30/06/06

Amando, scoprendo, cercando D'Arrigo

Amo D'Arrigo, sì l'amo. Perché solo se si ama l'autore dell'Orca si può continuare ostinatamente a leggere pure e oltre la parte delle due parolette che il vecchio Caitanello ha da dire al figlio prima di stringergli la mano, quella stessa stretta di mano che la guerra aveva bandito rimpiazzandola prima col saluto fascista e poi con quello militare.

Le due parolette nella prima stesura condividevano la struttura a quadri propria dei cantastorie e dell'opera dei pupi, dovevano essere pure titolati in modo appropriato. Sono due parolette insostenibili, belle ma faticosissime. Giorgio me l'aveva anticipato per lettera e l'ha poi ribadito, pensavo che magari dipendeva dalla stanchezza di un anno di scuola, e invece no, le due parolette stanno lì, come a sfidare il lettore.

Sì, nella seconda parte, quella del recupero della memoria D'Arrigo sfida il suo lettore, implicitamente ci sfida, come se ci dicesse: sino a qua sei arrivato, ma sei sicuro che ormai il più è fatto?
La metà del viaggio è stata faticosa, ora inizia la perigliosa discesa che coinciderà con la morte dell'Orca e di Ndrja. Nell'attesa dello slancio finale, respiro a lungo e condivido con tutti voi la gioia immensa di aver recuperato per vie oscure l'introvabile Codice Siciliano, la raccolta di poesie che costituisce secondo il dire comune l'embrione di Horcynus Orca.





Una Sicilia mitica, omerica, che si sovrappone a una Sicilia stratificata nelle sue ère geologiche e storiche – da quella «Pregreca» delle tombe neolitiche a quella araba e normanna fino a quella moderna abbandonata dagli emigranti – domina nelle poesie di questo Codice Siciliano di Stefano D'Arrigo : terra alla quale il poeta torna nel rimpianto, «spatriato di là, oltre lo scilla», come la quaglia che modula «rochi gridi / al barlume del giorno» e in sogno vola «sul mare ventilato dalla luna, / col giovane grecale che stormisce / d'ala in ala, favorendo d'aria / Capo Passero, Siracusa, l'Anapo, / le rive di papiro dove già / fra foglia e foglia crepita la luce ». L'Italia «oltremare» è il «Nord, l'antico futuro», mentre la Sicilia è il ritorno al mito e insieme il mito del ritorno, del nostos che riconduce il poeta «sui prati, ora in cenere, d'Omero», attratto da una voce che lo chiama «nelle notti di luna sullo Stretto», sirena o Fata Morgana oppure eco dei secoli cavallereschi oppure ancora Madre trafitta dalle sue «povere stimmate, le spine / di ficodindia».

Pubblicato per la prima volta da Scheiwiller nel 1957 e arricchito nella presente edizione da tre poesie apparse nel 1961 su un numero di «Palatina» e da una inedita, questo Codice Siciliano di D'Arrigo è inevitabile che oggi sia letto come un archetipo e insieme incunabolo di Horcynus Orca, che uscirà vent'anni dopo; in questa prospettiva il testo si rivelerà prezioso, fecondo di suggerimenti e illuminazioni, non solo per l'affiorare di temi centrali, dal nostos omerico alla trasfigurazione epica della pesca, dalla presenza della morte a quella dei delfini e delle sirene, ma anche per i primi segni di quell'immenso lavoro sul linguaggio che troverà nell'opera maggiore la sua  realizzazione più compiuta: se ne vedrà una sorta di presagio e prefigurazione in quella lirica che esprime come l'aspirazione a una lingua insieme passata e futura e che si intitola significativamente «In una lingua che non so più dire».

Una lettura in questa chiave stimolante dovrebbe però aprirsi nel contempo anche a una lettura autonoma, per scoprire la ricchezza di un linguaggio lirico che alterna riflessioni popolaresche a chiusi momenti di concentrazione  dolorosa e ad aperture di visionarietà «greca», cui certo non è estraneo l'amore giovanile per Hölderlin: e per ritrovare, nel ritmo e nella forma propria della poesia, la fusione, come nel finale dell'Horcynus, dei due temi, quello del ritorno e quello della morte: «io da una guerra reduce, e da quante /
un gran figlio mi ricorda mia madre, / perduto con lo scudo o sullo scudo, / desidero tornare spalla a spalla / coi miei amici marinai che vanno / sempre più dentro nei versi, nel mare».

Giuseppe Pontiggia



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Una lettura in questa chiave stimolante dovrebbe però aprirsi nel contempo
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Giuseppe Pontiggia
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//-->[la lettura a staffetta di Horcynus Orca]
[lo speciale su I Miserabili]
[un saggio su Italia Libri]
[la lettura di Cima delle Nobildonne]

26/06/06

tre vittorie

Bagheria ha di nuovo un sindaco, Biagio Sciortino già assessore alla Cultura della precedente giunta.
L'Italia ha vinto, splendido calcio di rigore tirato da Totti.
Ha vinto pure il No, col 61,3%.
Torno a studiare.

23/06/06

Consigli

Se siete di Palermo leggete qui

Il capro senza peli

Wu Ming 5 – Free Karma Food

© 2006 by Wu Ming 5. Published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto Santachiara
© 2006 RCS Libri S.p.A., Milano - ISBN 88-17-01050-2
Si consente la riproduzione parziale o totale dell'opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.
(tutti i libri dei Wu Ming sono disponibili qui )

