta l'aria. Devi mettere giudizio. 


Finiva sempre cosi' con suo padre.
Sua madre se l'era portata via una di quelle malattie che non lasciano scampo e lui era rimasto li', accanto a suo padre a sentirsi dire che era buono solo a buttare nel cesso il suo futuro.


Futuro. Da quando aveva finito il liceo, l'avevano scagliato in quell'acquario di preoccupazioni. Sino ai 18 anni sei in un'isola felice, lasci che il tempo ti scorra addosso senza preoccuparti di quello che ti riserva il domani.
Il suo calendario aveva le tette della Canalis e tanto gli bastava. Ora no, lui aveva solo piu' barba e ancora piu' sogni e ora gli dicevano che era il momento di pagare il conto. Prima suo padre gli dava amorosamente a mangiare, ora s'era "stancato di foraggiarlo a vuoto".


 - Fai come tuo cugino, viaggia e lotta per un posto fisso. Tanto a stare qui perdi solo la speranza.


A frasi del genere, Paolo rispondeva col silenzio e scendeva in cantina a riempire un intero album con schizzi del suo progetto infinito, un romanzo grafico che aveva intitolato "Regina Vagina". Voleva venderlo a qualche grande casa editrice e campare coi diritti d'autore e con le ospitate a quegli inutili talk show che pero' sfunciavano bei gettonazzi di presenza. Rimise avanti i sogni e torno' all'altro suo progetto, stava illustrando alcune poesie di Paul Celan per riconquistare una ragazza che credeva di aver perso tre anni fa.


Disegno' due corpi nudi su un orologio, con le lancette piegate verso l'interno. Il tempo dell'amore, la metafora-talamo di "quella notte che s'apri' e aperta rimase".


***


 - Signor Lo Cicero, leggo qui sul suo curriculum che lei si sente "solo un rifiuto di una tipica famiglia siciliana". Che intende?
 - una tipica famiglia siciliana: le mie sorelle hanno le cosce grosse come le colonne bugnate della Cattedrale e tre figli ciascuna, il marito disoccupato e la tette tristi. Seguono la buona novella di Maria De Filippi e sognano che qualcuno le chiami ad aprire la busta di "c'e' posta per te". Io resto sullo sfondo, intonso. Sto li' a leggere e scrivere fumetti. Coi capelli troppo lunghi e la barba sporca. Sempre cosi', da una vita. Ciucciamo tutti la pensione di mio padre e arrotondiamo coi guadagni del lavoro notturno di Toto' e Carluccio. I miei due inutili cognati vendono sigarette di contrabbando con un'ape che hanno modificato sino a farla sollevare a ogni accelerata. Ripeto: una tipica famiglia siciliana.
 - Capisco. Le faremo sapere...


***


Un altro colloquio andato a puttane, Paolo non ci credeva piu', le prime volte tirava fuori il vestito che s'era messo per il funerale della madre e si pettinava i capelli all'indietro tenendoli attaccati con un nastro rosso. Ora manco quello, ci andava vestito come tutti i giorni, tanto nessuno dava fiducia alle sue tavole. L'unica cosa buona sua padre gliel'aveva detta una sera che russava tra uno sparo e l'altro di Walker Texas Ranger:
 - Paluzzu, saro' pure stato un padre indegno e un marito pieno di mancanze ma una cosa te la devo dire: ricordati che un uomo quand'e' solo manco e' buono per cacare. Non isolarti, non lo fare mai. Trovati 'na bedda picciotta con una buona famiglia alle spalle che il resto poi s'aggiusta. Non devi essere rigido, mai.
 - Io non sono rigido.
 - Lo sei, lo sei. E lo sai. Non riesci a perdonarti niente. Devi imparare che la vita che uno si sceglie e' megghiu pigghiarla coi fianchi larghi, almeno c'e' un po' di sustanza con cui consolarsi.


***


In quelle mattine di pioggia che l'asfalto diventa una buccia di zucca marcia, Paolo non andava mai all'universita'. Quelle mattine le dedicava a sua madre.
- Forse e' meglio che me ne vado. Qui ci perdo davvero la speranza, ma'. Te lo ricordi? Eri la prima a cui facevo vedere i miei disegni. Erano tutti per te, per la mia bella principessa. Te li regalavo e tu li infilavi in mezzo ai tuoi libri di preghiere. Nessuno tocca piu' quei libri.


Piangeva Paolo in quelle tre ore grigie e fredde, piangeva perche' non poteva piu' sentire l'odore di sua madre, quel bel profumo di buono e di vaniglia che lei si spruzzava la mattina presto, ancora prima di preparargli la colazione e lo zainetto.
 - Papa' dice che, da solo, uno non e' buono a fare nulla. Si deve essere sempre almeno in due. Me lo dicevi pure tu. Ci voglio credere. Te la ricordi Arianna? L'ho ritrovata. Anzi, a essere sinceri, e' stata lei che e' rispuntata. Stavo al computer e mi arriva una sua e-mail. Almeno due pagine e mezzo di scritte confuse come solo lei sa fare. Non ho capito bene se lo stronzo sono io, lei o entrambi. Forse la verita' ci sta in mezzo, come sempre. Stasera la porto a cena. Ho aiutato Carluccio e Toto' con l'ultimo carico di stecche di sigarette e ho abbastanza euri per portarla a vedere il mare.
Mi manchi, ma'. Mi manchi davvero.


Ripulita la lapide e rimpiazzati i fiori seccati, Paolo se ne andava via, senza voltarsi.


***


 - Dai, Claruzza, sono due ore che sei nel cesso. Non puoi rinviare il restauro? Devo uscire, il tempo di una doccia veloce e ti lascio il bagno.
 - Manco p'u cazzo. Il bagno e' mio, l'ha tirato su il mio Toto', piastrella dopo piastrella.
 - Si', coi soldi di papa'.
 - Bazzecole...
 -Senti, Clara, io non chiedo mai nulla. Mangio qualsiasi porcheria insapore prepari tu, sopporto pure tua figlia che sta appiccicata al televisore della MIA stanza ma ora il bagno mi serve davvero e tu me lo lasci. Con le buone o con le cattive.


Clara sapeva che Paolo non babbiava: quando si trattava di andare fuori con una fimmina 'so frati rincoglioniva. Ma non potendo sospendere la ceretta e lasciarsi solo mezza faccia sbarbata, Clara decise che Paolo poteva tranquillamente aspettare o andare gioiosamente a fare in culo. Ma Paolo era stato svezzato alle medie da Francesco Matranga, scassinatore di terz'ordine noto alla polizia come Ciccio Scassaminchia. Ciccio gli aveva insegnato ad aprire le porte degli spogliatoi femminili e a non mollare mai la presa. E Ciccio sapeva il fatto suo, la polizia preferiva chiudere tutt'e due gli occhi piuttosto che smaronarsi le palle con le lagne pantagrueliche di Ciccio che era capace di rintronare di minchiate pure Decu u' surdu.


 - Clara, se non apri' dico a Toto' che abbiamo mangiato per un mese pasta con le sarde perche' tu sei stata forse TROPPO gentile con Vicenzu u' pisciaro. Sai, farsi incornare da un pescivendolo e' uno sgarbo di quelli tremendi. Lo conosci tuo marito, basta che solo accarezza un sospetto che non ti lascia manco mettere piu' il naso fuori di casa...
 - Non oserai...
 - Osero', certo che osero'...
 - Sei un finucchiazzo, l'ha pigghiari in culu sino a quannu chianci tuttu u veleno c'hai in corpo.


E Clara usci', con mezza faccia pelosa e l'altra mezza rossa come un fico d'india. Pero' prima di ritirarsi nella sua stanza, l'amata sorella sentenzio':
 - Tanto quella li' te la fa solo ciarare, non te la dara' mai. Tra tutte le buttane che frequenti tu, questa le batte tutte.
 - Totoooooooooo'...
 - Paluzzu, stavo solo babbiando... Anzi, ripensandoci, questa qui mi sembra quella giusta per aggrizzarti. Forse e' la volta buona che ti calmi.


Paolo s'infilo' in bagno, tutto contento, si guardo' allo specchio. Pareva lo gnomo del Signore degli Anelli. Apri' l'armadietto e tiro' fuori le forbici.
Taglio' e ritaglio' e,  dopo cento colpi di spazzola, si sentiva piu' rincoglionito che mai. Da gnomo era passato a sosia stampato male di Albert Einstein, baffo compreso. Si spremette in testa mezzo tubetto di gel e pareva Robert De Niro nel secondo Padrino. Robert De Niro svegliatosi male dopo una notte passata in preda a coliche fulminanti.
 - Meglio di niente, uno ci apprezza la buona volonta'. - si disse e, dopo aver svuotato lo scaldabagno, lascio' il cesso in condizioni pietose.


Aveva gia' preparato i vestiti: una camicia color melanzana tunisina con lievi venature di sangue di scavagghiu, una cravatta nera che aveva colorato con le rimasuglie dei suoi colori acrilici e un paio di jeans. Lo stesso logoro e spelato paio che sua madre aveva cercato di dare alla Caritas e la Caritas aveva rispedito al mittente.
Mando' un essemmesse ad Arianna:


"Perche' sono stato cosi' stronzo da perderti per tre anni? Rimediero'" .
Uso' solo 65 caratteri: aveva il pollice scimunito e una radicata incapacita' a digitare; il T9 lo faceva smadonnare con i suoi inutili suggerimenti. Lei rispose con calma, mentre lui si stava strozzando cercando di portare a termine con nobile dignita' il nodo alla cravatta.
Esausto e cianotico, lascio' perdere la cravatta e lesse sul display: "forse era necessario. non ci sarebbe stato niente di quello che t'ha riempito il cuore in questi tre anni. Cmq ne parliamo meglio stasera."


***


Paolo l'ando' a prendere con l'ape dei suoi cognati.
Arrivo' sotto casa di Arianna e suono' il clacson. Toto' e Carluccio, che erano megalomani, avevano potenziato la tromba: con un solo colpo di clacson tremo' mezza Via Oreto. I Palermitani che sono abituati a tutto, risposero con un'unanime: "Va scassaci a minchia!"


Il padre d'Arianna si mostro' piu' liberale:
 - Tu con quello non ci esci, uno cosi' porta solo e soltanto danni. Danni irreparabili. Conosco perfettamente il tipo. Ma so che farai di testa tua e allora tieni acceso il cellulare che, almeno, se succede qualcosa io e i tuoi fratelli veniamo ad insegnargli l'educazione.
 - Papa', so badare a me stessa. Non ti preoccupare.
 - Lascia il cellulare acceso, io resto qui a preparare la mazza del castigo. e' sempre meglio prevenire. Uno che mi sfida suonando quel trombone del giudizio va trattato allo stesso modo.


