28/08/06

Lampi silenti

Le foto della mostra Genius Loci tenutasi a Basicò in cui c'ero io e i miei dicotomici furori sono tutte qui.

Chissà forse un giorno tornerò a scrivere.



Magari sposerò un giorno di questo le parole di Marco Candida:




«Anzi: non voglio solo scrivere. Io voglio riempire la mia vita di lettere, letteratura, scrittura, e tutto quel che diffonde lettere, letteratura, scrittura, e quant'altro. Questo e soltanto questo fa giustizia ai miei propositi. Perché se dicessi che io voglio scrivere, e se dicessi solo questo, altro non sarei che l'individualista solito di turno, che ha molto da dire e niente da dare».

26/08/06

D’Orrico a pezzi

FULMINI

D’Orrico a pezzi

28/7/2006




Per recensire il romanzo di Walter Siti, «Troppi paradisi», il critico letterario Antonio D’Orrico ha avuto la necessità di impiegarci ben tre rubriche. Il lettore ha dovuto aspettare sette, quattordici, ventun giorni per capire se dovesse o meno fiondarsi in libreria ad acquistare il libro.



D’Orrico è un maestro di suspense: ogni anno scopre, quattro o cinque volte, «il più grande scrittore italiano» o «il più grande romanzo italiano», a seconda di quel che passa il convento editoriale. Ma alla «recensione continua », alla «recensione a puntate», alla «recensione feuilleton» ancora non era arrivato.

Funziona, non funziona, prenderà piede? Autori ed editori preferirebbero di no, ma anche gli stessi librai che si vedono chiedere il libro a mozziconi.



Nico Orengo




(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 29 luglio 2006)



Noi della Bottega di Lettura abbiamo in compenso varato la lettura a staffetta...

aggiornamenti siculissimi

Maria ha scritto la prima recensione su Sicilia di Maria "Siciliava". Presto dovrebbe arrivare anche la mia.

Il tempo di dire addio a Ndrja Cambrìa e al suo mondo di fere e di mare di sangue pestato.

23/08/06

Riceviamo e pubblichiamo

OSTINATI Open Studio

diretto  e condotto da Francesco Randazzo, regista e drammaturgo

 

WORKSHOP a Roma

Sono aperte le iscrizioni per la stagione 2006/2007

 

 

Una palestra di studio attivo per chi voglia accostarsi al lavoro del teatro o che già in attività voglia continuare un processo di formazione sempre in divenire, con nuove e stimolanti esperienze di ricerca e crescita.



Lo scopo è quello di sviluppare le capacità creative e performative dei partecipanti, non in termini di scuola teatrale ma di officina di teatro, spazio di ricerca, sperimentazione e realizzazione, allo scopo di presentare dei veri e propri studi aperti al pubblico, punto di indispensabile meta e confronto, nella direzione di una ricerca sempre tesa alla creazione di “fatti” teatrali.










È online il nuovo numero di MIRKAL delle arti e delle lettere.





In questo numero:



Goal di Umberto Saba

Bertrand s’amuse di Regina Franceschini Mutini

La città dei destini sognati di Francesco Randazzo

Franz Borghese e le “Fanciulle” dimenticate di Giada M. Palma

Pietro Micca di Federico De Roberto

Aforismi sparsi di Pablo Neruda, Italo Calvino, Ugo Foscolo, Jorge Luís Borges

22/08/06

Il mondo marino di D'Arrigo

(aggiungo poi una rarità, la voce dello stesso D'Arrigo che legge un pezzo dell'Orca)



di Maria Isabella Viola



Horcynus Orca, il vasto e discusso romanzo di D’Arrigo recentemente riproposto da Rizzoli (la prima edizione, nel 1975, era uscita per Mondadori) deriva il titolo da una lieve trasformazione del nome scientifico latino dell’orca: Orcinus Orca. L’esile trama di questo grande romanzo (1.095 pagine nell’edizione Rizzoli), a cui D’Arrigo ha lavorato per vent’anni, è ben nota: un giorno d’ottobre del 1943, in un paesaggio spogliato dalla guerra, ‘Ndrja, un marinaio del Regio Esercito, torna ad Acqualatroni, il suo paese d’origine al di là dello Stretto di Messina, e ritrova il padre e gli altri pescatori, stremati dalla fame, alle prese con un enorme animale marino, un’orca, appunto, o ferone, che sta morendo nelle acque davanti al paese.