Questa è una guida pratica alla macellazione della carcassa umana. Passo a passo, seguiremo il procedimento dando tutti i consigli utili. Non c'è un solo modo per compiere l'operazione: bisogna ricordarsi che, a differenza degli animali da carne del passato, la struttura fisica dell'uomo non si presta all'ottenimento di tagli perfetti in certe aree del corpo (cinto scapolare, soprattutto) e che quindi è più facile ottenere buoni tagli dai grandi ungulati, come alce, gaur o banteng. Ma con pazienza, cura ed esercizio, anche voi potrete trasformarvi in provetti macellai HU.
L'uomo, noto nel corso della storia culinaria col nome di "lungo maiale" o "capro senza peli" non è sempre stato considerato una fonte proteica adeguata. Ragioni di tipo religioso e superstizioso ne ostacolavano il consumo, o almeno il consumo alla luce del sole. La costituzione fisica della bestia non è del resto delle più adatte. Osservandone l'anatomia e lo scheletro, si può notare che l'animale non è costruito, almeno apparentemente, per fornire carne. D'altra parte, ne è proibito l'allevamento a scopo alimentare e quindi non si sono potute selezionare varietà con una maggiore percentuale di carne disponibile. Le ossa pelviche e le scapole ostacolano l'ottenimento di tagli perfetti in quelle zone della carcassa. Ci sono dei vantaggi, tuttavia, che derivano proprio dalla costituzione specifica dell'animale. L'esemplare tipico pesa tra le 100 e le 200 libbre, e può essere facilmente manipolato da una persona in media forma fisica. E' della massima importanza scegliere accuratamente la carne. La qualità varia fortemente da individuo a individuo, in base a genere, età e razza. In più gli esseri umani sono soggetti a un numero incalcolabile di malattie e infezioni, avvelenamenti da diete e sostanze chimiche nocive. Quando l'animale invecchia, la carne indurisce, e diviene stopposa e fibrosa. Bovini e suini venivano abbattuti molto giovani proprio per evitare l'indurimento. E' preferibile un individuo giovane ma anatomicamente maturo e in buona salute. Una certa percentuale di grasso aggiunge gusto alla carne. Personalmente preferiamo giovani femmine caucasiche intorno ai venti anni, ma si tratta di gusti, e i gusti, come sappiamo, variano alquanto. Il macellaio avrà bisogno di spazio sufficiente per lavorare la carcassa (suggeriamo una sistemazione in interni) e di un largo tavolo. Un supporto centrale più in alto della testa dovrà essere scelto e installato prima di affrontare la macellazione e servirà per appendere l'animale. Ampi catini o secchi per il sangue torneranno utili, e occorrerà una fonte d'acqua corrente nelle immediate vicinanze del tavolo da lavoro. La maggior parte del lavoro più essere eseguita con pochi, semplici attrezzi: diversi coltelli a lama corta e lunga, una mannaia e una sega dovrebbero bastare.
Preparazione dell'animale. Entrare in possesso del soggetto dipende da voi. Per motivi connessi alla qualità e soprattutto alla salute, la freschezza della carne è importantissima. Un essere umano vivo tenuto in cattività rappresenta l'opzione ottimale, anche se una condizione così favorevole è oggettivamente rara.
Nel caso sia possibile, accertatevi che l'animale non abbia ricevuto cibo nelle ultime 48 ore, e che abbia
bevuto grandi quantità d'acqua. Ciò aiuterà a purgare il corpo da tossine e escrementi, e renderà dissanguamento e pulizia più agevoli e veloci. In condizioni ideali, l'esemplare dovrà essere reso incosciente. Violenti e inaspettati colpi al cranio, oppure uno strangolamento, restano le soluzioni migliori: droghe e tranquillanti non sono consigliabili perché potrebbero alterare in modo spiacevole il gusto della carne. Se non è possibile tramortire l'animale senza eccitarlo e indurlo a difendersi (cosa che pomperebbe un maggior volume di sangue e di sostanze come l'adrenalina attraverso tutto il corpo), un singolo proiettile in mezzo alla fronte o alla nuca sarà sufficiente.
Sospensione. Una volta ucciso o reso incosciente l'animale, si è pronti per appenderlo. Si possono legare i polsi e le caviglie ai supporti fissati in precedenza: nel caso si scelga questa tecnica, il supporto più adatto è una trave posta longitudinalmente sul piano di lavoro. Alcuni trovano preferibile appendere la carcassa per i piedi soltanto, inserendo ganci da macellaio nel tendine d'Achille: in tal caso le gambe dovranno essere tenute larghe più delle spalle, e le braccia lasciate penzolare in modo che non intralcino la macellazione e siano pronte per essere recise. E' più facile lavorare se i piedi dell'animale vengono a trovarsi leggermente più in alto della testa del macellaio.
Dissanguamento. Sistemare un recipiente largo e aperto al di sotto della testa dell'animale. Con un coltello a lama lunga, penetrare nella gola su un lato della mascella e tagliare con decisione da orecchio a orecchio. Le arterie carotidi interna ed esterna verranno aperte. Se l'animale non è ancora morto, questa sarà operazione definitiva. Dopo un violento spruzzo iniziale, il flusso dovrebbe stabilizzarsi in modo tale da consentire di convogliare il sangue all'interno del recipiente. Il drenaggio può essere aiutato massaggiando le estremità in direzione del tronco e comprimendo lo stomaco. Un esemplare adulto contiene almeno sei litri di sangue. Non c'è utilizzo per tale fluido, tranne che per scopi rituali. Se bevuto, nella maggior parte dei soggetti agisce come emetico.
Decapitazione. Quando il flusso del sangue rallenta, ci si può preparare a rimuovere la testa.
Proseguire il taglio girando attorno al collo, dalla mascella alla parte posteriore del cranio. Una volta tagliati muscoli e legamenti, la testa può essere portata via di netto con un movimento di torsione, avendo cura di afferrarla saldamente da ambo i lati. La separazione interviene nel punto in cui la spina dorsale si innesta nel cranio. Tale procedimento -tagliare prima attraverso muscoli e legamenti con un coltello in modo da esporre ossa o articolazioni- può essere seguito per altre parti anatomiche servendosi eventualmente anche di una mannaia o di una sega. Non raccomandiamo di conservare la testa come trofeo per una serie di buone ragioni. Primo, il trofeo potrebbe attirare l'attenzione sul suo possessore, che potrebbe esserne entrato in possesso con metodi non legali o non strettamente legali. In più, una pulizia completa del cranio è assai difficoltosa a causa dell'ingente massa cerebrale tipica dell'animale in questione, che è difficile da rimuovere senza aprire il cranio. Il cervello, in più, non è generalmente considerato appetibile. Nel caso siate decisi a conservare il cranio, rimuovete occhi e lingua, scuoiate la testa e sistematela all'aria aperta all'interno di una gabbia di filo d'acciaio. La gabbia permetterà ai parassiti e ai necrofagi più piccoli come vermi e formiche di compiere il loro lavoro e impedirà a parassiti più grandi (cani e bambini) di entrare in possesso del futuro trofeo. Dopo un periodo di tempo congruo, immergete il cranio in una soluzione di acqua e varechina e bollite il tutto per sterilizzarlo e lavare via lembi di tessuto eventualmente ancora attaccati all'osso.
Dopo aver rimosso la testa, lavare abbondantemente la carcassa con acqua corrente.
Dal momento che non esiste un vero e proprio mercato per le pelli umane, non è necessario prestare cura particolare nel rimuovere l'epidermide conservandola intatta in un pezzo solo, e questo facilita alquanto l'operazione. La pelle è infatti un organo assai esteso, e scuoiando la carcassa non solo esporrete la configurazione dei vari gruppi muscolari, ma vi libererete anche dei peli e delle ghiandole sebacee e sudoripare.
Occorre usare un coltello a lama corta per non incidere muscoli e visceri. La pelle è formata da due strati, uno esterno più sottile e uno interno più spesso. Mantenete la lama il più orizzontale possibile in modo da rimuovere il tessuto connettivo. Un ostacolo che vi si presenterà sono i genitali esterni. Se l'animale è maschio, si potrà senz'altro recidere pene e scroto, se è femmina si potrà fare lo stesso con le grandi labbra. E' importante non toccare l'ano, e lasciare un'area attorno allo sfintere rivestita di pelle. Non ci deve
occupare dei piedi, che possono semplicemente essere recisi: alcuni trovano particolarmente gustose le mani, ma ottenerne carne commestibile a sufficienza è riservato ai macellai più esperti. La pelle è invece decisamente adatta a preparazioni gustose e facili. Un esempio: bollite le strisce di pelle e spellate lo strato più esterno. Tagliate le strisce in pezzi della grandezza desiderata e friggete in olio abbondante. Cospargeteli di sale e aglio, oppure paprika o peperoncino di cayenna.
Sventramento. Il passo seguente consiste nello sventramento, vale a dire l'asportazione completa degli organi interni dalla carcassa. Per incominciare, occorre tagliare dal plesso solare quasi fino all'ano. Occorre stare attenti a non tagliare gli intestini: questo contaminerebbe tutta l'area con feci e batteri fecali. Un buon modo di evitare questo inconveniente è quello di usare il coltello con la punta rivolta verso l'esterno, e tagliare con cura e lentezza.
Tagliare attorno all'ano. Con una sega, tagliare e asportare l'osso pubico. La parte inferiore del corpo è ora completamente accessibile: possiamo estrarre gli organi interni (intestini, reni, fegato e polmoni) per poi separarli dalla parete posteriore del corpo.