La mazza del castigo del Signor Mancuso era un randello ricavato dallo scranno di un vecchio prozio monsignore, un manufatto che terminava con una ventina di chiodi arrancitusi e ritorti che passavano la mazza da lato a lato.
Mentre il signor Mancuso lucidava affettuosamente la gloriosa mazza, Paolo scese dall'ape e ando' a citofonare. Rispose il padre di Arianna.
 - Buonasera, sono Paolo. C'e' Arianna?
 - Puo' darsi.
 - C'e' o non c'e'?
 - Che sei impaziente? Tanto non ci esce niente, mia figlia ha saldissimi principi che le tue belle parole non potranno mai scalfire.
 - E chi vuole farlo? Pensavo solo di essere gia' in ritardo. Signor Mancuso, mica che sta lucidando la mazza del castigo... quei tempi sono passati. Le ho gia' detto tre anni fa che non era mia quella 126 verde pisello che lei dice di aver visto appartata in una zona scognita di Cefalu'. La mia 126 non poteva manco arrivarci a Cefalu'...
 - Senti, io ancora rincitrullito non ci sono. Ti tengo d'occhio. Sgarra con la mia picciridda e io ti vengo a prendere in capo al mondo.
 - ehm... d'accordo. e' sempre un piacere parlare con lei, mi saluti la "mazza".
 - Paolino, ti rissi che ancora, grazie a Dio, rincugghiunutu non ci sono. E tieni le mani a posto.


Paolo decise di starsi zitto, provocare il mazzuto castigatore non era poi sta gran genialata. S'accese una diana blu e si sedette sul gradino schiacciachiappe ad aspettare Arianna. 
Lei scese. Ed era bella come una canzone dei Beatles, per una cosi' valeva la pena farsi randellare a morte. Paolo lo sapeva. Si guardo' nello specchietto retrovisore dell'ape e si disse mentalmente che era stato un emerito minchione a lasciarsela scappare.


 - Ciao, scemo.
 - Tuo padre e' sempre cosi' simpatico o era solo contento di rivedermi?
 - Vuole semplicemente scuoiarti e farsi un fodero di pelle tua per il randello.
 - Lasciamogli i suoi sogni. Pure io diventerei un pazzo sanguinario con una figlia cosi'. Sei ancora piu' bella.
 - Paolo... mi spiace per tua madre, davvero. L'ho saputo quando stavo a Roma, non sono arrivata in tempo per partecipare al funerale.
 - Lascia stare. Siamo qui, e tanto basta.
 - Gia'. Facciamocelo bastare. Ti consiglio pero' di allontanarti da qui, la mira di mio padre in questi tre anni e' migliorata notevolmente... Dove andiamo?
- Avevo voglia di rivedere il mare...


***


Sulla spiaggia di Mondello c'e' solo Mimmu Radar, l'uomo con il cerca-metalli. Mimmu aveva speso due tredicesime per quel giocattolo credendo che in due notti avrebbe trovato, come minimo, il tesoro di qualche bucaniere. Con la pancia piena di pasta coi ricci, Arianna e Paolo si sedettero sul molo con due coni stracciatella e cioccolato a tenergli compagnia.


***


 - Che hai fatto in questi tre anni?
 - Nulla, o quasi. Solo storielline avariate presto. S'e' sposata pure mia sorella Tina, hanno messo su un matrimonio brutto e pacchiano con le poche briciole della buonuscita di papa'. Io le mie sorelle non le capiro' mai, sono scappate di casa e dalla famiglia per riversare i loro problemi in una famiglia tutta nuova. Io sono rimasto a casa, ho tenuto compagnia a mio padre. Poi sono andato a farmi la naja e, mentre ero via, Clara si e' trasferita a casa mia. Ho scoperto che tutta la mia collezione di fumetti e' stata distrutta da Ninuzzu e Giuseppina.
 - Invece i miei fratelli si sono fatti spedire in missione di pace. L'hanno fatto per non gravare piu' sulle spalle di mio padre...
 - Ah, che figli d'oro...
 - Finiscila!
 - Sono gli stessi due angioletti che hanno tentato di scafazzarmi col loro camper solo perche' avevo disegnato "Randello Pazzerello" proprio di fronte a casa tua? Dai, con tuo padre c'era in corso una piccola guerra.


 - Nemmeno lui l'ha presa tanto bene. S'e' svegliato e si e' trovato di fronte il suo faccione deformato, grosso quanto la faccia di Berlusconi in campagna elettorale. Ci sei andato giu' pesante, almeno potevi farlo meno somigliante. Gli e' venuta un'ulcera perforante.
 - addirittura!
 - Ulcera che era riuscito a curare e che tu stasera hai ripreso a trapanare. Perche' non provi a piacergli?
 - Io? Faccio l'impossibile. Solo che c'e' un problema insormontabile: amo sua figlia...


Arianna non rispose.
Lui la vide bella e pensierosa, tanto che alzo' gli occhi che le aveva piantato sui seni e la guardo' dritta negli occhi.
In testa gli si formarono subito tre serie di vignette, con tanto di mezzitoni e suoni onomatopeici:


La prima: Arianna lo pianta li'. Poi ci ripensa. Va verso Mimmu Radar, gli chiede in prestito il cerca-metalli e ritorna da Paolo. Gli cala e ricala sulla capa il cerca metalli che sostituisce egregiamente la "mazza del castigo". Sullo sfondo, il Malefico Padre sogghigna sardonicamente, agghindato come il Sergente Garcia dei vecchi telefilm di Zorro.


La seconda: Arianna si strappa i vestiti tra una vignetta e l'altra e, nuda e superba, strappa via pure la camicia melanzana di Paolo e smolecolarizza i jeans logori. Fanno sesso come quei ricci che si sono mangiati prima dell'intermezzo erotico. Sullo sfondo Mimmu Radar assiste in silenzio, arrapato pure lui, scaglia in mare il cerca metalli e va a stantuffarsi sua moglie. Non succedeva dall'ottantasette.


La terza: Arianna gli schiocca un bacio sulla fronte e gli propina il solito e tritato: "Restiamo amici". Lui si alza, va da Mimmu u Radar, lo strozza  e usa il cerca-metalli per farsi giustizia della donnaccia che gli ha appena spezzato il cuore. Con la faccia ridotta a maschera di sangue, lancia l'ape verso casa Mancuso. Citofona.
Il Signor Mancuso scende investagliato e vede penzolare dall'ape il cadavere della figlia. In preda alla follia, Mancuso sembra il giustiziere della notte con le emorroidi. Paolo lo affronta a mani nude. Gli spezza il randello in testa e suona trionfante il mega-clacson dell'ape.
Quando rincasa, Toto'  e Carluccio gli dicono che quella li' non gliela dara' mai. Li prende a fucilate e appende le loro teste nella sua cantina.
Paolo vende i diritti d'autore ad Hollywood e diventa ricco. Bruno Vespa ne ricava ben tre anni di Speciali di "Porta a Porta".
 


***



Non successe un'emerita minchia.
Stavolta Paolo aveva sceneggiato male i suoi sogni, pure Arianna era cresciuta in quei tre anni. Anche lei s'era prefissata altre mete.
Paolo la riporto' a casa. Nell'abitacolo dell'ape era calato un fituso silenzio.


Sotto casa di Arianna si sedettero sul loro vecchio gradino schiacciachiappe, li', dove avevano progettato decine e decine di possibili futuri: diversi, migliori, radiosi.
Il cuore di Paolo ora era vuoto come il cinema Lubitsch la sera della cine-maratona dedicata a Kiarostami. 
Vuoto era e vuoto rimase.

23/10/04

la notte scendeva stellata stellata

La notte seguitava ad andare avanti e non
c'era niente che potessi fare per fermarla.
Charles Bukowski



Una notte d'ottobre, seduti sotto un cielo che starnutiva stelle cadenti, ci siamo messi a masticare futuro.
Da qualche notte sognavamo lo stesso sogno.
Cade una stella e le appiccico sulla coda un desiderio d'amore pensato: se tra le pagine di Bradbury gli uomini rispondono al rogo dei libri diventando essi stessi libri, libri viventi, vagabondi fuori, biblioteche dentro; forse, nell'epoca che brucia gli uomini, i libri devono farsi uomini.
Devono correre al di la' della vita di chi li ha scritti. Chi li scrive deve riversarsi in essi, donarsi ad essi e respirare solo così, coi libri al posto dei polmoni.
Corri con me. Pensami foglio e lasciati leggere.


Stelle bianche come bollicine, risalgono il bicchiere di quel vino da 12 euro che ci ha avvicinato alla fine di quella poesia:"Ogni inizio infatti / e' solo un seguito / e il libro degli eventi / e' sempre aperto a meta'."


E la notte "s'apri' e aperta rimase".

18/10/04

Libri aperti a meta'

Wislawa SZYMBORSKA, Amore a prima vista (da La fine e l'inizio)


Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li uni'.
E' bella una tale certezza
ma l'incertezza e' piu' bella.


Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?


Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
uno "scusi" nella ressa?
un "ha sbagliato numero" nella cornetta?
- ma conosco la risposta.
No, non ricordano.


Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.


Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedi' scorso
una fogliolina volo' via
da una spalla all'altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell'infanzia?


Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.


Ogni inizio infatti
e' solo un seguito
e il libro degli eventi
e' sempre aperto a metà.

11/10/04

la teoria del bonus

... Io credo - disse Talete - che la morte di una persona non dipenda mai da una malattia o un morbo che dir si voglia. Le malattie sono, diciamo cosi', dei trucchi con cui il Supremo Manovratore dissimula il vero meccanismo della vita e della morte, e cioe' il Bonus Vitale Individuale. Se mi consentite, esimi paracollegi, vi esporro' la "teoria del Bonus" abbozzata da Cornelis Noon nella sua Terza Fase Manicomiale e da me sviluppata e perfezionata. Codesta teoria sostiene che a ogni essere vivente prima della nascita viene assegnato un Bonus di attivita' vitali, che lo accompagnera' nel suo cammino terreno.


Per fare un esempio, nel Bonus sono compresi :


trecentomila birre


un milione e diciasettemila starnuti


trenta viaggi all'estero


la possibilita' di dire seicentosedicimila volta la parola "insomma"


seicentoventitre' pediluvi


un milione di gelati


tre grandi amori


nove biciclette


seicentodue bagni di mare


sessanta litri di lacrime


quarantasei chilometri di spaghetti


trecentosettantamila errori d'ortografia


quarantamila cruciverba


tre uscite di strada a centoventi


tremila ore di poker


dieci milioni e settemila tra sigarette, sigari e tiri di pipa


sedici grosse disillusioni ...


E cosi' via per un totale di circa 10 alla 14 voci.


- E come avete calcolato la cifra ? - chiese Siliconi.


- Ho detto "circa". Mettiamo allora che Tizio sia trovato morto per uno scaramaccino, infarto, ictus. Il medico non avra' dubbi : e' colpa del cuore trascurato, delle sigarette, dei trigliceridi. Nulla di piu' falso. Avrebbe potuto continuare a fumare e mangiare : la colpa e' dello sforamento del Bonus ! Lo scaramaccino e' stato solo l'arma del delitto, come avrebbe potuto esserlo un incidente stradale, o lo sbranamento da parte di una tigre, o un vaso di fiori da un ottavo piano. Tizio e' morto, ripeto, perche', un attimo prima dell'ictus, ha mangiato il miliounesimo gelato, o ha detto "insomma" una volta di troppo, o ha pianto una lacrima in piu' di quelle che gli erano consentite. Naturalmente, c'e' chi nasce particolarmente sfortunato : se un tale ha come Bonus un solo starnuto o un solo litro di latte, non gli servira' a nulla avere trecentomila scopate a disposizione. Il poveretto starnutira' o tettera' e lo troveranno secco nella culla. Un Bonus abbondante, ecco la vera salute !