Ma è solo nell’edizione definitiva che l’orca dà anche il titolo al libro: l’embrione del romanzo era intitolato La Testa del Delfino e la versione intermedia del 1961, che Rizzoli ha pubblicato per la prima volta quattro anni fa, aveva come titolo provvisorio I fatti della Fera. Fera è una forma dialettale per delfino, diffusa sulla costa ionica della Sicilia e in altre zone costiere del Meridione. Fere o delfini, quindi, si sono contese l’onore del titolo prima dell’orca e non certo per caso: in tutto il romanzo non c’è un paesaggio marino che non sia invaso dalle fere, tanto da indurre a pensare che siano le vere protagoniste del romanzo, dal momento in cui cominciano a marcare, sulla spiaggia, il ritorno a casa di ‘Ndrja, fino all’ultima grande impresa: lo scodamento dell’orca che la porta alla morte. Una delle poche se non l’unica scena di mare libera dalle fere è lo specchio d’acqua in cui si consuma la morte di ‘Ndrja, alla fine del libro.



Per i pescatori di Acqualatroni, le fere, astutissime e crudeli nemiche dell’uomo, sono molto lontane dall’idea comune del delfino, termine che in quel mondo non è mai usato. Emblematica è la risposta che il padre di ‘Ndrja dà al caporione fascista, nell’episodio del primo “casobello” fera-delfino: “Questa… noi la chiamiamo fera e fera effettivamente è. E fera vuole dire bestino, tutto una fetenzìa che non vale un soldo, ma ruba, rovina, fa assassinaggio”. E qualche pagina dopo il Signor Broggini replica: “Non parli mica del delfino, caro? No, non puoi palare del delfino in questi termini”.



Sembra che l’ispirazione del primo nucleo del romanzo sia venuta a D’Arrigo dai racconti dei pescatori siciliani sulla malvagità dei delfini. A quanto risulta da uno studio della Mammal Society, nella prima metà del secolo scorso, i delfini, ancora abbondanti nel Mediterraneo, non sempre godevano di buona reputazione presso i pescatori: in alcune zone, come nel Golfo di Napoli, in realtà erano considerati benefici, perché spingevano verso la superficie grosse aggregazioni di pesci, ed erano frequenti gli episodi di cooperazione, con ricompense a base di pesce offerte dai pescatori. Episodi di questo tipo sono noti fin dall’antichità: Plinio il Vecchio racconta di delfini che aiutano gli uomini nella pesca dei cefali, in cambio di pane e vino (un’eco di questo è passata nel romanzo). Ma in altre zone, era temuta la loro azione nociva verso le reti e i pesci intrappolati e per questo motivo venivano cacciati e uccisi.



Nel mondo che D’arrigo ha costruito attorno ad Acqualatroni, le fere, voraci e sadiche, furbissime, irridenti, onnipresenti, fanno da contrappunto al brulicare terrestre degli uomini e contendono ai pescatori il dominio sul mare in una lotta quotidiana, che nei periodi di carestia ha come risultato la famera: fame nera, fame a fera. Ma se ‘Ndrja tornasse oggi, a sessant’anni di distanza, sullo Scill’e Cariddi sarebbe stupito per prima cosa di non trovare traccia della “miria” di fere che in scia alla barca di Ciccina Circé lo avevano accompagnato nella traversata dello stretto. I delfini comuni, le fere abituè di D’Arrigo, stanno scomparendo dal Mediterraneo: decimati da tanti fattori ancora oggetto di studio, tra cui la pesca con le reti dei pescespada e dei tonni, appartengono ormai alla categoria delle razze a rischio e per salvarsi non gli basterà forse tutto il cinismo e l’astuzia che gli attribuiscono i pescatori di Acqualatroni.



La fera dunque è un animale malvagio nel mondo dei pescatori siciliani, che ne conoscono la vera natura, mentre per il mondo di fuori, ignaro, è un delfino, simpatico ed elegante. Una ambiguità non molto dissimile la si ritrova nella rappresentazione dell’orca: ambiguità tra l’orca “scientifica”, Orcinus Orca, e l’orca del romanzo, chiamata nel titolo Horcynus Orca. Nel testo invece questo termine non compare mai: l’animalone è chiamato orca dal signor Cama, che la trova raffigurata nel suo libro sui giganti del mare, ed è chiamato ferone dai pescatori: è quindi un’orcaferone, un gigantesco animale solitario apportatore di morte, ha fama di essere immortale, è la Morte stessa. Il libro del signor Cama fa da elemento di congiunzione tra il mitologico mondo dei pescatori e il mondo di fuori, un po’ come il caporione fascista e il sig. Broggini nel rapporto fera-delfino.