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Wu Ming 5 – Free Karma Food

© 2006 by Wu Ming 5. Published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto Santachiara
© 2006 RCS Libri S.p.A., Milano - ISBN 88-17-01050-2
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Il ritorno di Kocchan


Steiner

CHI BRUCIA I LIBRI, chi mette al bando e uccide i poeti, sa perfettamente quello che sta facendo. Il potere indeterminato dei libri è incalcolabile. Indeterminato perché lo stesso libro, la stessa pagina, può esercitare effetti totalmente disparati sui lettori. Può esaltare o avvilire; sedurre o respingere; incitare alla virtù o alle barbarie; può valorizzare la sensibilità o banalizzarla. E la cosa più sconcertante è che può ottenere entrambi gli effetti, quasi allo stesso momento, in una risposta impulsiva così complessa, così mutevole e ibrida, che non esiste ermeneutica, né psicologia che possa predirne o calcolarne la forza. In periodi diversi della vita del lettore, lo stesso libro suscita riflessi del tutto diversi.

Non v'è fenomenologia più complessa dell'esperienza umana di quella che caratterizza gli incontri fra il testo e la ricezione, tra, come osservò Dante, i modi del linguaggio che superano la nostra comprensione e livelli di comprensione rispetto ai quali il linguaggio è inadeguato: "la debilitate de lo 'ntelleto e la cortezza del nostro parlare". Ma in questo dialogo sempre imperfetto - soltanto i libri effimeri e opportunistici possono mai essere compresi definitivamente, possono mai essere esauriti delle loro potenzialità di significato - può annidarsi una sollecitazione alla violenza, all'intolleranza, all'aggressione politica e sociale. "L'unico scrittore che a tutti noi sopravviverà", disse Sartre, "è Céline".

Esiste una pornografia della teoretica, della analitica così come dell'allusione sessuale. Alcune citazioni dai cosiddetti libri "rivelati" - il Libro di Giosuè , la Lettera di San Paolo ai romani , il Corano , Mein Kampf , il Libretto rosso di Mao - sono il preludio e la giustificazione del massacro. La tolleranza, il compromesso giacciono in un contesto di immensità. L'odio, l'irrazionalità, la libido del potere, si leggono rapidamente. Il contesto evapora nella violenza dell'acquiescenza. Di qui il dilemma, estremamente preoccupante, problematico, della censura.

E' un'ipocrisia liberale dubitare che i libri, i testi, i periodici, eccitino la sessualità, che essi possano condurre direttamente alla mimesis, alla "imitatio", dando a impulsi precedentemente vaghi e masturbatori una terribile concretezza e bisogno di realizzazione. Quale apologia libertaria si può avanzare per l'inondazione di letteratura erotica sadistica che oggi sommerge le librerie, le edicole, la rete telematica di Internet? Quale difesa si può sostenere di una letteratura programmaticamente basata sull'abuso dei minori, sull'odio razziale, e su una criminalità bieca, letteratura che oggi ci martella orecchie, occhi e coscienze? I mondi del cyberspazio e della realtà virtuale saranno saturati da pseudo autorevoli programmi grafici che suggeriscono o forniscono validi esempi di brutalità verso altri esseri umani, verso noi stessi (la ricezione, il godimento del "trash" è un'automutilazione dello spirito). Vuol dire forse che l'ideale platonico della censura è completamente sbagliato?

D'altra parte, però, i libri costituiscono la "password" per diventare migliori di quello che siamo. La capacità di provocare questa trascendenza è stata oggetto di interminabili discussioni, allegorie, decostruzioni. Le implicazioni metaforiche dell'icona ellenico-ebraica del "Libro della vita", del "Libro della rivelazione", basate sull'identificazione della divinità con il "Logos", sono millenarie e illimitate. I libri furono i messaggeri e i testimoni dei "rendez-vous" dell'uomo con Dio sin dagli antichi Sumeri. Essi svolsero le funzioni di corrieri d'amore ben prima di Catullo. In particolare, i libri e le opere d'arte incarnarono la finzione suprema di una possibile vittoria sulla morte. Gli scrittori potevano morire, ma le loro opere, più solide del bronzo, più durevoli del marmo, gli sarebbero sopravvissute: "aere perennius... exegi monumentum". La "polis" che Pindaro celebra perirà; il linguaggio in cui il poeta canta la sua ode potrà estinguersi e diventare indecifrabile. Ma attraverso la pergamena, attraverso l'elisir della traduzione, l'ode pindarica sopravviverà; continuerà ad essere cantata dalle labbra lacerate di Orfeo mentre la testa morta del poeta viene sospinta dalla corrente del fiume verso la terra della rimembranza.