- Ma come si puo' sapere qual'e' il nostro Bonus ? - domando' Satagius.


- Non si puo', ecco il punto ! Qua sta l'astuzia del Manovratore, che lo ha nascosto in chissa' quale inaccessibile sottocodice genetico. Perche' ? Perche' se noi sapessimo che la nostra vita e' sottoposta alla legge inesorabile di codesto Bonus, avremmo paura di tutto. Fumerebbe lei una sigaretta sapendo non gia' che fa venire il cancro (infatti lo sa e fuma lo stesso), ma che potrebbe essere l'ultima del Bonus ? Altro esempio : lei conosce una meravigliosa creatura di nome Rosalinda, ma anni prima ha gia' avuto una relazione con una fanciulla omonima. Non le verrebbe da pensare che il suo Bonus di Rosalinde ne comprenda una sola, o che il suo Bonus di baci con Rosalinde sia pericolosamente vicino all'esaurimento ? Per questo il Manovratore, nella sua divina scaltrezza, simula malattie, incidenti, fatalita' e noi tiriamo avanti consumando il nostro Bonus, e magari siamo in bilico sull'ultimo metro di tagliatella, abbiamo sulla punta della lingua la parola che ci uccidera', ignoriamo che ci restano solo due tramonti sul mare...


 


Da "ELIANTO" di Stefano Benni


 


 


10/10/04

aggiornamenti

il numero 1 della nuova bombasicilia e' on-line.


nella sezione MEMORIE c'e' pure l'antologia dicotomica, un anno di dicotomici furori.

07/10/04

la perdita della spontaneita'

'Sto post l'ho schivato troppo a lungo. Ora, con meno problemi in zucca, e' giunto il momento di dedicare almeno una pedalata alla SPONTANEITA'.
Premessa: l'amico Coniglione ha dannatamente ragione [ http://coniglione.iobloggo.com/archive.php?blogid=2026&eid=269 ]


daX dixit: "La verita' e' che uomini e donne non si capiscono, e le storie d'amore viste dai due lati appaiono completamente diverse. Non c'e' niente da fare."


Ci siamo. Problemi di prospettiva? No.
Qua i motivi affondano nell'incompatibilita' tra 2 sguardi diversi sul mondo.
mi ricordo lo shock che provai allorche' compresi che lo stantuffamento orizzontale piaceva pure alle donne. Ai tempi manco sapevo bene come funzionasse tutta la faccenda, dai film e dai giornaletti sopra lo scaldabagno avevo capito che l'uomo dominava schiavette procaci a cui piaceva subire silenti.
Fu una mia amica delle medie, un gran puttanone, a dirmi la vera verita': "come piace a voi, piaceva anche a noi". Le donne potevano aver voglia solo di un'ingroppata senza strascichi emotivi o altre pacchiane beghinate. Puro e semplice scambio di liquidi organici e consumo piacevole di calorie.


Una svolta, un perno che apriva mondi di sensi nuovi. Anche le donne avevano gli istinti da tre padrenostri e cinque avemarie.


Detto cio', torniamo alla spontaneita'. quasi tutti ci ricordiamo quando la prima donna si e' presa la nostra verginita'. Riusciamo ad essere cosi' precisi col calendario quando si tratta di individuare l'istante in cui abbiamo detto addio alla ben piu' preziosa SPONTANEITA'?


Io me lo ricordo perche' l'ho capito due anni dopo. Ora se mi concentro l'attimo preciso lo becco di sicuro.
Era un sabato di giugno del 2002.
Ero andato a Palermo per comprare un libro per l'esame di Storia della Filosofia antica. La mia famiglia ne approfitta per andare a messa. Torniamo a casa e la troviamo svaligiata. Avevo lasciato il mio MOTOROLA V22 88 a ricaricare. Se lo portarono, insieme a tutto il resto.
Un terremoto avrebbe fatto meno male.
Da quella volta smisi di fare la cosa che mi riusciva meglio: non pianificare.



Odiavo programmare tutto. Bastava trovarsi al posto giusto e il resto si sarebbe addensato poi. Per intenderci, mai chiamato prima di andare da una donna. Prendevo la vecchia R4 verde pisello, le facevo ciucciare 10000 lire di Super e andavo lungo le curve della Statale a trovare tutte le donnine munite di tette degne d'attenzione.
Facevo la stessa cosa pure con le visite ufficiali, capitavo dalla mia Prof. del Liceo senza avvisare. Suonavo il citofono, se c'era sfumacchiavo mezza dozzina di camel 100's e sorseggiavo qualche bicchierino di un non meglio identificato rosolio su un divano zoppo che stava su dei vecchi libri di Svevo.



Violavo gli spazi delle vite altrui senza capirlo.
Poi di colpo, tutto all'aria. Avevano violentato la mia casa. Orribile. Smisi di andare a zonzo per accucchiare stentate pomiciate da stemperare poi con la rocchetta da 1 litro e mezzo opportunamente tenuta sotto il sedile.
Quest'estate ne ho avuto la conferma definitiva, bel bello camminavo come Gianni il Babbeo, biancovestito in tempi non sospetti (prima cioe' dell'apparizione della Bandana anglosarda), avevo voglia di leggermi il Corriere della Sera vicino alla spiaggia. Passo vicino a casa di una ex che ai tempi mi arrovento' parecchio il cuore ed ecco che la vedo uscire di sbieco. Vestita di panna, con i capelli finalmente degni di essere guardati. La vedo e non faccio nulla.
Il vecchio Tonino avrebbe attaccato bottone, avrebbe saggiato le possibilita' di un ritorno di fiamma.
Nulla. Il vuoto pneumatico tra amore e cranio.



Gia' ne avevo avuto qualche sentore quando i primi tempi dell'universita' le uscite cazzeggione andavano via via diradandosi. Ma qui era il punto massimo. Niente piu' balzi felini su prede ignare.
Ora telefono, messaggio, pianifico, progetto, calcolo e posticipo. Sono diventato vecchio.



Venerdi' scorso sugli sgoccioli di birra della Festa dell'Unita' di Palermo se ne parlava con una mia amica. Me ne esco cosi': "XXX, quando hai perduto la spontaneita'?"
Le tre xxx le metto perche', credetemi, non mi ricordavo come minchia si chiamasse (e pensare che due anni fa, ai tempi del furto, le stavo addosso come un mastino).
Lei che ha il cervello fino, risponde decisa: "la prima volta che mi sono innamorata. Davvero."



Diventi grande di colpo. Mentre ancora ammazzi i funghi di SuperMario o registri le puntate dei Simpson per i periodi di forzata astinenza. Cosi', come il vento va. Senza che capisci nulla. Ti ritrovi qualche metro sopra il cielo a guardare gli aquiloni e pensare alle certezze che avevi quando infilavi le dita nell'impasto della torta al cioccolato. Poi tutto passa. Ti ritrovi infilzatodalla progettualita' quotidiana. E so' caz*zi...  

sbanda come i sogni di un ubriaco

"E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? ... E cos'e' che volevi?"


La guardi di sbieco e di striscio, ripensi a quelle mattine che pareva una bestemmia stare incastrato a spegnersi piano nel banco di formica del liceo.
La riguardi, ti metti la faccia da bullo e dici: "Amico, ce l'hai con me? Stai parlando proprio con me?"
E imperterrito lui continua: "E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? ... E cos'e' che volevi?"


Sto verso l'ho sempre odiato. Perche' ti mette davanti alle illusioni che sbattono sui frangiflutti. Le vedi incrinarsi e svaporare via. Trattiamo spesso la Vita come la ragazza piu' bella della classe, ci affanniamo per aggrappare lei e le sue fossette.  E poi che rimane? Scopriamo che Miss Capezzolo della quarta E ha in testa l'apoteosi di tutti i deserti.sbanda come i sogni di un ubriaco
Peggio di Peppe a' Scimmia, buono solo a salmodiare formazioni calcistiche per rammendare la difesa dell'Italia.


Arrivi li', a meta, e niente. Non e' sempre vero che "la ruota vorticosa del nostro essere al mondo" si arresta, la bastarda circolare preferisce spiaccicarti sull'asfalto. E resti li', scornacchiando contro ogni aspettativa strascicata. Resti li', come quei pezzi di carta che s'appiccicano alle ruote della bici e poi girano, girano, girano sino a diventare solo una scheggia bianca quando prendi velocita' e le lacrime diventano cristalli salati ai lati degli occhi.


Nodi a profusione. Decido di fare il filo alla vita. Di nuovo. E scaccio un'immagine: Archimede Pitagorico che fa un pettine per calvi strappandogli semplicemente i denti.
Torno a meditare sul tema dell'anno e lascio tre poesie di Kavafis.
Hanno al centro la vita, beccata in momenti che sanno di triste e di cipolla. Il quotidiano gioco balordo degli incontri, l'estraneita' totale che tiene compagnia allo sciupavita e i barbari odiati, temuti e attesi.



PER QUANTO STA IN TE


E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.


Non sciuparla portandola in giro
in balia del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti
sino a farne una stucchevole estranea.


LA CITTA'


Hai detto: "Per altre terre andro', per altro mare.
Altra citta', piu' amabile di questa, dove
ogni mio sforzo e' votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sara' pure. Fino a quando patiro' questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina".


Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La citta' ti verra' dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa citta'. Altrove, non sperare,
non c'e' nave non c'e' strada per te.
Perche' sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l'hai sciupata su tutta la terra.


ASPETTANDO I BARBARI*


"Sull'agora', qui in folla, chi attendiamo?"
"I Barbari, che devono arrivare."
"E perche' i senatori non si muovono?
Che aspettano essi per legiferare?"
"E' che devono giungere, oggi, i Barbari.
Perche' dettare leggi? Appena giunti,
i Barbari, sara' compito loro."
"Perche' l'Imperatore s'e' levato
di buonora ed e' fermo sull'ingresso
con la corona in testa?."
"E' che i Barbari devono arrivare
e anche l'Imperatore sta ad attenderli
per riceverne il Duce; e tiene in mano
tanto di pergamena con la quale
gli offre titoli e onori."
"E perche' mai
sono usciti i due consoli e i pretori
in toghe rosse e ricamate? e portano
anelli tempestati di smeraldi,
braccialetti e ametiste?"
"E' che vengono i Barbari e che queste
cose li sbalordiscono."
"E perche'
gli oratori non son qui, come d'uso,
a parlare, ad esprimere pareri?"
E' che giungono i Barbari, e non vogliono
sentire tante chiacchiere."
"E perche'
tutti sono nervosi? (I volti intorno
si fanno gravi). Perche' piazze e strade
si vuotano ed ognuno torna a casa?"
"E' che fa buio e i Barbari non vengono,
e chi arriva di la' dalla frontiera
dice che non ce n'e' piu' neppur l'ombra."
"E ora che faremo senza i Barbari?
(Era una soluzione come un'altra,
dopo tutto...)."