La funzione “scientifica” del libro del signor Cama è attestata anche dall’episodio delle sirene: l’unica sirena che il signor Cama riesce a trovare nel suo libro è una figura di foca, che Don Mimì, cantore di questa particolare specie di femmine, gli smonta senza difficoltà. Ma l’orca c’è, ed è proprio come quella che hanno davanti agli occhi, e quindi la sua esistenza è verificata, certificata.



Per la tradizione popolare, nei tempi antichi l’Orca è un mostruoso animale marino che pretende sacrifici umani, mito ripreso anche nell’Orlando Furioso, quando Angelica viene legata ad uno scoglio per esserle sacrificata. Per le popolazioni costiere primitive questo animale era considerato una divinità, il più potente essere del mare, alla pari, sulla terra, dell’orso. E all’origine del termine cetaceo c’è il nome greco “Chetos”, il mostro marino ucciso da Perseo e trasformato in una costellazione. In un certo senso, quindi, D’Arrigo si inserisce in una tradizione esistente. Il suo “mostro” è una combinazione di elementi fantastici e reali: per esempio, l’orcaferone è ghiotto della lingua della balena (questa è anzi l’unica sua debolezza, per il resto non è altro che una perfetta macchina per uccidere) e questa caratteristica pare derivare da un dato reale: l’orca è il più feroce carnivoro del mare (negli Stati Uniti è detta anche balena assassina) e si spinge davvero ad attaccare la balena.



Le fere, essenzialmente femmine, sono da principio spaventate e attratte da questo grande animale comparso all’improvviso nelle loro acque e contemplano ammirate i getti d’acqua a forma di sesso maschile che emette dallo sfiatatoio. Ma quando si accorgono che l’animalone è praticamente cieco, cominciano a concepire il diabolico piano di staccargli la coda e farlo morire, in barba alla sua fama di immortale. Si organizzano con cura e passano all’azione tutte insieme, dividendosi diligentemente i compiti e suscitando l’ammirazione dei pescatori, che assistono da riva allo spettacolo grandioso e grottesco della morte dell’orcaferone. Perché lo fanno? Per divertimento, per sport: questa è la loro natura. Il mare di D’Arrigo è davvero dominato dalle fere, i soli animali marini capaci di imprese collettive e folli, e alla fine anche inutili, così come gli uomini nel 1943 stanno ancora consumando la loro impresa collettiva e folle della guerra.



(già pubblicato sul n. 14 di Stilos, 6 aprile 2004)

12/08/06

Alla fine resterò io

[mentre sulla Bottega di Lettura, la lettura a staffetta è in dirittura d'arrivo - qui la decima frazione - ecco recuperato per voi un bellissimo articolo di Parente apparso sul Domenicale]




Ne rimarrà solo uno.



D’Arrigo La Sicilia ha sfornato almeno due svettanti giganti, De Roberto e lo scrittore di Horcynus Orca. Che era un perfezionista assoluto e un solitario. E dal suo deserto amava sfottere i colleghi: che loro facciano combriccola, alla fine resterò io



di Massimiliano Parente



Il Domenicale 20-05-2006





«L’urto dei registri linguistici contigui è espressionismo, ma non mi interessa più sapere se sono stato e sono ancora un espressionista. Non è ancora nato l’ismo con cui definire la mia narrativa. Sono in anticipo o sono in ritardo? Non mi importa farmi trovare dove e quando mi aspettano che sia. Se ho indovinato la direzione, mi raggiungeranno. Sono impaziente ma sono soprattutto paziente: aspetto la risposta del tempo. Ovviamente mi piacerebbe che arrivasse subito: ci sta mettendo troppo Horcynus Orca ad arrivare in testa ai lettori».



