30/04/09

Il presepe infinito



Sin dove arriva a scavare la talpa dei ricordi mi vedo bimbo panciuto a far presepi con mio padre, perché mia madre non si è mai accontentata di un solo presepe. Li adora e li colleziona. E dato che casa mia si espande su tre piani con cinque stanze per piano, ne facevamo almeno quattro: quello monumentale stava nella fioriera del salotto, uno mignon stava nella cucina (un presepe che mia madre aveva vinto ad una pesca di beneficenza quando ancora era una picciridda coi boccoli nerissimi), uno nella mia stanza (avevo investito così i soldi che la mia madrina di battesimo m'aveva regalato per la mia prima Comunione) e uno nella stanza dei miei.

Quello monumentale era un'utopia fattasi sughero e colla e carta e tanto, tantissimo nastro da imballaggio, quello marrone che se non tratti bene finisce per appiccicarsi dovunque tranne nelle due metà che dovrebbe sposare. Mio padre è stato sempre megalomane, una volta ne abbiamo fatto uno che era una torre di babele di cassette di frutta, quelle di legno in cui si mettono a maturare le arance. Pareva uno di quei paesini abbarbicati su un monte, con tutte le case e la vecchina che filava, l'uomo delle castagne, il macellaio, l'addumisciutu e perfino il pastorello col culo all'aria e con un pezzo di cacca che gli usciva dal deretano (quello mia madre lo ammucciava sempre e io dovevo rimetterlo nella zona più illuminata per rendere la scena più reale).

29/04/09

Per indovinare il corso della corrente


Non meravigliatevi se adesso leggerete d'un ragazzino, di gente non famosa, e di semplici avvenimenti. Per meglio vedere lo scorrere del fiume si getta un fascio d'erba strappata nell'acqua, e seguendone i fili, che ora lenti ora veloci se ne vanno dritti e di sbieco si può indovinare il corso della corrente. Io vi voglio mostrare il moto del tempo.


Viktor Borisovič Šklovskij, C'era una volta



Al primo giorno di scuola mi ci portò mio padre, quando ancora era maresciallo dei vigili urbani. Per non attirare critiche e note di demerito nel suo stato di servizio si fece mettere di turno alla mia scuola, per cinque anni di fila arrivavo a scuola nella Uno dei vigili.

Una Rete per acchiappar parole



Ho letto proprio ieri un interessante articolo sull'impossibilità materiale e morale di far siti per soli 500 euro.

Se uno riesce con pazienza e mantenendo la calma da bonzo a farsi pagare la grafica, se poi propone la sua opera di copywriter riceve risposte agghiaccianti.
Il risultato? Il cimitero di carcasse che infestano il web. Siti splendidi con pagine in perenne costruzione che mai si riempiranno.
E poi si lamentano pure che il sito non ha migliorato la loro situazione…

Vi lascio le belle parole di Vittorio Zambardino che gettano semi per fertili e future riflessioni:
«La tecnologia, quando non è piattaforma abilitante della comunicazione, non serve a niente. La forma tecnologica di oggi - come la carta 200 anni fa - è il simulacro di una relazione sociale nuova con il “popolo” che legge [...] La tecnologia è la “carta” che permette di raggiungere il nuovo pubblico laddove questo vive e pensa. Dunque impossibile ignorarla».

«Scrivi, ti prego. Due righe sole, almeno, anche se l'animo è sconvolto e i nervi non tengono più. Ma ogni giorno. A denti stretti, magari delle cretinate senza senso, ma scrivi».



A 24 anni sono andato dall'altra parte della Terra per scrivere, l'ho fatto imbrigliando i miei sogni prendendoli per le corna. Sono tornato tre mesi dopo e ho ritrovato mio padre reduce da quella che sembrava una semplice ma perniciosa polmonite.

Ho ricominciato a macinare le ultime materie, tutte le storie aggiunte alla fine di un calvario accademico per aver le carte in regola per l'abilitazione all'insegnamento. Sostengo tutti e cinque esami in quattro mesi, arginando un incombente depressione. Alla fine cedo. Il giorno della discussione di laurea quel relatore che credevo amico e maestro decide bene di lavarsi le mani, come aveva fatto il suo illustre collega con la mia migliore amica sei mesi prima.