Uno sbaglio tipografico può essere reso immortale (traducendo Villon,Thomas Nashe aveva scritto: "a brightness falls from her hair"; lo stampatore elisabettiano fraintese e scrisse: "a brightness falls from the air" - che divenne poi uno dei versi memorabili della poesia inglese!). L'incontro con il libro che ci cambierà la vita, così come con l'uomo o la donna che, spesso in un istante di inconsapevole riconoscimento, cambierà le nostre vite, può essere del tutto accidentale. Il testo che ci convertirà ad una fede, che ci farà aderire ad una ideologia, che darà alla nostra esistenza uno scopo e un principio, può essere rimasto esposto in una libreria di seconda mano, o in un remainder, o nella vetrina di una libreria. Può anche essere rimasto, pieno di polvere e sconosciuto, sullo scaffale di una biblioteca "accanto" al volume su cui stavamo al momento lavorando. Una astrusità acustica sulla copertina usurata può aver attratto l'occhio: Zarathustra , Westöstlicher Divan, Moby Dick, Horcynus Orca. Fintanto che un testo sopravvive, da qualche parte su questa terra, in un silenzio per quanto sia ininterrotto, esso è suscettibile di resurrezione. Come Walter Benjamin ci ha insegnato, come Borges ha reso mitico, un libro autentico non è mai impaziente. Può aspettare dei secoli per risvegliare un'eco vitale.
Può essere un'offerta a metà prezzo su una bancarella della stazione, come fu per me il primo Celan in cui mi imbattei e che per caso aprii.

Da quel particolare e fortuito momento, la mia vita si trasformò e cercai di imparare "a language north of the future". Questa trasformazione è dialettica. Le sue parabole sono quelle dell'Annunciazione e dell'Epifania. Quanto poco sappiamo della genesi della creazione letteraria! Virtualmente noi non abbiamo accesso alla possibile neuro-chimica dell'atto e del processo immaginativo. Persino la stesura più grezza di una poesia costituisce già una fase avanzata nel viaggio verso l'articolazione e il genere performativo. Il crepuscolo, l'albeggiare e le pressioni nel subconscio all'espressione sono quasi impercettibili per noi. Mi spiego meglio: come è possibile che i segni su una tavola d'argilla, i tratti di penna o matita spesso a malapena leggibili su un brandello di fragile carta, debbano costituire una "persona" - una Beatrice, un Falstaff, un'Anna Karenina - la cui sostanza per innumerevoli lettori o spettatori eccede, nella sua "realtà", nella sua presenza fenomenica, nella sua longevità personificata e sociale, la vita stessa? (L'enigma della "persona" fittizia, più vivida, più complessa dell'esistenza del suo creatore e del suo destinatario - quale uomo o donna è bello come Elena, complicato come Amleto, e indimenticabile come Emma Bovary? - è la questione centrale, più difficile, della poetica e della psicologia). La similitudine classica è stata quella della creazione divina, di Dio che crea il mondo e l'uomo. In maniera più o meno esplicita, il grande scrittore o l'artista è stato considerato come un simulacro del "fiat" divino. Spesso l'artista si è sentito come un rivale implacabile o amorevole, come un concorrente nell'atto dell'invenzione e della rappresentazione. Per Tolstoj Dio era "l'altro orso nella foresta", da affrontare e con cui lottare. La stessa metafora dell'"ispirazione", antica come le Muse e il respiro di Dio nella voce dell'indovino o del profeta, è un tentativo di dare una spiegazione razionale alle relazioni mimetiche tra sovrannaturale e "poiesis" umana. Con una differenza fondamentale. Il problema della creazione divina "ex nihilo" è stato dibattuto in ogni principale teologia e narrazione mitologica del mistero delle origini ("incipit").

Anche il più grande scrittore entra nella dimora del linguaggio che gli pre-esiste. Egli può, entro dei limiti molto ristretti, coniare neologismi; può, come Pascoli, cercare di inspirare nuova vita in parole e persino in lingue "morte". E tuttavia non crea la sua poesia, il suo dramma, o il suo romanzo dal nulla. In teoria, ogni testo letterario immaginabile è già potenzialmente presente nel linguaggio (di qui la fantasia di Borges della biblioteca totale di Babele).

Nondimeno, la nostra conoscenza dell'alchimia della selezione, della fonetica, dell'allineamento grammaticale e semantico che produce la poesia duratura, la "dramatis persona" del dramma o del romanzo che resiste al tempo è prossima al nulla. E con il graduale abbandono, oggi, della similitudine della creazione divina, del "concetto" di ispirazione soprannaturale, la nostra ignoranza non fa che approfondirsi. Sull'altro versante della dialettica, le questioni sollevano altrettante perplessità. Qual è, precisamente, lo statuto ontologico di una poesia o di un romanzo non letto, di un dramma mai rappresentato? Forse che la ricezione, anche quando lungamente rimandata, anche quando esercitata da una minoranza esoterica, è indispensabile alla vita del testo? E se così fosse, in che modo? La nozione di lettura come processo radicalmente collaborativo è intuitivamente convincente. Il lettore attento "lavora insieme" allo scrittore. Capire un testo, "illustrarlo" nei termini della nostra immaginazione, della nostra memoria, della nostra rappresentazione associativa è, nell'ambito delle nostre capacità individuali, equivalente a "ricrearlo". I più grandi lettori di Sofocle o Shakespeare sono gli attori e i produttori che restituiscono alle parole l'esperienza vissuta. Imparare un testo a memoria significa incontrarlo a metà strada nel meraviglioso viaggio del venire ad essere. Nel corso di una "lecture bien faîte" (Péguy), il lettore si tramuta in qualcosa di paradossale, un'eco che non solo riflette il testo ma anche vi risponde con le proprie percezioni, bisogni e sfide.

Così la nostra intimità con il libro è marcatamente dialettica e reciproca: noi leggiamo il libro ma, forse, a un livello più profondo, "il libro legge noi". Eppure, a cosa è dovuta la natura arbitraria e sempre controversa di questa intimità? I testi che ci trasformano possono essere, dal punto di vista sia formale sia storico, "banali". Così come attraverso una canzonetta della musica leggera, un giallo, un romanzetto, l'effimero può balzare alla nostra coscienza e scavarci nel profondo. Il criterio di ciò che è essenziale varia da individuo a individuo, da cultura a cultura, da una stagione dell'esistenza ad un'altra. Ci sono testi fondamentali nell'adolescenza che divengono successivamente illeggibili. Ci sono testi improvvisamente riscoperti nel canone educativo e nella vita privata. La chimica del gusto, dell'ossessione e del rifiuto è altrettanto inusuale ed elusiva quanto l'estetica stessa della creazione. Individui che in parte condividono la stessa provenienza, sensibilità e ideologia possono l'uno amare un libro che l'altro detesta e l'uno ritenere kitsch quello che l'altro ritiene essere un capolavoro. Coleridge parlò degli "atomi adunchi" della coscienza che si interconnettono in modi che non siamo in grado di calcolare; Goethe fece riferimento alle "affinità elettive" - ma queste non sono che immagini. Le complicità tra lo scrittore e il lettore, tra il libro e la lettura, sono altrettanto imprevedibili, misteriose, e suscettibili di mutamento quanto quelle dell'eros. O, forse, dell'odio.

