20/10/11

Diario milanese. "Da qua se ne vanno tutti"





Passano i giorni e questa città ti entra sempre più dentro, infischiandosene di chi sei o da dove sei venuto. Tutti qui hanno la loro storia, il loro tributo l'hanno già pagato solo per sbugiardare tutti quelli che ti davano per spacciato. Perché qualunque sia la tua meta, volevi solo la possibilità di varcare una frontiera. Di attraversare quell'invisibile perimetro di sconforto che ti gravava sul cuore e sul cranio e ti appannava i sogni e anche le più innocue illusioni. Bagheria resta sullo sfondo, memoria lontana d'un tempo che fu. Ricordo ancora piccoli insignificanti particolari: la moka e il barattolo del caffè nel mobile color ciliegio della cucina in pieno sole, il guinzaglio di riserva della mia cagnolona, l'orologio a cucù che papà salvò dall'oblio della discarica. Quando la mattina la luce del sole lecca la stanza tra le vertebre della serranda, Milano mi sembra sempre più la Fiera del Mediterraneo. Il mio personalissimo Paese dei Balocchi. Quando finiva la scuola era un appuntamento fisso con mio padre che mi diceva di non lasciargli mai e poi mai la mano, ci separavamo sempre: io con mio padre a veder forni, libri e animali e mia sorella con mia madre alla ricerca di chincaglierie. Il Duomo con la Madonnina ha rimpiazzato la gigantesca caffettiera che troneggiava sul viale della Fiera, uguale è il senso d'immensità. Uguale la paura di perdersi.