Capita anche questo: prima ti spingono a coltivar autostima e libertà di giudizio, quella stessa che loro per arrivar dove sono hanno sacrificato. E poi ti sferrano la pugnalata dove fa più male, su quel pezzo di carne in cui l'hai lasciati aggrappare.
Lui che si vantava d'aver messo sul tergicristalli multe-poesie nelle auto in sosta, o sempre pronto a guidar una ruspa per tirar giù quella facoltà orrida e rosa salmone che gli enfia il conto in banca.
Parentesi chiusa. Resto solo, con le spalle al muro. E ad agosto mentre ripassavo sistematicamente tutta la storia e la filosofia, scopro che la scuola per la specializzazione all'insegnamento non sarebbe partita per non creare altro precariato.

Chi non ha provato mai la vera depressione può pure smettere di leggere che non capirà mai che cosa significa trovarsi terrorizzato dalla mitragliata di possibilità che la vita t'offre. Tutte decisioni che devi prendere senza tentennare, solo che aver già scelto con leggerezza una volta t'ha portato a ritornare sui tuoi passi, con una mano davanti e una sul didietro.

28/04/09

se non credi più a nessuno / niente crede neanche a te



Sono le cose più micragnose e insignificanti che impari ad apprezzare quando tutto cambia: le zuffe sul far della sera per chi vuol vedere Blob e chi le scazzottate irreali del vecchio barbarossa Walker Texas Ranger.

Scivolano giornate immutate a far la spola da casa sino a quella stanza, illudendosi che domani andrà meglio, che magari è l'ultimo prelievo, l'ultimo esame, l'ultima indagine coordinata tra vari reparti.

E l'indomani ricomincia, sembrano lontane anni luce le mattine passate al Comando dei vigili a timbrare e dattilografare le prime stentate narrazioni. Ere geologiche da quelle mattine di pace a divorar pizzette senza preoccuparsi di rotolini e maniglioni dell'amore. A ridere di gusto per battute vecchie come stegosauri...
Ma la vita continua...

26/04/09

Chiamatemi dottore

Ospedali, galere e puttane: sono queste le università della vita. Io ho preso parecchie lauree. Chiamatemi dottore.

Ogni notte, quando aspetto mia madre sul pianerottolo del terzo piano dell'ospedale, ripenso a quest'ultimo anno, a come si siano sgretolati sbilenchi presupposti che dovevano lanciarmi nell'empireo della carta stampata. Sono stato annorbato da vagoni di complimenti, con poco pelo nello stomaco per capir che gli altri hanno ben altre preoccupazioni che aiutar te ad emergere.

Ci voleva l'ultimo tassello, la damnatio memoriae sistematica e reciproca di quelli che chiamavo amici e maestri, capaci solo di prendere continuamente in giro, "ho per le mani un progetto... se va in porto il primo a cui avevo pensato eri proprio tu", o peggio ancora "ho visto che mi hai mandato il curriculum, complimenti, ma sei troppo quotato per vender assicurazioni sulla vita a scalcagnati padri di famiglia che manco tengono più gli occhi per piangere", e magicamente, nel frattempo han collocato zita, amante, amante dell'amante, cugino acquisito e figlio del vicino, che erano invece così poco quotati da essere perfetti e riciclabili per ogni dove.

Scotolando per bene, son rimaste le vere cose importanti, l'amicizia di due, al massimo tre amici che sono davvero e inspiegabilmente tali, malgrado la mia storica incapacità ad alzar cornette e parlar del nulla, son sufficienti quegli sporadici e non preventivati incontri per rafforzarci a vicenda. È rimasto pure quel cugino che è quasi fratello con tutta la semplice sicurezza che lui ripone sul futuro e sulla Famiglia. Quella famiglia che vacilla, concretamente incapace di tener testa alle difficoltà che i rampolli di ogni ramo si trovano a fronteggiare. Talentuosi come ogni dannato bipede implume che condivide il corredo cromosomico di quelle scimmie che scesero un dì lontano dagli alberi. Perché, amici miei, parliamoci chiaro, per qualcuno saranno le parole, per qualche altro i tratti di matita o la capacità di memorizzare battute, malattie, facce e soluzioni d'equazioni intorcigliate. Per qualche altro è semplicemente la fortuna a dar forma e sostanza a una buona eredità che non va dispersa perché si continua a investire e crescere e prosperare.

