25/01/05

mi metto di traverso come un caddozzo di sasizza

Mi sa che mi sono perso l'acume dicotomico, forse ne ho abusato per troppe pagine. Prima o poi doveva pur capitare, mica che c'è una fontana perenne che ti fa scivolare le dita sulla tastiera veloci come il vento che soffia sui sogni miei e di Forrest Gump.

Eppure di cose da raccontare ne sono successe a tignitè (oramai qui pullula di siciliani quindi non limito più l'uso della lingua-madre),  tutte in manco un mese.
Come se si fosse manifestata una di quelle fistole che si incastrano nel Grande Orologio degli Eventi. Ne avrò imbroccata di certo una e, semplicemente, mi sono accorto che c'era un mondo intero zuppo di storie. Tante, magari troppe. E allora ho preso l'affettaparagrafi che mi porto tra cuore e cranio e ho fatto il primo sopralluogo. Ero in un caffè letterario, sorseggiavo vinaccio scadente che ti spacciano a tre euro a bicchiere, e lì, coi gargarismi di uva fermentata, arriva lei. E spazza via ogni tentennamento. M'ero ripromesso di stare solo io a carezzare Paul Celan e la sua vita-poesia. Stolto l'uomo che non ritorna sui suoi passi. Ed ecco che  nel frattempo mi sono pure laureato. Lì, sotto il faccione di Marx che mi svolazzava sulla capa e sui pensieri.
 
E poi ecco che, uno dopo l'altro, gli Amici sono tornati, sono bastati un paio d'anni per dare uno scossone alla vita. C'è già chi lavora, chi davvero non fa che sciupare schampoo e chi non ha ancora perso la voglia di pettinarsi per bene i sogni. Chi fa volare glia aeroplanini e si commuove quando ti racconta il momento esatto in cui li vedi sollevarsi lì, al di là dei pensieri, al di là di chi il treno l'ha preso e con la stessa voglia addosso all'incontrario per tornare almeno qui che si mangia bene. C'era una sfilza di emozioni, lì, tra pizzette e caddozzi di sasizza che facevano tanto festa dell'unità. Gli amici, quelli veri li puoi contare sulle falangi di un dito. E forse già sono assai.

Certi mondi, è vero, cambiano ma chi cambia veramente è la percezione che tu hai del mondo. Vi sarà capitato di sicuro, il tempo si ferma e tu ti trovi lì, ritagliato dal contesto, come se stessi rivedendoti in tempo reale la moviola di quello che ancora devi dire e lo vuoi gridare a tutti che stavolta non avrai paura di poter sbagliare ancora, perchè c'è lei, lei che ti ha portato un meridiano e  ti ha sussurrato all'orecchio che la soglia di chi si ama è destinata piano piano a logorarsi, piano piano. La borsa di pelle che cigolava sulla spalla ad ogni passo ora è in fondo all'armadio e là aspetta il week end per farsi un giro. Come se bastasse una proclamazione per capirci qualcosa di più della vita. Però lo sento, qualcosa è cambiato sul serio. Sarà che rivederli tutti lì, schierati con meno capelli e più panza (nel mucchio mi ci metto pure io) a cantare le canzoni dei cartoni, parlando dei simpson, commuovendosi per i viaggi fatti senza sapere che, appena dietro la curva, c'era la vita pronta a grattuggiarci per bene. Giorno dopo giorno, trillo di sveglia dopo trillo di sveglia.