(*trad. di Eugenio Montale)

06/10/04

domande esistenziali

Ora che pure io ho una casella gmail, che caz*zo me ne faccio?

dove il vento va

novita' | ho aggiornato il mio sito e pure la cronistoria con le ultime gocce di vita | cucuzze e' finito su gas-o-line con una bella critica di demetrio paolin | nuova grafica per gas-o-line | il cuore della mia tesi di laurea su Paul Celan | bombasicilia ora e' la fanzine trimestrale per macchiafogli mortali e innamorati |


P.S. il 30 settembre ho sostenuto l'ultimissimo esame di profitto, l'odiatissima linguistica generale [il mio primo (e unico) 26] Finite le materie, posso dedicarmi anima e corpo alla stesura degli ultimi capitoli della tesi.


Riepilogando: a dicembre la laurea di I livello in filosofia della conoscenza e della comunicazione e a febbraio dovrebbero iniziare le lezioni della laurea specialistica (Filosofia e Storia delle Idee - curriculum Estetica)

27/09/04

odissea nella blogosfera

A saperlo fare bene, leggere blog e' una piccola odissea.


Gia', un viaggio infinito. Navigare tra bloggoni e blogghiciattoli su concavi navi dalle vele nere infilate nella freccia puntuta del mouse. Chi s'inoltra nella blogosfera raramente ne esce indenne e intonso. La lettura dei blog ci lascia mutati.


Finita la quotidiana guerra (...con la razionalita' - alla fine gli 883 hanno attecchito nella memoria a lungo termine) con orari, lezioni, pastoie burocratiche, seduti sul nostro codice fiscale abbiamo acceso il PC. Una parola passamondi e le sirene ci richiamano con la finestrella del fuffaggregator. Leggiamo l'onesto coniglione che non nega l'invidia nei confronti del vuoto a perdere che riempie i cappelli dell'ultimo prodotto della De Filippi.


Altro giro, altra isola. giulio mozzi e' finito a Pordenone e fotografa il costo dei servizi della sua stanza.
Sacrifichiamo i tori di Iperione a casa di Absinth la casinista che ci offre un bicchierino d'assenzio e poi un vento maligno ci sputa sulla terra di nessuno, qui il landarolo gioca a scacchi con Wittgenstein. Marco Candida ha nuovamente cambiato titolo al blog, dopo Tiziano Scarpa ci accoglie dicendoci che ci ama, ci bastava la sua stima.


Si strappa l'otre dei venti di Yoshitsune ed ecco che la barca si spezza e attaccati a una scheggia di mouse riusciamo a raggiungere il quartiere generale di Super Giovane. Aggrappiamo il matitone gommato che ci porge e poi flettiamo i muscoli e ci strappiamo un legamento e sifossifoco ci risponde sardonico con le sue facciuzze. Un altro ci dice che ci salva solo se lo linkiamo...


Sballottati come un barattolo di ceci, ci ritroviamo nell'impossibilita' di ristabilire una connessione. Il telefonino esala l'ultimo respiro. Annodiamo la bandana anglo-sarda che abbiamo ritagliato dalla copertina del venerdi' di Repubblica e l'annodiamo a un timone che ci ha lanciato Virtual Blog. Attraversiamo il deserto dei blog abbandonati e dei blog sciupati ed eccoci, sani e salvi. Confusi e un po' felici.


E ci risvegliamo nel sogno del Re rossi sognato da Alice.


[E qui sinceramente m'infilo in una parentesi per omaggiare il talento dei copywriter della Telecom. Hanno chiamato un motore di ricerca col nome della guida di Dante a zonzo tra inferno e purgatorio (implicitamente negando che nella splendida ragnatela che ci avvolge ci sia una landa paradisiaca). E ora, dopo il mezzo fallimento della BBox, l'hanno semplicemente ribattezzata Alice. Come la pupazza di Carroll. Ci sta a pennello.]


rotola come lattine vuote

Le ultime teste che rotolano mi hanno fatto ricordare le ultime pagine de LO STRANIERO di CAMUS


In estrema sintesi: Mersault aspetta nella sua cella il boia e la morte dopo che ha ucciso un arabo per il troppo sole. Si sente svacantato e ripensa a quando suo padre ando' a vedere un'esecuzione.
E nell'ultima pagina conclude cosi':


[...] Laggiu', anche laggiu', intorno a quello ospizio dove vite si stavano spegnendo, la sera era come una tregua malinconica. Cosi' vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch'io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato del male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo cosi' simile a me, finalmente cosi' fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perche' tutto sia consumato, perche' io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio.


FINE


-----


Le teste rotolano ancora al di la' dell'ultima frontiera del terrorismo mediatico. E pensare che una vita fa all'esame di sociologia della comunicazione ho preso la lode proprio discettando dell'impatto devastante dell'immagine della distruzione delle torri gemelle.


C'era un articolo in cui si parlava di giovani "incatatonizzati" davanti alle immagini delle torri sbudellate, tagliate in due come sogliole nel bacio violento degli aerei. Giovani spiaccicati sul televisore per tre giorni di fila, incapaci di abbandonare  il canale all news. Imbambolati.
Per tre giorni di fila.


Hanno trasmesso la morte in diretta e ora a sfogliare le parole piu' cliccate della rete vedi che ci sono i CERCATORI DI MORTE, gente che cerca spasmodicamente questi filmati invece di scaricarsi una bellona di plastica che ondeggia tetteculoecosce.


Picciriddi di 12 anni che ce li hanno pure nel telefonino questi filmati di teste rotolanti, che magari si scambiano questi invece della figurina di Totti. E io alla loro eta' chiudevo gli occhi pure davanti alla scena identica che c'era alla fine di CINQUE DITA DI VIOLENZA con Bruce Lee.
Picciriddi che vanno da mia madre - professoressa alle medie - a farle vedere le stesse teste che rotolano nel loro telefonino con lo schermo colorato.


Ritorno a Dostoevskij e alla bellezza che salvera' il mondo.
Uno ci spera.
 
E la speranza rotola pure lei. Rotola come lattina vuota.

26/09/04

i commenti in copia multipla

ciao! komplimenti x il tuo blog!!e' 1 sakko carino!!passa sul mio e linkami eh!!ciauzz
giuggy_figa (
http://giuggyfiga.splinder.com)


Odio la gente che fotocopia commenti e poi passa le domenioche pomeriggio a spargerli tra i blog per acchiappare visite. Come se uno linkasse tutto quello che passa il convento.
Il link va meritato. O no?


I nuovi blogger hanno la frenesia da counter, una malattia che se non si cura in tempo non lascia scampo.

a day in the life

4 cifre rosse sulla radiosveglia: 06:45
televideo
mediavideo
corriere della sera del giorno prima
Stefano Benni - SALTATEMPO
solite cinquanta mail sparse per le varie caselle
labachecasportiva.it
blog affini
manuale di linguistica generale
come si fa la trascrizione fonetica e fonematica
The grammar you need
cesto dei libri in offerta
corriere della sera di oggi
televideo
mediavideo 
quello che Bart scrive sulla lavagna
titoli di testa dei simpson
5 euro
orario dei treni
PALERMO C.LE
corriere della sera
SALTATEMPO
mail da/per bombacarta
www.giuliomozzi.com
www.stephenking.com
www.francescogazze.it
manuale di morfologia
dampyr_il teatro dei passi perduti
televideo pag. 200
specchio della stampa
il venerdi'
corriere della sera magazine
corriere della sera
vanilla sky (a colpi di pennarello) - PLAY
titoli di testa di Vanilla Sky
titoli di coda di Vanilla Sky
WINDOWS 98
"non ci sono nuovi messaggi"
SALTATEMPO
4 cifre rosse della radiosveglia 01:22

(quasi) trentamila!

tra poco saranno trentamila le volte che i dicotomici lettori sono passati di qui.


Grazie a tutti.


 

25/09/04

that's sicily

Fuori diluvia. Sento la telecronaca del Palermo e mi viene a bussare una curiosita': quanti siciliani ci sono su splinder?


 

quello che i giovani (non) leggono

Stamattina sfoglio il Corriere e mi trovo davanti la bella notizia che Orwell guida la classifica dei dieci - e dico 10 - libri che i giovani si porterebbero dietro inzainettati per bene.
Mi spunta un dubbio, c'entra niente la fascetta ignobile che quelli della Mondadori hanno prontamente appiccicato su 1984? Una fascetta gialla canarino che strillava "la vera storia del Grande Fratello". Il dubbio resiste alle intemperie.
E poi, è tristemente scomparso l'evergreen Siddharta. bene, diciamolo, ci aveva un pò smacinato les pelotas. Vabbè, un secolo fa c'era Jovanotti che cantava "Siddharta me l'ha detto che conta solo l'amore"... amore. Parola inflazionata.


Ora, la domanda che davvero devo sputare prima che sia tardi è: chi cacchio si porta sulle spalle IL NOME DELLA ROSA?
Capiamoci, io adoro Eco quando scrive di quello in cui è davvero competente. Di segno, lingua, metafore e boschi narrativi, ornitorinchi kantiani ed estetica tomista può parlare a iosa ma lasci stare la narrativa. Vabbè, so già la risposta. Quella non è narrativa ma è meta-narrativa. Lui gioca a smontare il meccanismo che sta alla base dei libri illuminando la sua sterminata padronanza di tutto il baraccone insito nella parola scritta.
faccio finta di essere convinto e continuo.


Scivolo sulla sciabola e sui capelli color del grano del Petit Prince che è sempre un'acchiappalettori e vado avanti. Becco Sal Paradiso e la storia sfilata via con benzedrina e rotoli chilometri sulle ruote biancocerchiate delle Ford lucide di Sal Paradiso e Company. On the road ci sta sempre bene. E pure tutti i vattelapesca del giovane Holden che acchiappa segale e anatre stanche di ghiacciarsi il culo a Central Park.


Altri misteri: chi si mette nello zainetto Garcia Marquez e l'insopportabile trafila dei Buendia e di Macondo? Arrivato a pagina 70 ho preso il libro e l'ho salutato per sempre. Meglio le storie sporche di terra.


Altro grande assente Camus e il suo Straniero.
E manco un russo. Capisco che il campione intervistato è incastrato nella bell'età tra i 18 e 25 anni, ma nessuno si è avventurato nella Pietroburgo delle notti bianche di Dostoevskij?
Dai 18enni mi sarei aspettato risposte più contestualizzate.
Dico: e allora chi cavolo se l'è comprata Melissa P? Pensavo che i seguaci di Onan avessero fatto incetta della piccola siciliana creata a tavolino. Niente.
Manca pure Stefano Benni. E questo mi dispiace.
Perché Benni è meglio della nutella. Ti lasci scivolare nella sua lingua piena e barocca dove tutto è detto con pennellate di fantasia. Che ne so... invece di dire un cane vecchio, ecco un cane che aveva annusato un sacco di pisce di tirannosauro. E i mitici Grattasmog? Niente.


Sti giovincelli si tirano dietro l'inquietante 1984 con la Neolingua e la stanza 101. Tutti
allora sanno cosa c'è nella stanza 101. Ci sono le nostre paure più nere e profonde, le paure che ci fanno tradire ogni nostra convinzione per restare vivi e per cullare per il resto del tempo il rimorso. Nella stanza 101 ci siamo finiti tutti insieme. Le muse di Esiodo avevano detto qualche secolo fa che gli uomini si stavano riducendo a sola panza. Panze barbute che pensano solo a rimpinzarsi per poi ondeggiare in palestra nella pausa pranzo. Gente che zampogna il telecomando alla ricerca di qualche oscillachiappina bionda o bruna. Un esercito di coscette da locusta che danzanoridonoriempionoisognideglitaliani prima di finire spiaccicate su un calendario a reggersi le tette con le mani. Gente che si lamenta dei prezzi dei libri scolastici e poi munisce il pargolo di telefonini che non sfigurerebbero sulla plancia dell'Enterprise.