24/04/09

Mahna Mahna (manamana, Mah-Na Mah-Na)





Due euro per cento motivi

Scopro solo ora che quella da due euro è l'unica moneta che si può usare a fini commemorativi. Che ha pure il suo senso: ci hanno tolto Alessandro Volta, la Montessori e Bellini, altrettanti baluardi di sicurezza blu, viola e verde e, di tanto in tanto, fanno fare la stessa fine pure al naso di Dante.

Due euro... Che ci fai di sti tempi con due euro?

Prendi un vagone bisunto per giungere a Palermo?
Prendi due caffé e lasci quei due pezzi da venti centesimi per mancia?
Manco ti viene più la Gazzetta e il Giornale di Sicilia, con quei dieci centesimi che gravano sul prezzo del giornale che fa tutto esaurito in occasione d'arresti o quando c'è da scovar necrologi.

Forse ci paghi un "simpatico" posteggiatore perché rifar fiancate o sostituire copertoni costa qualcosina in più. Oppure t'infili in un negozio dove trovi tutto a 99 centesimi e compri un elfo viola con le orecchie a punta e un'inutilissima mini-sdraio per il cellulare.

Oppure finalmente t'illumini e fai la cosa più saggia, vai in un'edicola e compri il primo numero di 90011.magazine: 100 pagine fitte fitte con la squadra di 90011.it che hai imparato a conoscere e stimare che s'arricchisce di nuove firme tra foto di sicuro impatto, libri, inchieste, perfino la famigerata delibera 155 che il sonno ha tolto a più d'un bagherese.
E la meravigliosa graphic novel Munnizz, pensata e dipinta da Nico Bonomolo.
Ci trovi questo e tanto altro, e sono solo due euro: 2 centesimi a pagina.





15/04/09

Cuore di padre

tonino periodista by grenar

Oggi papà s'è alzato dal letto e s'è messo a raccontare di quando facevo l''inviato speciale in Sud America al fratello del suo compagno di stanza. Ha detto orgoglioso che quel giornale gli piaceva. La mamma gli ha fatto notare che forse il gradimento dipendeva dal fatto che su quelle pagine ci scrivevo io. E lui, malgrado il sondino e la tristezza che lo avvinghia quando cala la sera, ha sorriso.



Mi sono commosso e ho fatto quello che continuavo a rimandare: ho riunito in un unico file il mio "diario uruguayano".
Sono 101 pagine scritte in 3 mesi, a 24 anni, a 12000 km da casa.

Sono tornato giusto due anni fa, sono tornato e ho trovato mio padre ammalato...
E benedico la difficile scelta di non ripartire. Malgrado la conseguente depressione, gli scazzi, la rabbia dell'inazione e tutto il resto che da quell'atto è derivato. Perfino gli otto chili che mi sono spuntati sotto la cintura da quando ho smesso di fumare un anno fa.

Il file l'ho diviso in tre parti, ché tutto insieme era quasi 10 Mb.
La prima parte copre gennaio e febbraio, la seconda tutto marzo e la terza aprile.

Ho ritrovato facce, sensazioni, odori e sapori. E le altre cose che sono naturalmente rimaste fuori dalle pagine del giornale: l'amicizia con il ristoratore d'origini italiane del ristorante Ruffino, le belle chiacchierate per raffinar lo spagnolo con il cameriere del ristorante accanto alla redazione e soprattutto l'amicizia col portiere dello stabile in calle Misiones, Francisco, un gigante di quasi due metri col cuore puro di bimbo che m'abbracciò bagnandomi di lacrime un attimo prima dell'arrivo del taxi per l'aereoporto.

14/04/09

Bagheria morì all'improvviso


L'Approfondimento in occasione del lancio della nuova grafica editoriale ha pubblicato la novella a cui sono più legato. L'editing è stato curato da Domenico Di Tullio.


Ecco il pdf:  la prima e la seconda parte.


(La bella foto di Vincenzo Giammalvo è il migliore commento al nuovo volto di Corso Umberto I).

11/04/09

«finché prenderemo d'anticipo il mattino»



Andare dall'altra parte della Terra per tornare e capire che le stelle cadenti stanno tutte in un bacio forte di trentanove anni d'amore.