Quando Stefano D’Arrigo incontra Walter Pedullà per fargli leggere il suo Cima delle nobildonne (romanzo sessuale e placentare, uno scarto stilistico verso l’essenzialità e la levigatezza rispetto al suo capolavoro, e non meno fondato sulla lingua; ora Rizzoli, Milano 2006, pp.LVI+182, e18,00) gli dice en passant cose essenziali sulla letteratura di sempre e di quegli anni, che sono poco più di un decennio fa anche se la storia editoriale di Horcynus Orca inizia negli anni Settanta.

Oggi è cambiato poco, ma è anche consolante sapere che alla lunga la letteratura vince, sfonda le gabbiette delle lobby giornalistiche e dei clan culturali. Se dovessimo dire dei più grandi romanzi siciliani che sono anche tra i più grandi della letteratura mondiale, alla fine dell’Ottocento, sopra a tutti, c’è De Roberto, e alla fine del Novecento c’è D’Arrigo. Così Franco Cordelli ha poco da gongolare, se pensava che Horcynus Orca fosse poca cosa, e per ritrattare è troppo tardi, sia fatta giustizia allo scrittore quando succede che il critico gli sopravviva.







Ossessivo e complicato



Perché insomma quando uscì il primo immane incredibile romanzo di D’Arrigo in Italia si nuotava di nuovo nel riflusso neorealistico seguito alle neoavanguardie, o ancora e sempre nell’idea d’impegno, o nel favolismo calviniano che aveva rifritto quello geniale di Borges rendendolo accademia. C’era stato il Gruppo 63, il Sessantotto, lo sperimentalismo, il balestrinismo, lo spontaneismo letterario, Moravia e Cassola, l’Einaudi di sinistra che non pubblicava Nietzsche e le edizioni Savelli che pubblicavano ragazzi pensierosi, e lui, D’Arrigo, il fico d’India, l’ossessivo, il complicato, come lo chiamava l’amico Guttuso, se ne fotteva. Tra un Campiello e uno Strega, tra furori semiotici e la narrativa di salotto o radical chic, di D’Arrigo, come il decennio prima di Carlo Emilio Gadda, non ci si accorgeva granché, siccome D’Arrigo passava la vita a scrivere, non scegliendo di scodellare l’uovo oggi ma la gallina domani, e la gallina della letteratura è sempre il risultato che nasce dal linguaggio, come disse Stefano a Pedullà porgendogli il dattiloscritto del suo Cima delle nobildonne. Premettendo che non c’è «nulla di più elementare nel tema e nulla di più complesso nel linguaggio, come non vedrai subito. Sarà banale ripeterlo ma tocca anche stavolta al linguaggio svelare la novità di ciò che di per sé non sembra cambiare: per esempio la donna, l’uomo, e cioè la natura umana».



Sembrava banale ripeterlo per D’Arrigo, che mentre lavorava al suo romanzo fetale e androginecologico, mentre dava forma al suo romanzo che risucchia il maschio nella femmina e dunque di nuovo nell’archetipo stavolta placentare, lasciandosi alle spalle il dialetto e il plurilinguismo, ’Ndria e Ciccina, e dovendo mutare pelle per scrivere un nuovo libro («Mi fanno ridere quelli che raccontano un’altra avventura con la lingua dell’opera precedente. Io faccio solo prototipi. E non voglio avere successori, figli, nipoti, nipotini»), cominciando con l’abbozzolare una materia densa intorno all’ossessione per Hatshepsut, unico faraone femmina, frequentando ginecologi per appropriarsi delle loro parole e impastarci la sua ultima opera, lui, ogni mattina, in una quotidianità a noi vicinissima, comprava i giornali e restava allibito da ciò che si recensiva nelle terze pagine dei giornali, dove già nessuno leggeva più la scrittura.



Tirare a morire



Oggi che D’Arrigo non c’è più e dobbiamo beccarci D’Orrico, oggi che ancor più gli ovetti vengono sculati in serie, vale a maggior ragione il discorso della gallina, pronunciato da Stefano e riferito da Pedullà nell’introduzione. Per ribadire che individuata una forma passano anche contenuti nuovi, ma mai a prescindere da un linguaggio. Per cui il linguaggio «viene prima del tema, anche se continuo a non sapere chi è nato prima, se l’uovo o la gallina. L’uovo, cioè il progetto, credo di averlo trovato, dimmi tu se ho trovato la gallina, cioè il risultato. È questo che conta per me. Di buone intenzioni è lastricata la strada di chi tira a campare con la narrativa. Semmai con la letteratura io tiro a morire».