Vi sono infatti libri che ci hanno trasformato, libri indimenticabili, che uno finisce per odiare (non posso sopportare in teatro né insegnare l' Otello di Shakespeare, eppure ritengo che la versione di Verdi sia, sotto molti aspetti, il più coerente e umano miracolo). Il paradosso dell'eco vitale tra libro e lettore, il fondamentale scambio di fiducia reciproca, dipende da certe condizioni storiche e sociali. Quello che ho cercato di definire nel mio lavoro come "l'atto classico della lettura" richiede condizioni di silenzio, privacy, istruzione e concentrazione. In assenza di queste condizioni, una lettura seria, una risposta al libro che sia anche una presa di "responsabilità", non può avvenire. Leggere, nel senso vero, una pagina di Kant, una poesia di Leopardi, un capitolo di Proust, significa assicurarsi spazi di silenzio, tutela della privacy e un certo livello di istruzione linguistica e storica. Significa anche avere libero accesso agli strumenti della comprensione come dizionari, grammatiche e studi storico-critici. Dai tempi dell'Accademia nell'Atene classica fino, grosso modo, alla metà del ventesimo secolo, un simile accesso ha costituito la definizione stessa di cultura. In misura maggiore o minore, è sempre stato il privilegio, la gioia e il dovere di un'élite.

Dalla biblioteca di Alessandria allo studio di San Gerolamo, dalla torre di Montaigne allo scrittoio di Karl Marx al British Museum, le arti della concentrazione - ciò che Malebranche definì "la devozione naturale dell'anima" - sono state fondamentali per la vita del libro. E' un'ovvietà dire che queste arti sono oggi in parte logorate; e che sono diventate più e più un mestiere accademico specializzato. Il mondo occidentale è invaso dal rumore. Più dell'80 per cento degli adolescenti americani "non è in grado" di leggere in silenzio; devono avere un sottofondo di musica più o meno amplificata. La privacy, la solitudine che permette un incontro in profondità tra testo e ricezione, tra parola scritta e spirito, è oggi un'eccentrica singolarità, psicologicamente e socialmente sospetta. Non c'è bisogno che mi soffermi sul collasso della nostra istruzione secondaria, sul suo disprezzo per l'insegnamento classico e per l'esercizio della memoria. Tanto vi è nelle nostre scuole oggi una "forma di rimozione programmata". Similmente, il formato stesso del libro, la struttura dei diritti d'autore, dell'editoria tradizionale e della distribuzione libraria stanno subendo, come voi sapete meglio di me, una trasformazione rivoluzionaria.

E' già possibile per gli autori raggiungere i propri lettori direttamente su Internet, e chiedere ad essi di entrare in comunicazione diretta (l'ultimo romanzo di John Updike è stato "pubblicato" in questo modo). Così pure, più e più libri vengono letti "on line" sullo schermo del computer o ordinati in rete. Ottanta milioni di volumi alla Biblioteca del Congresso di Washington sono ora disponibili (in maniera esclusiva?) elettronicamente. "Nessuno", per quanto ben informato, può prevedere cosa accadrà al concetto di autore, di testo, di lettura individuale. Senza dubbio, questi sviluppi sono estremamente stimolanti. Implicano fondamentali emancipazioni economiche e opportunità sociali. Ma allo stesso tempo comportano anche perdite profonde. Libri scritti, curati, pubblicati e comperati "nel vecchio stile" finiranno per appartenere sempre di più alle "belles lettres", a ciò che i tedeschi pericolosamente chiamano "Unterhaltungsliteratur". Sempre più la scienza, l'informazione e la conoscenza di ogni tipo saranno trasmesse, memorizzate e trasferite attraverso mezzi elettronici.

Quelle che sono già grandi incrinature nella nostra cultura e nella nostra istruzione si allargheranno. Ecco l'estrema importanza di questa Fiera, di questo festival della lettura nell'orgogliosa città di Alfieri e di Nietzsche, di Pavese e di Primo Levi. Abbiamo più che mai bisogno di libri, ma anche loro hanno bisogno di noi. Qual più bel privilegio di porci al loro servizio?



La Stampa, 11 maggio 2001

Il lungo viaggio dell'Orca

da "Il Messaggero", 26 novembre 2003
Il lungo viaggio dell' "Orca"
Rizzoli ripropone “Horcynus”, capolavoro di Stefano D’Arrigo. Occasione per avvicinare uno scrittore schivo quanto perfezionista
di Walter Pedullà