E questo è peggio.

24/09/04

Cucuzze (versione completa)

Il racconto sta per essere pubblicato in un'antologia di prossima uscita per la Navarra Editore.

18/09/04

l'autore onnipotente

Ci ho provato pure io a rivoluzionare lo stile e le idiosincrasie dicotomiche, prima mi metteva strizza solo l'idea di far parlare i personaggiucoli che tiravo dentro il foglio bianco nel mio piacevole hobby scriptorio.


MI terrorizzavano le virgolette. Perché capita che le parole non filtrate annullano le distanze. Sino a quando c'è l'autore che si dondola nelle sue sequenze descrittive regalategli dal suo punto di vista onnisciente uno accarezza l'onnipotenza.


Si sente quasi come Jim Carrey in una settimana da Dio.
Ecco, se avete presente il film c'è una scena in cui Bruce-Jim si impossessa del suo nemico anchor-man e lo fa blaterare come blaterava L'Ace Ventura dei tempi d'oro.
MI sento così quando provo a far parlare i personaggiucoli.
IO da anni provo a scrivere come Platone dialoghi densi in cui tutto avviene nel logos e attraverso esso. Comprese le scene esilaranti in cui il Buon Vecchio Socrate se la prende coi Sofisti e le loro acrobazie logico-sintattiche.


Una notte me la sono pure sognata tutta la scena: 'na specie di processo all'Autore.
Tutti i miei avatar di carta e parole che se la prendevano con me.  E poi, naturalmente, l'ho spiaccicata sul foglio.
 
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Da ULISSE, LUMACHE E CIOCCOLATINI | XI capitolo- Il processo:


Chi sei?- chiede Ulisse -Chi sei?- insiste ma l'uomo non risponde, continua a succhiare quel pezzo di carne e lo guarda, fisso.
- Sono l'Inquisitore. Il tuo inquisitore. Sei condannato e ora scriverò sul tuo corpo la condanna e non ci saranno richieste di clemenza. Sono solo l'ultimo degli inquisitori ma sono potente. Non riuscirai mai a corrompermi. Entri il primo testimone-.
La porta da dove Ulisse è entrato si spalanca, entra Stefano Re con la caldarella di cemento legata al collo che tiene sotto il braccio. Si va a sedere in un'altra sedia che è appena apparsa.
-Giura di dire tutta le falsità che può per incriminare questo recidivo?- Chiede l'Inquisitore.
-Lo giuro - Stefano sogghigna, al collo ha una catenina d'oro con un piccolo ciondolo a forma di delfino. La stessa collana che Ulisse aveva regalato a Lisa e lei gli aveva rispedito al mittente cacciandola dentro una busta che poi gli aveva spedito per posta prioritaria.
-Signor Re, riconosce il ragazzo che porta i ceppi ai piedi?-
- Sì. Lo riconosco, signor Giudice-
- Può dire alla giuria di che colpa s'è macchiato questo ragazzo?-
- Mi ha creato lui… in un certo senso, questo ragazzo è mio padre e mia madre. Mi ha regalato la vita ma lo ha fatto solo per togliersi di dosso tutto quello che non riusciva a reggere da solo. Tutto è iniziato sei anni fa. S'è messo davanti alla macchina da scrivere, s'è raddrizzato gli occhiali, ha infilato un foglio troppo bianco nel rullo e s'è messo a martellare sui tasti di quell'alfabeto di plastica e metallo. Era una storia simpatica, io ero solo un ragazzo che si stava affacciando alla vita, tagliando solo a quindici anni il cordone ombelicale. Era gasato, scriveva pagina dopo pagina e mi regalava un passato, un brutto passato, se posso aggiungere -
- Si limiti ai fatti, Signor Re, sono solo io qui che posso giudicare. Mi spieghi meglio che intende dire con "mi ha regalato un brutto passato"-
-Ero grasso, signor Giudice, ero grasso e mi obbligò a mangiare quintali di insalata e litri di yogurt alla fragola per scacciare la pancia che mi sollevava le camicie. E la dieta fu solo l'inizio.  M'aveva creato completamente miope, non vedevo neanche i passaggi delle equazioni che la professoressa svolgeva alla lavagna. E sedevo in seconda fila. Poi, finalmente, si decise di mettermi sul naso un paio d'occhiali e solo molto tempo dopo sostituì quei fondi di bottiglia con le lenti a contatto. La prima delle mie disgraziate avventure l'aveva intitolata "De amicitia et adulescentia". Ma dico, chi si credeva? La reincarnazione di Cicerone? E io lì, impotente, senza poter scegliere niente con la mia testa. Potevo solo aspettare un'altra frase da vivere. Con le ragazze, non le dico, signor Giudice. Tutte complessate e con problemi peggio dell'Uomo Ragno. E nemmeno questo gli bastava. Sentiva proprio il bisogno di trasformare ogni cavolata che gli capitava in un nuovo capitolo. Mi chiamò Stefano Re, dico, un po' di fantasia! Lui aveva passato tutta l'adolescenza spiaccicato sul letto a leggersi tutti i libri di Stephen King e aveva sentito il dovere di chiamarmi con la banalissima traduzione italiana del nome del suo autore preferito. Stephen King e Stefano Re, niente d'eccezionale. Per i miei amici, o meglio, per gli amici che mi mise accanto lui, non si sforzò nemmeno. Cambiava solo un po' il cognome o faceva qualche giochetto stupido con le parole. Dopo il De amicitia si dedicò alla sua versione della Divina Commedia. L'aveva iniziata in endecasillabi ma poi stufato s'era messo a riscrivere in prosa e manco s'accorgeva che non m'aveva mai fatto dire una parola. Si limitava a raccontare fatti e riempire frasi d'aggettivi, sempre gli stessi che giocava a sfumare con un dannato dizionario dei sinonimi. Un'angoscia, ero pieno d'aggettivi e muto come un pezzo di gesso. Poi finalmente l'epifania, si era messo a leggere Dylan Dog e lui che si cacava pure d'andare a pisciare da solo, decise di superare quella paura abusando di libri e videocassette horror. Già c'era stato Stephen King, ora s'era preso di petto Romero e i suoi zombi. La sua versione della Divina commedia era l'unica cosa decente che aveva scritto. Niente problemi esistenziali, l'aveva intitolata l'Infinita commedia-


- Mi racconti la trama, signor Re e non ometta particolari. Tutto peserà al momento della condanna-


-Camminavo tranquillo verso il mio liceo e arrivavo con due o tre minuti di ritardo, trovavo davanti la porta due giganteschi scarafaggi. Tremavo un po' quando arriva il mio prof. d'italiano a salvarmi. Ha in mano una versione fantascientifica di una mont blanc col pennino modificato che spara laser d'inchiostro. Laurentius, il professore, diventava la mia guida e io lo seguivo nelle varie classi. Ogni classe era occupata da dannati macchiati di varie colpe. Dopo aver visitato le classi della disperazione, passavo al limbo degli arrivisti, dove trovavo i miei amici secchioni…signor giudice, questo l'avevo dimenticato: non solo panzone e miope, pure secchione mi aveva fatto! … e i miei amici secchioni, dicevo, stavano seduti con il braccio piantato nel banco e la mano perennemente alzata per rispondere a qualsiasi cavolata. Poi passavo all'aula della felicità, dove la prof di filosofia, fasciata in uno smagliante vestitino che gli lasciava le zizze in trasparenza, mi dava il segreto della felicità. Mentre stavo per apprendere finalmente il segreto mi svegliavo all'ospedale con i miei amici a piangere come fontane. Avevo avuto un incidente col typhoon ed ero in coma da nove giorni. Capisce, signor giudice, pure in coma!-


-Stava parlando d'una epifania avuta leggendo Dylan Dog e visionando i film di Romero, a che si riferiva? -


- Giusto, signor giudice, ma mi capisca. Non ho mai avuto occasione di sfogarmi per tutto quello che mi ha fatto passare quel macchiafogli. E meno male che l'ha fatto imbavagliare! Chissà quale scuse avrebbe vomitato dinnanzi a lei per ottenere una pena più dolce. Dopo l'infinita commedia deve essersi fatto la prima ingroppata e di riflesso me la sono fatta pure io. Solo che questa non me l'ha fatta vivere sul foglio. Era solo una consapevolezza nuova che mi ha messo negli occhi. Con Romero e Dylan Dog in testa si mise davanti al pc, la macchina da scrivere era ormai obsoleta, e si mise a scrivere "Il liceo dei morti viventi", che poi diventò "Dicotomici Furori". Finalmente parlavo, avevo venti chili di ciccia in meno e i capelli lunghi che mi coprivano le orecchie a sventola. La trama era interessante ma quanti colpi di scena, signor giudice! Per poco non ci rimettevo il culo e il padulo! Era dicembre e lei sa bene che di quei tempi l'okkupazione è sempre in agguato. Il preside Galatus si era messo in testa di evitarla, ad ogni costo. Aveva evocato il diavolo e gli era apparso il demone Ciollone che in cambio dell'anima gli aveva promesso un liceo perfetto con alunni in divisa e senza tendenze anarchiche in testa. Lui aveva accettato e in un secondo era apparsa una strana marea bluastra che s'era infilata nelle varie aule. Come risultato gli studenti erano diventati zombi, zombi con ottimi risultati scolastici. E perfino dieci in condotta. Dall'oltretomba Ciollone aveva risvegliato i grandi pensatori del passato e gli zombi assistevano alle lezioni di Kant, di Cartesio, di Euclide, di Platone e prendevano appunti precisi e ordinati. S'erano salvati dal maleficio solo i miei amici e il prof Laurentius. Il macchiafogli scrive panzane, sicuro, però erano panzane con una certa logica. Non spiega mai nel romanzo perché Laurentius è immune al maleficio ma per me e i miei amici partorisce un'ideuzza niente male. Galatus aveva chiesto un liceo perfetto con studenti modello: io e i miei amici secchioni lo eravamo già, gli altri superstiti, i sodomizer boys, erano un caso irrecuperabile. Non sarebbero mai stati studenti modello manco se Satanasso in persona veniva a punzecchiarli con il suo forcone. E il romanzo procedeva con attacchi di zombi, lutti nella resistenza e grandi prove di lealtà. Finiva naturalmente bene per la resistenza dopo che l'azione si era spostato in un inferno egiziano. Il titolo veniva proprio dall'ultimo capitolo, un open ending, che m'affidava la responsabilità di tutto il liceo. Io scrivo, signor giudice, proprio come il mio ignobile creatore, e dalla mia scrittura dipendeva la mia sopravvivenza. Quello che scrivevo accadeva, ma solo le cose credibili, non potevo far resuscitare i miei amici scrivendo, potevo solo attendere il trillo della sesta ora e tutto sarebbe finalmente finito. Restavo sulla spiaggia con Stefania e Carlo, gli altri due sopravvissuti e non ci restava che attendere. Attendere o lasciarsi naufragare nell'oblio. Questo dubbio era al centro di tutti i dicotomici furori, proprio come in quel film, le ali della libertà: o fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire. Mi ha sempre fatto vivere sul filo dei contrari, mai mezze misure, mi ha condannato a essere lacerato tra estremi, non ha mai capito la ricchezza delle sfumature. Quando finalmente le ha capite mi ha lasciato morire, quando finalmente potevo vivere avventure più mature mi ha fatto affogare con questa caldarella che mi porto addosso. Fregandosene di ogni logica temporale mi ha fatto vivere quell'incubo in "nuovo buco", un delirio senza né capo né coda. Signor giudice, è mio padre quello lì, incatenato. È con dolore che sono venuto qui a fare quello che doveva essere fatto. Perché io non sono capace di farmi giustizia con le mie mani, lui mi ha fatto così. Potevo vendicarmi lasciandolo sbranare da quello squalo ma non ci sono riuscito e ho dovuto salvarlo… è mio padre, non potevo ucciderlo! Voglio solo giustizia-