Tirare a morire, perché l’unica posterità possibile è quella dell’opera, come scrive il Narratore della Recherche, ma come insegna anche, in quanto rovescio della medaglia, il conformismo di ogni tempo: chi tira a morire vivrà in eterno, chi tira a campare farà in tempo a vedere la propria morte.





Oggi ne abbiamo piene le palle delle combriccole, delle fazioni narrative contrapposte che si contendono lo stesso spazio, la stessa piccola, frettolosa vetrina. La lezione di D’Arrigo è tutta nella grandezza dei suoi romanzi, che più passa il tempo più ristabiliscono le giuste proporzioni con i nani suoi contemporanei. Che tanto assomigliano ai nanetti di oggi (e spesso sono i medesimi).

«Sto giocando un’altra partita» confessava Stefano a Walter. «E sia chiaro anche che il mio non è lo stesso campionato di Pasolini. Lui registra una lingua, io la invento: anche perché debbo dire qualcosa che ancora non c’è ma che non scomparirà mai. Io non sono un narratore militante, ogni mattina guardo il tempo e mi regolo lavoro ogni giorno, ma mai alla giornata. Non mi dispiace star solo, fuori di ogni cordata o scuola, non ho bisogno di protezione, se perdo è meglio disintegrarsi al suolo. Questo è un mestiere in cui si resta soli e in cui magari si salva uno ogni vent’anni. Naturalmente vorrei essere io, ma non sarò io a deciderlo». Sarebbe stato proprio lui, ma è stato lui a deciderlo, malgrado gli altri.

11/08/06

La mia prima volta

Grazie a Google Books ho rintracciato la prima volta che sono finito sulla pagina di un libro, era il 2002 e lo scrittore Giuseppe Caliceti pubblicò il primo libro con Sironi inaugurando la collana Indicativo Presente diretta da giulio mozzi.



Sempre sulla scia dei ricordi, ecco un altro pezzo di storia, la prima pagina che g1ga, ai tempi indissolubilmente legato al fratello nel duo grafico luimik, mi donò. E solo per voi da chissà dove sempre g1ga ha recuperato thematica, i due straordinari numeri dell' inedito esperimento verbovisivo.







Cinque anni dopo BombaSicilia c'è ancora, l'indirizzo - dopo il traghettamento sotto il sito madre per storica mancanza di pecunia - è oggi diventato bombasicilia.it, per l'estensione .net abbiamo capito ciò che il cybersquatting vuole significare.



Questo blog chiude per ferie, studio e necessaria disintossicazione dal web dal 12 al 04 settembre.
Perché non staccate la spina del modem pure voi?


09/08/06

A day in the life



estate 2006, studiando storia contemporanea...







ed ecco gli alleati delle mie papille per superare la dieta iposodica: sale dietetico, peperoncino macinato e pepe nero.

08/08/06

Un coctail di collegamenti più o meno letterari

Segnalo - subito dopo averla scoperta consultando i link che puntano a bombasicilia - la meritevole opera di schedatura operata da Andrea Tullio Canobbio che ha messo su un blog "per avere sempre a portata di mano, durante le crociere in Rete, un cocktail di collegamenti più o meno letterari. Se poi dovesse diventare qualcosa di meglio, allora tanto di guadagnato".


C'è anche la scheda dedicata alla nostra BombaSicilia. Con una critica alla nuova grafica che terremo sicuramente presente.


Il titolo poi ci fa inevitabilmente pensare anche all'ultimo libro di Antonio Spadaro...

07/08/06

Tra una provola e l'altra ci sono pure io

ESTATE A BASICÒ, SAGRA DELLA PROVOLA E ARTE CONTEMPORANEA



Novità per l’estate a Basicò. Per quest’anno l’amministrazione comunale non punta soltanto sulla sagra della provola, clou delle iniziative estive, ma anche sull’organizzazione di una rassegna di arte contemporanea. Tra il 16 e il 22 agosto, il comune dei Nebrodi sarà protagonista della mostra “Genius Loci”, otto artisti under 30 presentati dal curatore Salvatore D’Amico. Si tratta di un’iniziativa inedita per la piccola ma vitale comunità dell’entroterra messinese.