Qualche vita fa che scrivevo che mi sarebbe piaciuto solo arrivare a vedere i due seguiti di Matrix e leggere l'ultimo volume della Torre Nera, la megasaga di Stephen King. Mi ritrovo ora ad avere il dvd di Matrix Reloaded ancora da spacchettare e le ultime pallossisime pagine della Torre Nera con l'unica certezza addosso: le 1200 pagine del volume mi slogheranno un polso se non smetto di leggere a letto. Con l'unico dubbio a tenermi compagnia: quale mai sarà la giusta posizione per leggere a letto? Mi metto a pancia sotto e dopo venti pagine le scapole tendono ad accopparsi verso l'esterno; riprovo di lato e il polso si stocca in fuori, riprovo seduto e il freddo polare che cala di notte mi intima di mandare a quel paese Stephen King e le sue note di chiusura in cui specifica che lui ha fatto un bell'esempio di meta-fiction mettendosi tra i personaggi della sua grande opera.
Poso il volumazzo vedo sul comodino i film del Prof che ancora devo subire un imprecisato sabato mattina (Provateci voi a vedervi Gertrud di Dryer in versione originale sottotitolata con Ghezzi che pure ci spupazza les pelotas con l'incomunicabilità strisciante che ci vive addosso. Quattro anni e venti chili in meno fa, Carlo venne da me il pomeriggio prima dell'esame del diploma. Nel mio piccolo, gli vomitai nella memoria a breve termine abbastanza nozioni per superare degnamente il confronto con la commissione d'esame guidata dalla versione sbiadita di Michael Douglas in Un giorno d'ordinaria follia. Ieri sera l'ho aiutato ad "ottimizzare" la tesi di laurea. Ce l'abbiamo fatta, ci siamo laureati prima di tutti gli altri. e pensare che proprio noi nel 1996 capitammo accanto, i due estremi. Io che ancora cercavo di completare la raccolta delle sorpresine degli ovetti kinder e lui che già si faceva la barba. E tutti gli altri, lì, con quella melanconia che può stare solo negli occhi di quelli che hanno appena svoltato l'angolo dell'adolescenza. Lì, a spazzolare ricordi, manco avessimo duecent'anni l'uno.
Ah, quelli sì che erano tempi...

Basterebbe fermarsi un solo momento, o forse ne basterebbe pure mezzo. Magari calibrato su quell'istante in cui capisci che stai per baciare lei e la vita che potete costruire assieme. Una faccia che mai e poi mai potrai rifare, manco studiando all'Actor's Studio. Una faccia unica, inimitabile. Quel momento di meraviglia lo conoscerà solo lei. 
 
Davvero vorresti tornare indietro? A masticare ricordi e broccoli sulla collina dei sogni sciupati? Vorresti tornare con la faccia liscia, le ascelle sudaticce per l'impennata ormonale? Vorresti di nuovo le dita a salsicciotto incapaci di slacciare pure il più elementare dei reggiseni?

14/01/05

retroscena ondivaghi

 Stamattina tutta la storia dello sciupasciampo mi ha agguantato e mi ha detto che era giunto il momento di smettere di palleggiare e andare al sodo. Da un pò di tempo capita anche questo, devo combattere con la mia faccia da parolaio e cercare di accademizzare la confezione. é stato un anno strano, bello e denso, "inturciuniato" per dirla nella mia Muttersprache che divido con gli altri abitanti dell'isola triangolare che qui abbondano. Ho macinato pagine su pagine e ora incomincia la salita. Strano, dopo anni ad inseguire spontaneità sempre più lontane, tutti gli amici sono riaffiorati, dopo che pensavo di avere in comune con loro solo una manciata di ricordi, ci ritroviamo dubitanti, vestiti delle stesse piccole paure che sfumano verso il domani che presto sarà qui, sulla soglia, lo sento già bussare. Lo Sciupasciampo dovrebbe concludere la trilogia siciliana, i primi due raccontacci li avete già graditi, le cucuzze e l'afferracazzintallaria. Qui tutto giugne a compimento, spero di non aver tradito la fiducia che Angelo, Paolo Lo Cicero e Lo Sciupasciampo mi hanno accordato.
Buona lettura.

11/01/05

lo sciupasciampo (1/4)

 S'era alzato presto con la sua faccia da babbione che lo aspettava già sullo specchio del bagno. Stette lì a rimirare quel sorriso senza pretese. Mica voleva capirci poi tanto della vita che gli altri si affannavano a trangugiare con carte di credito e cenette in quei ristoranti coi menù incomprensibili e dosi che più piccole erano e più le dovevi pagare. Lui stava lì, ad aspettare la sua occasione, quella buona, quella che prima o poi arriva per tutti.

L'OCCASIONE: nella sua testa stava scritta tutta in maiuscolo con caratteri quadrati e lucidi come i sogni di pioggia che l'avevano portato lì, a contemplare tutta la faccenda da un punto di vista che non aveva mai addentato.

Era a petto nudo, con la barba che lenta ricresceva dopo l'ennesima rasatura imposta dal suo capoufficio. La zazzera in testa stava sbilanciata da mezzo lato, intonata a tutta la sua vita.