Festeggiato a caldo da George Steiner, che, in un articolo tempestivamente pubblicato dal Corriere della Sera , ha confermato il perentorio giudizio positivo espresso in altra recente occasione («è un capolavoro assoluto!»), torna Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo. Saranno contenti i lettori che, dopo aver cercato invano negli ultimi anni il romanzo, ora lo possono trovare in un volume persino maneggevole di Rizzoli che con le sue mille pagine (precisamente 1090, di cui 12 di bibliografia + XXXI di introduzione di chi scrive, 25 euro) "nulla toglie" e qualcosa aggiunge all'edizione mondadoriana.
Il volume è il secondo dell'edizione delle opere di Stefano D'Arrigo. Il primo ristampava, col titolo di I fatti della fera, la stesura che era andata in bozze nel 1960 ma che non era mai arrivata in libreria. Seguiranno due altri volumi: il romanzo Cime delle nobildonne e le poesie, edite ( Codice siciliano) e molte inedite. Ci sono altri inediti in prosa, inclusa la narrativa. Prima o poi ci sarà la vera stesura iniziale di Horcynus Orca : i quaderni manoscritti intitolati La testa del delfino . Un giorno o l'altro arriverà poi una grossa, e piacevole a leggersi, sorpresa: la sceneggiatura di un gogoliano Anime morte , ambientato in Sicilia. E il resto no'l dico.
La ricchissima bibliografia conferma che la critica italiana ha preso posizione e a grande e migliore maggioranza ha testimoniato a favore dell' Horcynus : da Debenedetti a Maria Corti, da Magris a Baldelli, da Gramigna a Pontiggia, da Pampaloni a Zampa, da Mondo a Romanò, nonché i "colleghi in poesia e narrativa" Primo Levi, Pasolini, Caproni, Pagliarani, Malerba, Camilleri, Consolo e naturalmente Vittorini, che nel 1960 propose sul Menabò due capitoli di un romanzo che allora si intitolava I giorni della fera . Crescono sempre più di numero i giovani critici, che sono già tanti, e sono agguerriti ma non pregiudizialmente ostili come certi interpreti che, sagacemente ispirati, nel '75 condannarono a morte Horcynus Orca , spesso senza leggerlo.
C'è anche la storia patetica di un recensore che nel 1975 propose di fare con Horcynus Orca un fritto misto. Ora è un pentito ma allora qualcuno reagì suppergiù così: guarda un po' chi parla di frittura, un pesce lesso della critica, nonché della narrativa. Infuria da trent'anni infatti la polemica senza esclusione di malignità intorno al romanzo di D'Arrigo. C'è chi si pente e chi cambia i documenti, ma se continuano a esserci tanti eroi della sesta giornata, significa che per Horcynus Orca , prosa sciampagnina, è venuta l'ora dei brindisi.
L'editore è nuovo ma il testo cambia poco rispetto a quello dell'edizione Mondadori. Non l' Horcynus del '75, bensì il successivo Oscar: dove risultano omesse un paio di righe e aggiunti alcuni stacchi nella parte finale. Non sono cose di poco conto per uno scrittore che confessò di aver passato più di una notte insonne per decidere se lasciare o togliere una virgola. Vent'anni (dal '56 al '75) di lavoro diurno e notturno.
Ogni frase dell' Horcynus è scolpita con la tenacia maniacale attribuita ai poeti che si possono accanire per giorni su un verso. Un oceano di parole perlustrate goccia per goccia. Questo grande romanzo, pur essendo esorbitante in superficie, sollecita specialmente a cercare cosa c'è sotto una massa incontenibile di parole che vanno a pescare significati proibiti. L'amore ha un complesso di castrazione, la sessualità non di rado è omosessualità, l'attrazione per una figura materna corteggia con l'inconscio, l'incesto.
D'Arrigo miscela lingua e dialetti non solo per scovare segreti ma anche per nasconderli. Il narratore siciliano, che quanto più nomina tanto più suggerisce, s'è inventato un italiano parlato che nessuno parla per essere concreto e insieme solubile come il sale. E' come l'acqua ma non è mai incolore o inodore questa lingua saporita che compete in espressionismo con quella di Gadda e di Fenoglio. Il terno vincente della narrativa del secondo Novecento.
Se per simbolo l'Orca è il mare, nella realtà Horcynus Orca è un testo molto pescoso per chi sa gettare reti dentro una scrittura che si liquefa dentro ammaliante liricità per avere il calibro strettissimo con cui si accede all'“arcano” gelosamente difeso dall'autore. D'Arrigo deve scendere a fondo se vuole conoscere il mistero del protagonista; e come l'Orca, risale dalle profondità marine con la voragine che le squarcia il fianco piena di cicinella. Il narratore cerca l'origine, forse un peccato d'origine, da cui nasce la sua ossessione di scrittore che si aspetta da ogni parola una rivelazione che vada oltre quel che personalmente sa. E c'è scandalo della conoscenza nello Stretto che è come l'Acheronte.
Lo scandaglio atomico aspetta il suono che segnala l'impatto con qualcosa di solido. Non si trascuri cioè la musica di questa narrativa che procede a balzi come pietra piatta mandata a sbattere sulla superficie delle acque. Un gioco da bambini. E in effetti c'è un infante in un narratore che gioca con le parole della lingua materna. Così apprende che non solo una madre è l'amante più desiderata, ma pure che può essere una sirena la prostituta, e che la contrabbandiera è anche Proserpina, e che un delfino può essere migliore di un uomo e gli succederà nel governo del mondo. Una immensa "reductio ad unum" concentra tutto il romanzo nell'indimenticabile figura di Ciccina Circé, magia sposata a calcolo, sesso che copula con la morte.
Ricordo D'Arrigo sdraiato su un tappeto a correggere le bozze con biro di quattro colori. La pagina policroma veniva appesa a un filo teso fra due pareti. Un aquilone, due aquiloni, dieci, cento, aquiloni volavano nella stanza. Da destra a sinistra, dall'alto in basso, sempre più giù. Un prigioniero della propria ossessione cerca con ogni parola la libertà impossibile.
'Ndrja sembra porgere la fronte alla pallottola che l'ucciderà. Per smettere di pensare? Bisogna farla finita con questo rovello, con questo trapano mentale. E vent'anni dopo aver cominciato, D'Arrigo consegnò finalmente all'editore Horcynus Orca . Rileggendolo, il narratore riprese a correggere, una parola, una virgola, una nota musicale. Fino a questo testo dell'edizione Rizzoli. Restano fuori appunti, interrogativi e sottolineature. Segni da smorfiare, come si dice in Sicilia per la cabala. Che notoriamente non nasconde nel silenzio il segreto, bensì sotto una lingua che, quando serve, delira con interminababile penìo.

22/06/06

Iposodicamente vostro

Sono di nuovo a dieta. Stavolta però faccio sul serio, con tanto di dietologa e analisi. Dopo anni di fai da te, scopro che anche solo un'altra settimana e avrei intaccato la massa magra. Praticamente ho solo dieci chili di liquidi da perdere, la prima tranche di dieta prevede di dire addio al sale, al lievito e alla pasta e naturalmente allo zucchero e ai suoi derivati. Ho solo la pizza il sabato sera e il pranzo moderatamente libero la domenica. Il resto è un rumore di fondo costante, un gorgoglio di stomaco che pare destinato a durare in eterno.

Giorno dopo giorno carne e verdura, verdura e legumi, uova e verdura (senza limitazioni di peso, ma provate voi a mangiare senza sale...) e il pane azzimo (rigorosamente Kosher, il padre di Paul Celan sarebbe orgoglioso di me).

Notte dopo notte sogno oscenità trimalcioniche con una forma di parmigiano reggiano in cui sprofondare voluttuosamente. Si avvicinano gli ultimi esami della Specialistica e le tragicomiche avventure non hanno mai fine: Scaldati, il Maestro Scaldati non riesco a trovarlo e con lui i tre crediti di Istituzioni di regia, stesso dicasi per il docente di Economia dell'arte, nonché Assessore al Bilancio del Comune di Palermo, che per ora ha da far quadrare i conti.