-Cosa chiede a questa corte?-


-Voglio vivere. Non posso morire con questa caldarella di cemento al collo. Voglio vivere la mia vita senza dover tremare ogni volta che lui si mette a scrivere. Chiedo solo un nuovo racconto e un nuovo amore. Andrò a vivere con la mia compagna e non tornerò mai più. Mai-


Ulisse ha ascoltato lo sfogo di Stefano, non aveva mai capito quanto può soffrire un personaggio. Ha le mani legate e in bocca un quadrato di scotch gli impedisce di parlare, si mette a sbraitare mugolando come un pazzo.


- Ha qualcosa da dire, imputato? E perché non parla? Come? Lei che tante volte ha lasciato in silenzio questo suo personaggio non ama forse assistere inerte allo svolgersi degli eventi? Vorrebbe magari essere slegato? Vero? Lei che ha deciso i movimenti di ognuno dei suoi personaggi, lei che è stato per loro solo un perfido burattinaio vuole essere libero? Capisce la sofferenza di Stefano? La capisce? Io penso che lei sia abile. Lei è viscido e ha molte risorse sotto quella montagna di capelli. Lei deve essere messo nella condizione di non nuocere più a nessuno. E c'è solo un modo: le verranno amputate le mani e i piedi e la lingua, le verranno strappate le palpebre e verrà seppellito nella tomba sopra la collina, solo la sua testa rimarrà fuori e i gabbiani si divertiranno a divorarla con piccole beccate. Le strapperanno brandelli di faccia e con quelli nutriranno i loro piccoli. La sentenza è definitiva. E dato che lei non ha niente da aggiungere, il caso è chiuso-
La porta si spalanca di nuovo, entrano gli altri personaggi dei suoi racconti. I ragazzi della Resistenza di Dicotomici Furori avanzano portando sulle spalle la cassa di pino che puzza di broccoli. Hanno tutti gli stessi occhi rossi del Giudice. Guida il corteo Stefano, il suo Stefano. Il Giudice sparisce e sullo scranno d'ebano resta solo il suo cappuccio di tela nera. Avanzano verso Ulisse e nella loro marcia funebre travolgono il cartello delle facce. Poi si fermano e i loro occhi di carbonella s'indirizzano verso Stefano. Aspettano un ordine dal loro capo. Stefano è in piedi, davanti a Ulisse. Si diverte a vederlo incaprettato, ride e accarezza il piccolo delfino che porta al collo. Ulisse agita la testa, vorrebbe parlare.


- Cos'altro vorresti aggiungere, papà? Che magari ti dispiace? Che neanche immaginavi quanta sofferenza ci hai regalato raccontando le tue storielle? Sono solo parole, non servirebbe a niente. Ma voglio sentire come invochi pietà. Non abbiamo mai avuto occasione per dialogare, noi due. Hai sempre guidato tu il gioco. Ma voglio sentire cosa ti inventerai stavolta, la fantasia non ti è mai mancata. Levategli il bavaglio dalla bocca, ragazzi-
Si avvicinano a Ulisse Stefania e Carlo, Carlo gli da un cazzotto nello stomaco e Stefania gli pianta le unghia laccate nel naso, poi gli solletica il mento e con uno strappo deciso gli toglie il cerotto dalla bocca. Ulisse trattiene un ululato e vede mezza barba restare incollata al cerotto. Respira a fatica. Guarda Stefania, la guarda con affetto. Poi si rivolge a Stefano.


-Non ho niente da dire. Sarebbero solo parole. Hai ragione, mi dispiace. Mi dispiace avervi piegato le spalle con i miei problemi. Voglio solo dirvi grazie, mi avete aiutato a superare momenti orribili. Stefano, siamo cresciuti assieme. Non ho nemmeno avuto il tempo di ringraziarti. Il tuo cuore di carta lo sa, lo sa bene quanto ti voglio bene.-


- Mi vuoi bene? Bel modo di dimostrarmelo! Mi hai lasciato solo a combattere con gli zombi, stavo bene con Stefania e me l'hai portata via. Hai scelto tu che dovevo diventare un medico, nemmeno me l'hai chiesto e poi quell'incubo di nuovo buco. Tu mi hai fatto impazzire … -


-Se mi uccidi voi morirete con me, non lo capisci? Voi siete solo parole, parole sulla carta. Vivete solo se qualcuno vi legge, nessuno vi leggerà mai se io muoio. Le vostre vite sarebbero destinate a sbiadire, finireste di sicuro nella pattumiera. Mia sorella Simona farebbe piazza pulita di tutto quello che ho scritto. E le storie che ancora non ho stampato resterebbero nell'hard disk sino a quando qualcuno non formatterà. Vuoi suicidarti? Voi tutti volete morire, bene. Non perdiamo tempo, chiudimi in quella cassa. Fallo ora.-


- Stai bluffando. È nel tuo stile. Stavolta non puoi scrivere un finale diverso, papuccio. E se è vera la storiellina che ci hai appena raccontato, non cambierà nulla. Chi non è nato non può morire…Ragazzi cacciatelo nella cassa e portiamolo nella collina. I gabbiani del Giudice saranno affamati-


Ulisse non ha più niente da dire, niente può tirarlo fuori da quel pasticcio, morirà con tutte le sue creature.

17/09/04

Anno strano

Ho affettato la mia vita.
Sono stufo e arcistufo di crogiolarmi nel mio striminzito punto di vista.
Diciamolo pure: di dicotomici furori e altre baggianate ne ho avuto abbastanza.
Pure quella bella testa di Andrea De Carlo ha smesso di infilarsi nei suoi libri e sbirciare l'anima di carta dei suoi mucchietti di pensieri e parole.
Anno strano questo.
Mi hanno riempito la mail box tutte le donne del mio passato. Una dopo l'altra. Una dopo l'altra.
Avevano solo 'sta possibilità.
Potevano tentare o di chiamarmi a casa e li' mai e poi mai avrei alzato la cornetta riconoscendo, grazie al CHI E' della telecom, i loro numeri.
E allora hanno scelto la strada sicura. Lettere che s'assomigliano tutte in maniera inquietante.


Con sti dubbi tra amore e cranio vi lascio l'ultimo raccontino. Magari triste. Ma e' venuto su cosi'.


L'ultima danza delle marionette


Finiva sempre così, davanti a una fila di mezzebirre vuote a disegnare clessidre con gli indici.


Pagava il primo giro la carta da dieci euro del grande Zummo. Avevano ancora tempo, i brufoli del cameriere scemo della Rotonda non li avrebbero buttati fuori prima delle 3.
Stefano stava lì, con la stilografica, a scrivere poemetti zoppi sui tovagliolini. Li scriveva in continuazione, dedicandoli alle scollature più generose. A composizione ultimata, si avvicinava furtivo al DJ che, in cambio di svariate marlboro, li leggeva.


Come da copione, la seconda tappa di quelle notti tutte uguali: la locanda di Mario. Si aspettava l'alba giocando a biliardo, manco fossero stati tutti reincarnazioni di Paul Newman nel colore dei soldi. A Michele piaceva quel posto. Gli piaceva quella caverna buia e umida con schegge di pietra grezza alle pareti e quelle quattro panche ricavate da tronchi d'abete. Il piatto forte rimaneva la zona dedicata alla lettura, c'era pure un microfono per chi aveva voglia di leggere qualche poesia sua o karaokare qualche liquida serenata. E dietro il microfono la solita bella foto del Che sorridente con sigaro, basco e frase chiave: "bisogna essere duri senza perdere la tenerezza".
Mario è un medico in pensione, ha trasformato i soldi della buonuscita in quella locanda. Dietro al bancone c'è sempre suo figlio Luigi.
Zummo entra e si va a sedere al suo solito posto, saluta Mario e suo figlio. Lascia la tascapane nell'appendipanni e dopo aver passato una buona mezz'ora in bagno, va nella zona biliardo. Sono già tutti ai loro posti. Sta vincendo Santi con dodici palle di vantaggio su Nino. Luca e Michele giocano a freccette. Samuele, il ragazzo di Luigi, legge un libro e gira l'ombrellino del suo cocktail.


— Tutta quest'allegria mi demoralizza! Compagneros, niente di nuovo sul fronte occidentale? — Ulisse s'è rilassato, le paranoie sono volate via a tenere compagnia alla luna.
— Ulisse, non è serata. — Nino è sempre malinconico, la zita l'ha piantato per uno d'Azione Giovani e lui è rimasto come un orango a ululare al buttanesimo che riempie le mutande delle donne.
Ma gli passerà presto: — Santi mi sta massacrando e quel mussoliniano le ha comprato un ciondolo d'oro talmente pesante che camminerà curva le poche volte che se lo metterà. Non posso competere, Lidia mi sembrava quella giusta — lo dice e riesce solo ad imbucare una pallina che non ha dichiarato.
— Vedi che novità! Da quando ci conosciamo sempre a lamentarti, dici sempre che ti sembrava quella giusta e che è l'ultima volta che ti innamori. Ci frantumi le palle per due giorni e poi vai subito a provarci con tutte quelle che danno qualche segno di vita. —
— No, stavolta è proprio l'ultima, non m'innamoro più. Certo. Però quella a cui Stefano ha dedicato il tuo RANDAGIO BLUES aveva due zizze... forse in mezzo a quelle tette potrei trovare un pò di serenità...— un'altra palla, stavolta l'ha dichiarata ma ha fatto imbucare pure il boccino.
— Sei una schiappa! Se scopi come giochi...— Santi sghignazza, vince ogni volta e condisce la vittoria con lo stesso sarcasmo.
— Dai, vi offro qualcosa.— Michele è il più serio, manco un anno di fuoricorso, tutti 28 e 30, l'ingegnere del gruppo. Il capo di quella sgangherata comitiva.
— Festeggiamo la tua prima ingroppata? —


Michele sorride ma da qualche giorno è grigio e svacantato, ha accompagnato la sua ragazza ad abortire. I ragazzi non ne sanno nulla.