Non poteva dare torto a chi gli aveva affibbiato quel soprannome che lo precedeva, solo all'anagrafe era Paolo Cirano, per tutti era ormai solo lo Sciupasciampo. In quella zucca non aveva mai avuto pensieri con cui rasoiare i possibili rivali e questo nessuno glielo aveva mai perdonato, doveva almeno provare ad essere uno squalo, non importava il contesto. Tra i banchi di scuola o da dietro una scrivania doveva tagliuzzare gli altri con la pinna dell'arrivismo opportunista. — Che vadano tutti a farsi un clistere di invidia, io me ne sto bel bello qui, e aspetto che arrivi il treno, quello giusto, a portarmi al di là di questo grigiore che ti entra nelle ossa.

Se lo ripeteva come un mantra, tutte le mattine. Quel treno se lo immaginava sempre con più particolari, sferragliante, lucido, bello e veloce. I suoi sogni-locomotive cozzavano contro le parole di quelli che una volta aveva chiamato amici. Lui ci fischiettava sopra "Vorrei" di Guccini.

Gli bastava.

Era finito lì dopo che la sua famiglia aveva condiviso la sorte del Titanic e lui, invece di finire come Leonardo Di Caprio, aveva mandato tutti al diavolo e aveva deciso che, se naufragio doveva essere, lo voleva solo suo.

Sua madre s'era messa in testa che suo marito la tradiva: sono quelle cose che le donne fanno di continuo. Quando tutto va bene non ce la fanno, devono trovare un pretesto, e più è banale più ci ricamano su un melodramma da tirare avanti per qualche settimana. Dalle minuzzaglie ai massimi sistemi, tutto va bene per dare la corda a una donna che s'è messa in testa che vuole impedirti di vederti in tranquillità la partita del Palermo che hai appena comprato su Sky.

Il signor Cirano poteva tranquillamente fare come Cicciu u Meccu e lasciarsi scivolare addosso la vita, le sue paturnie e interi buttigghiuna di vinazzo di casa, ma giusto giusto quella sera s'era pettinato la parte femminile che proprio la consorte gli aveva intimato di tirar fuori per aderire meglio alla vita. Si disse tra sé e sé che avrebbe combattuto senza esclusione di colpi la fimmina che gli impediva di vedere le belle cosce di Toni fare gli sfregi a quegli strapagati aricchiuni del Milan. Sua moglie doveva essere punita con un sadico contrappasso o, almeno, così meditava Vincenzo Cirano che alla sua parte femminile poteva pure fare la permanente ma masculo era e masculo restava, lontano, troppo lontano dalla lucidità di una testolina di donna che vuole arrivare alle grosse. E così, prima volarono i piatti che la nonna Cicciuzza aveva regalato in occasione del venticinquesimo, seguiti in ordine sparso dall'esercito di lozioni anticaduta che Vincenzo usava per coccolare gli ultimi peluzzi che timidi e indifesi gli svettavano sulla capoccia. Poi la tragedia: il doppio autografo di Galep e Bonelli che s'era incristallato dal lontano 1962 finì a terra in pezzi. Suo padre poteva passare su tutto, magari avrebbe pure pagato per vedere fare la stessa fine alla foto del matrimonio che stava sopra la testiera del letto. In quel rettangolo in bianco e nero, il sadico fotografo gli aveva immortalato per sempre l'inizio della sua ingiusta e prematura calvizie.

Intoccabile era l'attrazione incondizionata che VIncenzo aveva per il ranger in salsa italica che da 50 e rotti anni smaronava le palle ai suoi migliaia di lettori. Tutti s'aspettavano che, albo dopo albo, Tex mandasse in gattabuia o al camposanto i suoi nemici. VIncenzo usava la morale di Tex pure nella vita, magari shakerandola con la filosofia di granito che beveva da quei telefilmetti inguardabili di Walker Texas Ranger. Alle 8 di sera Ficarazzi finiva per essere una delle province del Texas, e, invece delle ciabattone, sul cotto della cucina risuonavano gli stivalazzi da rodeo che aveva ordinato su Postalmarket abbinandoli al suo cappellazzo da "cauboi". Lo Sciupasciampo assistette impotente al disastro, vide gli occhi del padre diventare due culi di sigaro e uscì di casa portandosi via solo i suoi libri. Ora era lì, a guardare la lenta ricrescita della barba. Pensava solo a lei e ai suoi begli occhi turchini.

03/01/05

oscillazioni

LA NOTTE, quando il pendolo dell'amore oscilla
tra sempre e mai,
la tua parola si spinge fino alle lune del cuore
e turchino come un temporale il tuo
occhio porge alla terra il cielo...


Paul Celan, NACHTS