31/12/06

Il tempo delle ics



Mi hanno detto che fare una ics nei numeri del calendario "denota un pessimismo radicato". Sarò pure pessimista ma io ne faccio una piccola piccola col blu della punta scalpello-indelebile-scrivesututto del tratto MARKER. Lo faccio da quando avevo nove anni. Ho iniziato quindici giorni prima del mio decimo compleanno: me l'aveva consigliato mia madre, forse per tenere a freno la frenesia che m'aveva preso, bruciavo dalla voglia di avere un'età a due cifre, un'età da "grande". Sarei stato abbastanza grande da tenere anch'io il telecomando, bè, chiaro, se non c'era nessuno più grande di me nei paraggi del televisore del salotto.

Come se non dovessimo mai morire

Lisa e Ulisse s'erano incontrati sei anni prima all'oratorio, portati lì mano manuzza alle rispettive apprensioni materne. L'oratorio era l'ultima oasi sicura dove posteggiare i figli in attesa della terrificante ondata ormonale di cui si avvertivano le prime avvisaglie. La madre di Ulisse l'aveva beccato a tarda notte con il pinnacolo tra le mani a visionare casalinghe perverse che agitavano tetteeculiecosceelingue sul piccolo mivar in bianco e nero. L'aveva strappato dalle occasioni di peccato spruzzandolo con acqua benedetta contrabbandata in una bottiglietta di Lourdes e l'aveva ammanettato con tre rosari. La madre di Lisa era ancora più sconvolta, sua figlia stava imbambolata con gli occhi persi nel poster di Antonello Venditti e colorava i suoi album aggiungendo giganteschi attributi agli orsetti del cuore. I rispettivi padri erano persi nei 90 minuti, sordi e ciechi a qualsiasi novità. Avevano scaricato i loro figli là e tanti saluti.

Il venditore di scolapasta


La notte che arrivò il venditore di scolapasta, stavo costruendo il mio palazzo della memoria.
Ci lavoravo già da due mesi in quel cantiere di pensieri, impastavo ogni notte tre caldarelle di sabbia e cemento e poi a colpi di cazzuola tiravo su le pareti, le tiravo su cantando perché cantando tutto è più facile: impilare mattoni, comporre poesie, pedalare, uccidere ricordi e fingere di aver imboccato il percorso giusto.
Cantavo e con la cazzuola spalmavo su ogni fila due centimetri di impasto e poi riprendevo a cantare, lo facevo prima di mandare a letto i sensi di colpa, lo facevo con la testa nel cuscino e piano piano sognavo il contenuto di un altro piano.
Quella notte stavo per iniziare il tetto di marzapane della stanza dei Sogni Sciupati e dalla finestra entrò la voce del venditore, era lì, sotto un lampione, con l'ombra smozzicata e un dubbio sotto il cappello di panno.

La più piccola storia mai raccontata













La più piccola storia mai raccontata

di Costantino Simonelli


DI COME NACQUE E MOSSE I PRIMI PASSI


Nel piccolo universo virtuale e reale che negli anni si è formato attorno al progetto culturale di BombaCarta, BombaSicilia è stato il primo e più antico satellite a costituirsi come tale. Un po’ paradossale è che il suo ideatore, Tonino Pintacuda, all’età della costituzione, da fresco diplomato liceale avesse poco più di diciott’anni. Ma il paradosso è solo apparente, perché poi chi nel tempo e nella frequentazione ha imparato a conoscere Tonino, si è accorto di quanto genio e fremente entusiasmo per lo scrivere, il leggere e i suoi indotti, tenesse ben custodito dentro. Quando la voglia impellente, urgente di esploderlo, di investire gli altri di questo suo amore, è finalmente scoppiata, questa ha coinvolto alcuni ipermeditabondi pescati nella lista madre di BombaCarta.

E BombaSicilia è nata da un manipolo di listaioli mai abbastanza contenti e soddisfatti del “quanto basta” per dare libero sfogo alla loro passionevizio: quello/a di scrivere. Sin dall’inizio il reclutamento delle maestranze cerebrali non ha avuto connotati di regionalismo. Sarebbe stato troppo angusto l’orizzonte e non avrebbe avuto in fin dei conti, in una realtà accattivantemente globale, molto senso. Il “Sicilia” attaccato a “bomba”, da subito non è stato altro che un pretesto per darsi un’etichetta di affiliazione nella diversità.


BombaSicilia è nata così, e come naturale sbocco, al fine di produrre una rivista digitale diversa; che fosse il coagulo, il prodotto, variegato ma compiuto, di diversi modi di concepire la letteratura e di applicarla nei propri scritti.


I primi tempi, quelli dell’entusiasmo e dell’improvvisazione, sono stati piuttosto faticosi nel trovare un’identità precisa, un’armonia di fondo tra i vari scritti, un qualcosa che desse un senso definito al discorso che si andava proclamando.


Per un bel po’ si è rimasti intrappolati nel più comune degli errori di una rivista sul web, fatta da volenterosi entusiasti produttori e assaporatori di parole, ma velleitari redattori che mandavano “cose loro” avulse da qualsiasi progetto e che puntualmente, in mancanza d’altro, venivano incastonate nel tabloid con fare pressoché antologizzante e, a volte, anche un po’ vetrinesco; in una sorta di buona torre di Babele in cui ognuno parlava più o meno bene la sua bella lingua ma si estraniava da qualsiasi discorso degli altri.