Si avvicinano tutti al bancone, Samuele resta a leggere "Narciso e Boccadoro". È un fanatico di Hermann Hesse. Siddharta lo potrebbe riscrivere a memoria.
— Sam lascia quel libro e unisciti a noi poveri mortali... E poi, credimi, non ne vale la pena. Quel libro è soporifero, solo solo la prima pagina con quella infinita sequenza descrittiva è capace di stendere perfino te! — lo stuzzica Stefano. Samuele grugnisce qualcosa d'incomprensibile e lascia in mezzo al libro un tovagliolino come segnale.
— Ragazzi, facciamo il solito giro? Vediamo: martini con ghiaccio per Luca e Michele, una doppia sambuca per Ulisse, un succo d'arancia con gin e vodka per Sam e tre quattro bianchi, uno per Santi, uno per Zummo e uno per Stefano. Giusto?—
— Sei il nostro barman preferito. Un brindisi per Luigi!—


Il calore dei superalcolici squaglia gli ultimi silenzi, Stefano si alza e inizia uno dei soliti comizi: — Mi sono stufato. Di tutte le abitudini. Del broccolo del giovedì, della pizza del venerdì e del pesce luna del martedì. Basta con Radio Maria e con quel presepe monumentale che mio padre ha iniziato a traforare vent'anni fa. Vi leggo la poesia che ho scritto su questo tovagliolo. Luigi, abbassa le luci, mettimi di sottofondo qualche cosa che sappia di blues...—


Stefano si alza, sistema il microfono e stropiccia un pò il tovagliolo che ha inciso con la stilografica d'ordinanza. Si toglie perfino lo zucchetto di cotone coi colori giamaicani che s'è fatto cucire da una ex di qualche vita fa. Si accende un'assassina bianca e arancione. Una boccata e inizia:
— nemmeno so
com'è fatto un colibrì
ma voglio andare via prima
che Pippo mi chiami un'altra volta compagno
passandomi il manifesto e Liberazione
snocciolando il resto,
cercando di capire
che 1500 lire saranno 0,77 euro
e chiederò a mio padre 5 euro,
sempre quelle 10 carte
che mi servono per far bere un pò quella
sconsolata R4 che aspetta qualche altra ragazza sul sedile anteriore
e io sono stanco
solo a pensare di ricominciare tutta quella danza delle marionette
per un bacio
e magari se mi và bene un'altra notte
da intaccare sulla colt che non ho
perché sono pacifista.
ma lo so che ci cadrò di nuovo
e basteranno magari solo due fossette.
gli attimi fuggono ed è tutta fatica sprecata corrergli dietro,
Gatsby è morto
e io cerco un'altra Daisy.


***


Michele era morto due anni dopo.
Suicidio.
Aveva scelto di andarsene riempiendo la focus di suo padre coi gas di scarico.
Ai suoi amici piaceva ricordarlo così, felice. Perché c'è sempre un altro giro di birra per mandare a nanna i rimorsi e i rimpianti. Michele lo sa e sorride nella foto lucida che hanno messo sulla sua lapide.
Sorride per sempre nella loro ultima estate.

15/09/04

tutto quello che sta dentro una didascalia

Sono vivo.
Sto studiando per le ultimissime 2 materie. Naturalmente le meno allettanti. Ci spariamo sempre i migliori piatti all'inizio del buffet.
Stamattina ho pagato 103,29 €  per diritto fisso AMMISSIONE ESAMI DI LAUREA, 11,32 € per PERGAMENA DI LAUREA E DIRITTI DI MECCANIZZAZIONE e, dulcis in fundo, 41,32 € per IMPOSTA DI BOLLO.
Mi sento strano.
Svuotato. Come un perno girato nella testa. Manco il tempo di godermi la rilettura dell'Odissea presa stamattina in edicola per soli 1,90 €.


Sono ad un punto di svolta. Ho addentato tutto quello che in un film avrebbero sintetizzato in una didascalia prima del cambio di scena. Notti passate sui libri, dubitanti dita su reggiseni, amori perduti, sguardi ritrovati.
Pure la Reno' 4 verde pisello non c'e' piu'. Ore ed ore a prendere appunti mai riletti ma buoni per stare sull'attenti. Amici persi, amici nuovi che rimpiazzano i compagneros del Liceo, La voglia di viaggiare e' sempre qui, la fama di vento che m'ha contagiato l'aquilone pure.
E c'e' pure il titolo definitivo della tesi: NEVE E SILENZIO. Paul Celan verso un'estetica della testimonianza.
Mi piace.
Sono seduto in mezzo al nulla, nel prato dell'Erba Voglio. Me ne fumo un ciuffo e poi un altro. Mi godo il tramonto.
E sorrido.


 

09/09/04

cultura spazzasofferenze e le certezze dei sette anni

" Non piu' una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini


     Per un pezzo sara' difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo e' tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono piu' di bambini che di soldati, le macerie sono di citta' che avevano venticinque secoli di vita; di case e biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali e' passato il progresso civile dell'uomo; e i campi su cui si e' sparso piu' sangue si chiamano Mauthausen, Maidanek, Buchenwald, Dakau.
    Di chi e' la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l'esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell'uomo ci aveva insegnato che era sacra; lo stesso pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro e' stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta e' anzitutto di questa "cosa" che c'insegnava la in violabilita' loro. Non e' anzitutto di questa "cosa" che c'insegnava l'inviolabilita' loro?
    Questa "cosa", voglio subito dirlo, non e' altro che la cultura: lei che e' stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medievale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo, [...]"
( editoriale comparso sul primo numero del Politecnico, 29 settembre 1945)



A volte il silenzio cala e ricala come l'osso impugnato dallo scimmione del 2001 di Kubrick. E' l'unica risposta possibile.
Neanche il tempo di scrostare la patina grigiometallizzata di qualche giorno fa che si ricomincia.
Non ci sono alternative, si deve continuare a scrivere.
Magari solo per sentirsi dire che sono le solite banalita' ciclostilate. L'unica vera globalizzazione e' quella operata dal terrorismo. Agisce dovunque e non si ferma davanti a nulla.
Uccidono bambini, donne che non c'entrano un'emerita minchia con tutti i giochi di potere che qualcun altro decide per noi. Verrebbe davvero da salire al cielo e chiedere a Dio o a chi per Lui se e' permesso che le cose stiano davvero cosi'.


Quand'ero piccolo, avro' avuto 7 o 8 anni volevo bruciare le tappe, spicciarmi a conquistare la mia eta' a due cifre. Riempire almeno tutte le dita della mano. Credevo che sarebbe bastato sventagliare tutte e dieci le dita, far contemplare a tutti i GRANDI la mie eta' nelle mie unghia incrostate di terra per riuscire almeno a tenere il telecomando.
Ne sono morti a decine di bambini in quella scuola, la stessa scuola che doveva insegnargli in primis a vivere bene in societa'. Una societa' che imbottisce una palestra di esplosivo, una societa' che si scanna per conquistare petrodollari da rinvestire in altre guerre.


Sono stato fortunato, il significato di pedofilo me l'hanno spiegato a 13 anni quando gia' in faccia spuntavo lieve lieve il primo "pilu caninu", quello che poi sarebbe diventato il barbone riccio e ispido che ora mi porto dietro.


Sono stato fortunato: sono ancora qui a riempirmi l'amore e il cranio col sorriso del mio cuginetto di quattr'anni che mi chiede quanti anni ho. Me lo chiede aggiungendo che lui il prossimo anno riempira' pure l'ultimo dito della mano. Gli rispondo che io ho quattro mani e due dita gia' piene. Poi mi scrocca un ovetto kinder e mi obbliga all'ennesima visione di Harry Potter con lui che mi anticipa tutte le battute del maghetto.


Mi siedo li', mia zia sullo sfondo taglia la pancia a un pesce per la cena.
Sto li', con gli occhi incollati ai 28 pollici di quella scatola che se faccio zapping mi aggiorna sul bollettino dei morti. In Iraq sono morti gia' mille soldati. Mi gratto la barba, ritorno su Harry Potter e la sua partita di quidditch tra le nuvole. Avrei voglia di chiederla a lui una soluzione.
Ma ritorno sulla poltrona col cuscino a fiori blu e i miei dubbi li lascio impigliati alla scopa di saggina del maghetto.


"... Vidi venire su dalla valle un aquilone, e lo seguii con gli occhi passare sopra a me nell'alta luce, mi chiesi perche', dopotutto, il mondo non fosse sempre, come a sette anni, Mille e una notte. Udivo le zampogne, le campane da capre e voci per la gradinata di tetti e per la valle, e fu molte volte che me lo chiesi mentre in quell'aria guardavo l'aquilone. Questo si chiama drago volante in Sicilia, ed e' in qualche modo Cina o Persia per il cielo siciliano, zaffiro, opale e geometria, e io non potevo non chiedermi, guardandolo, perche' davvero la fede dei sette anni non esistesse sempre per l'uomo.
    O forse sarebbe pericolosa? Uno, a sette anni, ha miracoli in tutte le cose, e dalla nudita' loro, dalla donna, ha la certezze di esse, come suppongo che lei, costola nostra, l'ha da noi. La morte c'e', ma non toglie nulla alla certezza, non reca mai offesa, allora, al mondo Mille e una notte dell'uomo. Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed e' grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede, e cosi' la sua fede consuma, celebra la certezza. Ma dopo che farebbe con la certezza? Dopo uno conosce le offese recate al mondo, l'empieta', e la servitu', l'ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza?"
da "Conversazione in Sicilia"

04/09/04

la nuovissima Gas-o-line

e' on line la nuova versione di gasoline, la webzine di BC.


Buona lettura

28/08/04

il sogno piu' sogno di tutti

"I guess I could be pretty pissed off about what happened to me... but it's hard to stay mad, when there's so much beauty in the world. Sometimes I feel like I'm seeing it all at once, and it's too much, my heart fills up like a balloon that's about to burst...
...and then I remember to relax, and stop trying to hold on to it, and then it flows through me like rain and I can't feel anything but gratitude for every single moment of my stupid little life...
You have no idea what I'm talking about, I'm sure. But don't worry...
You will someday."
Finiva cosi' "American Beauty": un giorno lo sapremo. Sapremo come la bellezza del mondo riempie l'amore e il cranio prima che l'anima voli via. Com'essa tracimi verso le nuvole ricolorando ogni singolo momento di tutta una stupida e piccola vita.


Quello di cui molti mi accusano e' vero, sono tenacemente attaccato al mio passato, come una patella allo scoglio. Semplice: viviamo il presente e vivendolo lo spediamo nel magazzino della memoria, il futuro c'e' ma appena ci mettiamo piede diventa, passo dopo passo, recentissimo passato. E poi su che cosa si dovrebbe scrivere?
Sull'avvenire?
Sui mondi al congiuntivo?
Sui possibili futuri che ammazziamo ogni volta che facciamo una scelta?
"Le lingue sono fatte non tanto per disegnare il futuro quanto per raccontare il passato" lo dice pure il mio manuale di Linguistica Generale.