Già una volta scrissi di quello che si prova a fare una dieta, lo annacquai in un racconto che a distanza di anni è ancora godibile, buona lettura. Io vado a tener compagnia a quel tristissimo tonno al naturale.

19/06/06

Sinestesie

Segnalo questo (en passant, dell'Orca parla anche Colombati in questo bel saggio sul Distretto dei laghi del Romanzo) e penso già alla riduzione sinestetica di Bagheria morì d'improvviso (la nuova versione è stata ridotta a sei pagine, un lungo monologo del Professore), nuova impresa mia e dei Bellanca Bros, Mitch stavolta cura la colonna sonora, g1ga grafica e montaggio e quello che una volta era il piccolo Danny ci mette la voce, si replica quello che già era stato tentato ai tempi di That's Sicily....


Potete assaggiare qui la prima prova di Danny (mp3 da 4,5 Mb), qui leggere il testo. Se ce la facciamo la presentiamo qui.

18/06/06

That's America, baby!

Praticamente una carneficina, mai tante barelle. Toni e Totti due statue di sale. Peccato per il pietoso autogol. Bruce Arena è Toni Ciccione. E meno male che temevano un attentato... Lo hanno fatto loro, ai quadricipiti e ai polpacci italici. That's America, baby!

17/06/06

Rilancio e sottoscrivo

Questo, nel periodo che il notebook ha deciso di non funzionare (s'è fatto un bel giro per l'Italia, l'hanno rispedito al mittente dicendo che potevo solo rottamarlo, mio padre, 64enne coriaceo che manco  sa accendere un pc, ha spruzzato uno dei liquidi che tiene gelosamente nel suo impenetrabile garage e l'ha miracolosamente accomodato, alla faccia di tutti i centri d'assistenza Asus che volevano 80 euro solo per valutare il danno!), chiusa fisicamente e metaforicamente la parentesi, dicevo che questo me l'ero perso e rilancio sapendo bene che l'acume di Genna è proverbiale:


Mutazione genetica: da litblog a installazione a rivista di carta

Non so se sono il primo a dirlo, ma credo comunque che la sensazione sia comune: è una fase di assoluta apatia, di saturazione della libido e di profonda trasformazione della letteratura in Rete. L’apatia e la saturazione della libido riguarda certuni, tra cui il sottoscritto che ha sospeso i Miserabili e che ha smesso di navigare ossessivamente per tutti i siti e blog italiani e stranieri che si occupano di narrativa e poesia; la profonda trasformazione riguarda certi altri.


Tre casi per me fondamentali. La Bottega di Lettura è certamente la novità più coinvolgente e innovativa del momento e mi ricorda da vicino, seppure con minore organizzazione e diverse funzioni, gli inizi dell’esperienza de i Quindici. Poi c’è la questione della trasformazione di Vibrisse, una realtà che già con gli anni si è molte volte trasformata (passando per sospensioni, come i Miserabili) che Giulio Mozzi ventila possa godere di una chance di finire in carta, in edicola: se ne discute qui. Infine c’è il quindicinale letterario di Tommaso Pincio, Aliens don’t suck, che giunge al secondo numero, e che col cavolo è un blog o un sito: è un’installazione.
Non ci sono conclusioni da parte mia. Soltanto una ammirata contemplazione e un profondo ringraziamento ai protagonisti di queste novità.
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Intanto io da buon bottegaio sottoscrivo e rilancio, includendo pure la quinta frazione della lettura a staffetta compiuta da me e da Giorgio Morale, la figura del verdone scodato vale tutta la santa fatica della lettura di D'Arrigo


 


 

12/06/06

la decisione di rimanere qui

In uno dei suo sublimi "Ritratti di scrittori", Robert Walser affermò questa verità autobiografica e universale: «Se avessi voglia di andare a Monaco, vorrebbe dire che non ho più la minima fiducia in me stesso, mentre la decisione di rimanere qui a Zurigo significa che mi sento capace di fare un'infinità di cose belle e buone»
E questo vale per tutti e per ogni città del mondo. Comprese le nostre.


Marcello Benfante, L'infelicità è siciliana, Repubblica di Palermo, p IX, 11/06/2006

Marcello Benfante

Suoi articoli e racconti sono apparsi, tra l'altro, su "Dove sta Zazà", "Linea d'ombra", "La terra vista dalla luna". Ha pubblicato il saggio "Cattivi pensieri sulla scuola di un insegnante meridionale" (Argo).È stato inserito nell'antologia "Luna Nuova - Scrittori dal Sud". È corrispondente de "Lo Straniero" e collabora a "Segno" e "la Repubblica". Ha anche contribuito alla nascita della rivista di sconfinamenti culturali "Margini"

di vita e di letteratura

Babbiando babbiando sono arrivato a scrivere su Vibrisse e quella che era nato come semplice e sconclusionato progetto di volontariato culturale per scansare precoci e irrimedibili malinconie è diventato una rivista bella e conosciuta. (in due inteviste successive il cambiamento si palesa: da così a così)(qui il comunicato del nuovo numero)

E voi? Ne avete sogni da lucidare? Anche per voi passioni mai sopite ora vi danno pane e rinnovano il vostro entusiasmo?

Intanto ho finito col primo ciclo di lezioni private, in totale Luca è venuto 36 volte (15€ x 36 = 540,00 €), come esperienza è stata varia e piena, devo ancora capire bene come calibrare passione ed entusiasmo coi tempi personali di ogni discente, ma almeno la Divina Commedia, la letteratura - greca, latina, inglese e italiana - e la filosofia le so spiegare e soprattutto le so fare amare. La matematica quella è un po' più difficile da far digerire a chi oppone alle scienze un monolitico rifiuto inspiegato e inspiegabile.

Io amavo indistintamente tutte le materie per quella volontà di primeggiare che mi ha tenuto a galla durante il liceo, sino a quando tutto il bagaglio di esperienze che ho digerito in questi sei anni mi ha insegnato che è sempre meglio ascoltare che parlare. Il servizio civile continua, l'ultimo giorno sarà il 31 ottobre, dal 27 al 29 ottobre si terrà a Roma il secondo incontro della Federazione BombaCarta.

soltanto poveri diavoli

A una certa età uno capisce che è impossibile controllare l’opinione che gli altri si fanno di lui.

Tanto vale mettere in conto le peggiori calunnie, gli insulti più gravi, nella piena consapevolezza di non poterli evitare.