Già palcoscenico negli anni passati di alcune estemporanee di pittura, quest’anno Basicò sarà visitato dai lavori di una giovane generazione di artisti che si esprimono attraverso pittura, fotografia, video e installazioni. “Genius Loci” si articolerà in due sezioni principali: la prima vedrà alcuni artisti impegnati nel confronto diretto con il luogo ospite della rassegna, la seconda presenterà lavori di carattere più personale. Affiancano gli artisti provenienti dall’Accademia, anche filosofi, antropologi, studiosi dei linguaggi della comunicazione visiva, all’interno di una operazione mirata allo scardinamento dei confini dell’arte propriamente detta. I mezzi del linguaggio artistico saranno impiegati nella realizzazione di una mostra strettamente legata al territorio e alle problematiche ambientali, architettoniche, antropologiche legate allo spazio vitale.



La rassegna mette insieme presenze provenienti dalla Sicilia e dalla provincia di Reggio Calabria, questi ultimi all’insegna della realizzazione di una sorta di ponte culturale tra la nostra isola e i nostri cugini dello stretto (magari in attesa della costruzione del ponte di cemento). Vengono da Reggio Calabria gli artisti Federico Giordano, Francesca Saffioti e Adriano Gerace, impegnati in lavori video e fotografici. Da Patti, Emma Licata. Da Catania, Francesco de Francisco, Giuseppe Pomidoro e Alessandra Fazio: il primo, con una micro-installazione; il secondo, con un lavoro fotografico sul “doppio”; la terza, con i suoi dipinti di carattere informale. Viene da Palermo il “saturnista” Tonino Pintacuda, che presenta le sue fotografie scannerizzate.





Nell’ambito della mostra saranno esposte anche immagini di carattere storico relative alla vita di Basicò, le quali fungeranno da controcanto a “Genius Loci” e da archivio della memoria, per la gioia degli appassionati di fotografia storica e sociale. “La mostra – spiega il suo curatore artistico – vuole essere principalmente il tentativo di attivare processi di relazione fra l’impegno degli artisti e le persone del luogo. Nel disegno della mostra, Basicò dovrebbe diventare non già l’oggetto di un’arte rappresentativa ma, grazie anche al contributo dei suoi cittadini, il soggetto di un’arte partecipata. La novità della mostra consiste proprio in questo tentativo, e la riuscita è delegata quindi anche alla collaborazione di tutta la comunità”.



“Genius Loci” è realizzata con il patrocinio del comune di Basicò, sindaco Filippo Gullo, e il supporto logistico e tecnico dell’associazione “Il Borgo Antico”, presieduta da Francesco Foti. Si svolgerà nella sala del consiglio comunale - appositamente riallestita per l’occasione -, in piazza Santa Maria. L’ingresso è libero. Le altre iniziative estive del comune comprendono, come già accennato, la sagra della provola (il 19 agosto), caratterizzata anche dall’annullo del francobollo stampato ad hoc, con la rappresentazione di un monumento del paese e disegnato da Vittorio Maimone; e dai festeggiamenti per la Madonna di Basicò (il 21 agosto).

05/08/06

La gloriosa fabbrica delle risposte per domande ricorrenti

Le vacanze attendono, nel frattempo ho finalmente scritto le risposte alle FAQ per BombaSicilia, rimaneggiando platealmente la chiarissima pagina esplicativa che chiudeva il numero zero de I monologhi della varechina, l'esperienza della Notte dei mille racconti 2006 è servita, come servono sempre risposte chiare a domande che inevitabilmente arrivano.



Il concerto di Vinicio Capossela è stato un'esperienza unica, mentre aspettavamo che iniziasse ecco arrivare inaspettata l'inconfondibile zazzera del landarolo che procedeva sicuro seguito da tre donzelle, una maestosa recensione, bella ed appassionata la trovate sul palermitanissimo Rosalìo.



Chiudo lo stitico post segnalando un bel sito scoperto grazie all'esperienza di vibrisselibri, tra gli articoli - per motivi tutti miei - vi consiglio di leggere i colori di Hero    



il dominio vibrisselibri è già attivo, aggiungetelo ai vostri preferiti e aspettate che l'idea-bombetta di Giulio Mozzi s'incarni...



  Il numero speciale di BombaSicilia è on-line: andate a fare un giro su www.bombasicilia.it