E poi se c'era una cosa che alle elementari odiavo era il tema che ti obbligavano a svolgere ogni dannato anno: "Scrivi cosa vorresti fare DA GRANDE...".
Era angosciante: dover fantasticare su carriere improbabili e certezze fuori portata.
Quei temini erano nere e odiose torture psicologiche, frutto della malignita' della maestra arpia che mi obbligava a colorare il cielo come voleva lei, tutto da un verso e con mano delicata.
- Non lo vorresti fare il calciatore e diventare bravo come Schillaci?
A me il calcio mi ha sempre annoiato, l'unica cosa allettante era fare il guardiano della porta. Mettersi tra due barattoli o tra due zainetti e aspettare. Aspettare lo scontro diretto con l'attaccante. Solo che dopo una trentina di brutte cadute ho preferito gli scacchi.
- Non ti piacerebbe fare il medico ed essere piu' ricco di Zio Paperone in una bella casa col giardino?
NO.


A 8 anni le priorita' erano altre. Minime. Afferrabili.
Riuscire a prendere piu' grilli di Nicola.
Sbirciare sotto la gonna di Antonia.
Riuscire a finire i labirinti di Zelda sul Super Nes della Nintendo.
Il castello dei Masters e il galeone dei pirati della Playmobil.
La macchina degli Acchiappafantasmi (pero' gli altri, non quelli con Slymer).
E poi il sogno piu' sogno di tutti, l'arcisogno, quello che valeva tutta una settimana di tegolini: riuscire a catturare le lucertole con un filo d'erba come faceva Francesco Paolo.


Invece no, quello del tema doveva essere imbottito con un sogno da arrivista. Non potevi scrivere: "voglio solo e soltanto riuscire a catturare almeno una lucertola con un filo d'erba come sa fare Francesco Paolo. E se fosse possibile vorrei pure la fionda a braccio che papa' non mi vuole comprare, giuro che se l'avessi la userei contro mia sorella solo per leggittima difesa o per accoppare qualche piccione.


Se avessi scritto cosi' la maestra mi avrebbe strappato il foglio e chiamato la consulente con i porri sul mento e gli occhiali piu' spessi di tre tegolini messi uno sull'altro. Per continuare a vivere tranquillo nel mio bel banco della seconda fila dovevo inventarmi che mi sarebbe piaciuto un sacco diventare un medico per aiutare i bambini del terzo mondo, gli stessi a cui volevo soltanto spedire tutti i piatti di lenticchie e i broccoli puzzolenti che mia madre mi obbligava a mangiare.


Quando capiro' quello che intendeva Kevin Spacey in American Beauty mi sfrecceranno davanti un centinaio di momenti, fitti fitti e veloci, compatti, ineguagliabili, indimenticabili, inossidabili, indelebili, incocciati per strada o amorosamente coltivati. Forse ci sara' pure quell'unica bellissima volta che ce l'ho fatta a prendere una lucertola.

27/08/04

Grigiometallizzato

"Mettiamola cosi': nelle prossime 24 ore ho la possibilita' abbastanza concreta di crepare. Ovviamente non succedera' - ma, se dovesse succedere, sappiate che sono morto felice facendo quello che più mi piace al mondo: viaggiare in paesi che non hanno mai visto un turista prima di me."
Questo e' l'ultimo post di Enzo Baldoni, come riportato da Pino Scaccia. (citato da giulio mozzi)



Il giorno che hanno chiuso gli occhi a Enzo Baldoni io sceglievo il mio nuovo frigorifero.
Bello, alto, no frost, categoria A+, quelli che ti fanno risparmiare almeno il 30 per cento di energia elettrica.
Bello il mio nuovo frigorifero, grigio metalizzato. Ormai viviamo in un mondo monocromo e monotono. Tutto grigiometallizzato. Come la sindrome spaccacuori che dilaga nello zapping estivo. Bella la figlia di Baldoni, occhi veri, l'ho ritagliata dal giornale e l'ho piazzata sulla faccia del mio nuovo frigorifero.
Di Enzo Baldoni avevo leggiucchiato qualcosa su Diario e avevo appena scoperto che era stato lui ad avere l'idea del palloncino verde della pubblicita' della BIC.
E mentre lui diceva addio al mondo e moriva felice facendo quello che gli piaceva, io sceglievo il mio frigorifero. Firmavo la finanziaria: lo incomincero' a pagare in 12 rate tra 12 mesi. Potrei pure scappare, mandare al diavolo questa vita fatta di "racconti di racconti" e storielline esangui e lasciare che sia qualcun altro a pagare le rate del mio frigorifero.


"IO vorrei non vorrei ma se vuoi" lascio il mio frigorifero nuovo, bello, lucido, spazioso, no frost e grigiometallizzato e vado pure io a fare quel viaggio tra cicatrici che non possono rimarginare. Senza piu' orchiti scriptorie da sgonfiare in inutili e patetici e dicotomici furori. Andare li', libero. Con la penna come lancia a cui appendere l'unica bandiera possibile, un'idea che valga tutta una vita.
Gia', qualcuno mi ha lasciato un commento sul mio "diario in pubblico", sulla mia miniera cazzeggiona.
"val sempre la pena scrivere?"



Certi momenti sarebbe meglio l'uncinetto o il punto croce. O passare il tempo a contemplare il mio nuovo frigorifero lucido, solido, bello grigio dentro e fuori, che sputa i suoi cubetti a forma di mezza sfera. Potrei farlo, imparare a contare i punti dell'uncinetto e provare a capire il logaritmo che sta alla base di tutto quel paziente gioco di dita e sferruzzamenti.


Oppure potrei lasciare il mio nuovo frigorifero, prendere il passaporto con la mia brutta faccia bidimensionale e raggrumata di dubbi e disfare 'sta vita piena di "certezze".


Sveglia;
caffe' bruciato;
seduta di lettura sull'unico trono che ci hanno lasciato;
soliti dieciquindiciventi minuti esistenziali passati davanti allo specchio;
dilemma-rasatura;
scegliere di salvare quella barbetta incerta che poi lascio addensare;
doccia bollentetiepidagelata.
E poi via per comprare il quotidiano e far cacare la cagnolona.


Tutta sta trafila tratteggiata per tornare di nuovo qui davanti a questo monitor bianco come il deserto emotivo che si appiccica ad alcuni giorni. Scrivere qualche altro paragrafo della tesi, scaricare la posta, cancellare le solite mail spazzatura da dicotomico@libero.it e da dicotomicifurori@libero.it .
Sputacchiare qualcosa per riempire il blog e pensare al mio frigorifero alto, capiente, rassicurante nella sua bella patina grigiometallizzato.
Solo che la mia faccia riflessa di sbieco su un quadro mi guarda triste, sospira folli voli, vorrebbe volare via, oltre gli aquiloni e oltre le antenne.


Perche' c'e' una sola verita', l'unica cosa davvero lucida e solida: certi giorni sono io quello che si sente grigio metallizzato. Dentro e fuori.


26/08/04

Barche contro corrente

   E mentre me ne stavo li' a meditare su quel lontano, ignoto mondo, pensai allo stupore di Gatsby allorche' per la prima volta identifico' la luce verde all'estremita' del molo di Daisy. Aveva fatto un lungo cammino per giungere a questo azzurro prato, e il suo sogno dovette sembrargli cosi' vicino che difficilmente poteva mancare di afferrarlo. Non sapeva che era invece gia' alle sue spalle, in qualche parte, nella vasta oscurita' dietro la citta', dove i campi oscuri della repubblica si stendeva nella notte.
   Gatsby credeva nella luce verde, nella pienezza eccitante del futuro che anno dopo anno indietreggia davanti a noi. C'e' sfuggito una volta, ma non importa — domani correremo piu' in fretta, tenderemo di piu' le braccia... E in un bel mattino...
Cosi' procediamo a fatica, barche contro corrente, risospinti senza sosta nel passato.

Francis Scott Fitzgerald, IL GRANDE GATSBY


Procedere a fatica, boccheggiando, con l'elastico del passato che ci tiene legati a quello che e' stato. Non me lo so spiegare: questi anni finiscono veloci tra i ricordi, tra quelle pagine bianche e nere da sfogliare quando il Corvo Dei Giorni Passati bussera' alla nostra porta. Ci trovera' li', seduti nella nostra poltrona preferita a coccolare rimorsi e rimpianti che rinfocoleremo con l'attizzatoio delle Occasioni Mancate.
Baci che potevano essere schioccati, Amori che potevano durare, Fette di torta rifiutate, Risposte scordate. Sono milioni le scelte che si oppongono autoescludendosi, fatta la nostra decisione i mondi al congiuntivo, intrappolati nel sacco dei SE e dei MA, scivolano via, svaporano verso le nuvole.


Succede con tutte le fette della nostra vita. Pure quando scegliamo le nostre scarpe nuove e diciamo addio a quelle vecchie. Ma l'apice si verifica inevitabilmente con gli Amori Perduti.


L'archetipo e' nel mito, come sempre. Orfeo a forza di pizzicare la sua cetra ottiene da Ade la possibilita' di riprendersi la sua Euridice ma si volta, viola l'unica condizione, e la perde per sempre. Si danna notte dopo notte, sino a quando arrivano le Baccanti lo scopano a morte prima di staccargli la testa con una corda della sua cetra. Zeus commosso lo scaglia nel cielo e li'  Orfeo si ricongiunge con la perduta Euridice.


Stessa storia, attori diversi: IL GRANDE GATSBY, l'America ruggente degli anni Venti, L'America intenta a costruirsi a tavolino i suoi miti mancati e mancanti.
Gatsby ricco contrabbandiere, ex soldatino innamorato di Daisy, la ritrova, il cuore gli scoppia in petto e poi il destino sogghigna maligno e gli fa saltare le cervella per mano di un marito cornuto che l'ha scambiato per il cornificatore.


Gia', la vita e' proprio questo: "procedere a fatica risospinti senza sosta nel passato". Un passato che diventa mitico, ancestrale, taumaturgico: capace di  rinsaldare i lembi di qualsiasi amputazione emotiva.
Storielline anonime, destinate a scivolare nell'oblio insieme a vecchi numeri del Corriere della Sera diventano il riflesso di un passato dorato, un passato in cui Noi scivolavamo come biglie su un piano inclinato e oliato per bene.
Capita pure con gli anni del Liceo, quelli del cazzeggio consapevole. Nessuno si ricorda quei pomeriggi passati a studiare l'ablativo assoluto o i principi della termodinamica e il Passero Solitario. Ci ricordiamo pero' delle sigarette condivise tra una lezione e l'altra, dei primi calori stemperati da seghe pomeridiane. Coi capelli di lei che ci solleticavano i sogni nell'interminabile sesta ora. E i pomeriggi in palestra a cercare di far sputare alla panza almeno un addominale a quadratino per fare bella figura al viaggio d'istruzione.


Sono tutti puntelli che delimitano l'area su cui costruiamo la nostra vita. Con discese ardite e risalite sin dove volano gabbianelle e poeti.
Li abbiamo incorniciati quegli anni, anzi, sono loro che ci hanno incorniciato con il loro abbraccio. Il resto abbiamo voluto dimenticarlo. Pomeriggi freddi e grigi, e-mail che era meglio non scaricare, telefonate inutili.
La vita rotola, malgrado tutto. Rotola come lattine vuote quando tutti se ne vanno a casa.
Tanto "domani correremo piu in fretta, tenderemo di piu' le braccia..."


* la gnosi delle fanfule: una citazione al giorno (o quasi) per altrettanti liberi intrecci di neuroni.