Meglio scuotere la polvere dai calzari e procedere oltre, anche se non siamo gli apostoli ma soltanto poveri diavoli.

Eraldo Affinati, Secoli di gioventù, Mondadori, Milano 2004, p. 61

09/06/06

sentitodire vs. vistocogliocchi

Voi sapete la differenza che passa fra il sentitodire e il vistocogliocchi? E la stessa che passa, figuratevi, fra la notte e il giorno. E la notte, non so se lo sapete, è femmina e fa chiacchiere, mentre il giorno è maschio, piscia al muro e porta il fatto...



sempre Horcynus Orca, sempre D'Arrigo.

07/06/06

La verità sul precariato

Lo scrittore Demetrio Paolin, autore del terzo libro della prima terna Untitl.Ed segnala l'imminente uscita della seconda terna e in altri lidi, nel fluire libero del dialogo quotidiano della redazione di BombaSicilia, tra una mail e l'altra ha scritto la verità sul precariato, una verità indigesta e indigeribile, come ogni buona verità:



a me non mi interessa che mi si descriva il fenomeno della precarietà: io
vorrei capire cosa sta dentro  questa precarietà


e io non ci sento nostalgia.
di cosa direte voi?


ma di saper fare un lavoro.
Il vero problema della mia, nostra, generazione è questo: il non renderci
conto che non sappiamo fare. Che conosciamo a menadito certe cose, ma non
sappiamo fare.


è questa nostalgia del saper fare che vorrei venisse evidenziata. e non la
scusa di prendere la precarietà come un altro orizzonte dove poter fare i
finto maledetti boheimen del cazzo.

05/06/06

Nonostante tutto




And did you get what
you wanted from this life, even so?
I did.
And what did you want?
To call myself beloved, to feel myself
beloved on the earth.

E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.




04/06/06

lettera aperta ai catenisti

Stantuffatori di vuoto, ponete fine alla vostra e alla nostra sofferenza!


 Agli albori di internet non c'era niente di più fastidioso delle catenelle di Sant'Antonio, ma almeno lì cancellavi impietoso e buonanotte. Guardate i vostri blog, siete così a corto di idee di riciclare, stiracchiare, riesumare tormentoni vecchi e nuovi? L'ultima tortura che ci propinate è quella che declama i favolosi anni 80.


Ok, l'abbiamo letta tutti, la prima volta poteva pure farci piacere, la seconda un po' meno e la terza ci ha fatto lucidare una qualsiasi arma bianca per tagliare il filo del modem e dire addio a questa grancassa di ripetizioni vane e inutili. Leggete un buon libro, andate a far l'amore, personalizzate i vostri anni '80 ma non copincollate mai e poi mai l'ennesima catena. Siete davvero degli insacca-nebbia?


 

Tranci d'orca





Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice delle fu regia Marina 'Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill'e cariddi.

Inizia così il monumentale Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo. In Bottega di lettura è iniziata la prima lettura a staffetta, il primo trancio d'orca è toccato a me, il secondo a Giorgio Morale.
Buona lettura.

03/06/06

Votare in un comune sciolto per condizionamenti di tipo mafioso

Parliamo onestamente, parliamo di queste nuove elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale. Tutti vogliono fare i consiglieri per l'indennità di 1300 euro. Arrivati lì, diventano facile merce di scambio e le idee diventano peti e petuncoli nella notte senza luna. Ci siamo già arresi secoli fa, quando la terra di Cerere divenne terra di stupri reiterati perpetuati in nome di un'unità italica che nessuno ha mai lontanamente percepito.

La gente prende ancora una scarpa prima del voto e una dopo il voto. E con scarpa intendete quello che vi pare: accompagnamento, lavoricchio, euro sonanti, telefonini e trikke trakke.

La Storia non la cambiamo, la subiamo. Hanno preso il re della mafia, che minchia è cambiato?
Nel mio piccolo di Bagheria ho sempre parlato. Anche su Vibrisse, il bollettino letterario più letto in rete e proprio Bagheria ha dato il via al giro d'Italia.

Per ora "lavoro" proprio al Comune e più cose vedo più schifo respiro, i politici vengono, stringono mani, lasciano tonnellate fac simili e se ne vanno. Gioco forza perché nessuno spiega che questo perverso meccanismo di proliferazione dei candidati serve solo a portare voti al partito e aumentare l'affluenza abbassando il quorum. Siano 900 o 1300 euro, il motivo principale del nuovo impegno politico resta meramente economico.

Prendi la cultura, faccio convegni, presento nuovi autori, mi spediscono chili di libri da recensire. Propongo qualcosa all'assessore alla cultura e lui sorridente fa finta di prenderlo in considerazione, ma le associazioni sono sempre le stesse, si spartiscono le carogne ab origine.

Puoi spedire milioni di curriculum ma resti a spasso sino a quando, anche tu cali la testa. I ragazzi vogliono solo un po' di sicurezza e qualche certezza in cui concretizzare sogni e le vecchie utopie. Troppi a Bagheria devono fare la valigia e andare a cercare fortuna altrove.
Progresso? NOn so che minchia significa, so solo che sinistra o destra per me pari sono, qui in questa terra di Nessuno in cui si continua a votare per Totò vasa vasa.

si dovrebbe tornare a fare politica per il bene comune e non per il gettone, il 99% dei candidati manco lo sa per che cosa si porta.

Ragazzi di bottega, gente delle case popolari (e ho il massimo rispetto per la loro santa dignità), proprietari di palestre alla moda. Poi arrivano lì, si vendono al miglior offerente e Bagheria affonda sempre di più nella merda. Perché la mafia ti striscia addosso, bianca, rossa, nera. Pettino sempre la speranza, malgrado tutto o proprio per questo tutto.

02/06/06

La staffetta dell'Orca

Come scrive il buon vecchio George Steiner parlando dell'Orca di D'Arrigo


Nulla è più frustrante, per un lettore appassionato, di trovare un libro che per lui è travolgente, un capolavoro, e scoprire che quasi nessuno lo conosce e che non è facile persuadere gli altri a condividere il piacere che gli dà. Come può essere che un libro che lo colpisce profondamente, che trasforma il suo panorama interiore, rimanga oscuro e, in larga misura, non letto? O che i colleghi, gli amici a cui comunica il suo entusiasmo rimangano scettici o addirittura rispondano in modo negativo?

Allora anch'io nel mio piccolo combatto contro questa frustrazione e dico la mia in bottega, buona lettura


Andate e leggete

«Chissà perchè ho pensato sempre che tu fossi un prete. oggi ho pensato che mi stavo confondendo».