DI COME SALDA SULLE GAMBE PROVÒ A CORRERE E SALTARE


Ma siccome BombaSicilia non voleva essere questo, ecco che nel 2005, sempre Tonino, nel frattempo maturato alla corte di una sapida e brillante laurea in filosofia, ci ha condannato, noi redattori, ad una svolta epocale per la rivista. Di portata pari, come peraltro tutte le grandi invenzioni pratiche, a quella della scoperta dell’uovo di Colombo. “Ci vuole un tema, un filo conduttore per ogni numero” E così adesso, da allora, BombaSicilia percorre un’altra rotta con il sestante indirizzato in modo non preciso, anzi elastico, ma comunque orientante.


Per fare un esempio: il numero 5 dell’e-zine era “Giardini in tasca su caldaie crepate”. Il tema, anche criptato da citazioni di grandi della letteratura, in buona sostanza era: “chi e quale lettura ti ha modulato o ti ha, in qualche modo, modificato la vita? È una domanda interlocutoria, così, a tema libero, ma così responsabilizzante, quasi corporativivizzante i lettori che ne sentono il peso come tale, che, nella libertà dello gestirsi come si vuole nella risposta, spinge cuore, cervello e prassi a cooperare a dire un qualcosa di nuovo sull’ argomento; ognuno con la sua indole, i suoi modi e le sue esperienze  memorie più consolidate.


DI COME TROVÒ COMPAGNI DI VIAGGIO E SI MISE SULLA STRADA


E allora ecco che nella diversità degli intenti e dei modi, BombaSicilia diventa un corpo compatto, una rivista “in progress” verso una sua propria identità.


Così facendo e così interpretandosi si è prefissato, da una parte un metodo, dall’altra si è prefigurato un percorso da intraprendere.


E per essere, in questo percorso, il meglio accompagnata possibile, si è aperta a più d’una d’esperienze culturali analoghe con cui condividere le problematiche e scambiare i frutti delle discussioni.


Questo che ho tracciato della nostra realtà, è, naturalmente, ancora un cosiddetto “stato dell’arte” in corso d’opera. Un percorso ideale, ancora “in fieri”, ancora da compiersi, per buona parte, verso un “end point” che poi, nessuno sa dirti quanto si possa, nel tempo che lo persegui, allontanarsi vieppiù dal tuo percorso. E neppure  e questo è il bello se resterà nel tempo futuro sempre lo stesso.


Però, dalla sua, BombaSicilia ha una sua curiosità inappagata, una ricerca del meglio ancora, che è (dovrebbe essere) il migliore antidoto alla cementificazione del già ottenuto. E cioè del dato per scontato.


DI COME STA CERCANDO IL PAESAGGIO


 Adesso come adesso BombaSicilia è un “lavori in corso” mentale ed organizzativo senza limiti di tempo e di occupati.


Ma l’unico requisito ed il solo intento necessario ed indispensabile per partecipare resta quello della voglia o della necessità di grattugiarsi fuori e dentro e farne uscire fuori e mettere nero su bianco scaglie di parole.


E siccome le parole, ricche o povere che siano, nella vita un po’ sono importanti, ma nella letteratura sono quasi il tutto, allora corre obbligo che queste, in una qualsiasi produzione letteraria, siano organizzate al meglio.


BombaSicilia ci sta provando.

Buon Anno (Lorenzo 1999, Capo Horn)

Buon anno fratello buon anno davvero e spero

sia bello sia bello e leggero

che voli sul filo dei tuoi desideri

ti porti momenti profondi e i misteri

rimangano dolci misteri

che niente modifichi i fatti di ieri

ti auguro pace risate e fatica

trovare dei fiori nei campi d'ortica

ti auguro viaggi in paesi lontani

lavori da compiere con le tue mani

e figli che crescono e poi vanno via

attratti dal volto della fantasia



buon anno fratello buon anno ai tuoi occhi

alle mani alle braccia ai polpacci ai ginocchi

buon anno ai tuoi piedi alla spina dorsale

alla pelle alle spalle al tuo grande ideale

buon anno fratello buon anno davvero...

che ti porti scompiglio e progetti sballati

e frutta e panini ai tuoi sogni affamati

ti porti chilometri e guance arrossate

albe azzurre e tramonti di belle giornate

e semafori verdi e prudenza e coraggio

ed un pesce d'aprile e una festa di maggio



buon anno alla tua luna buon anno al tuo sole

buon anno alle tue orecchie e alle mie parole

buon anno a tutto il sangue che ti scorre nelle vene

e che quando batte a tempo dice andrà tutto bene

buon anno fratello e non fare cazzate

le pene van via così come son nate

ti auguro amore quintali d'amore

palazzi quartieri paesi d'amore

pianeti d'amore universi d'amore

istanti minuti giornate d'amore

ti auguro un anno d'amore fratello mio

l'amore del mondo e quello di Dio...

30/12/06

Le anime strane raccontate in diretta

“Anime strane” è un libro fatto da più di cento storie raccolte in ventitrè anni di carriera dallo psichiatra Marco Ercolani e messe sulle pagina con l’aiuto della poetessa e traduttrice Lucetta Frisa. Il risultato è strabiliante: in bilico tra il paradosso e parentesi di poesia assoluta che sconfina spesso nella fantascienza con personaggi che popolano un mondo “un po’ ubriaco” o un universo che altro non è che “un buco pieno di bellezza”.

23/12/06

La mela bucata



L'estate lumacava scodinzolandoci sui banchi e la panza dello Zio Filippo emergeva tra i pelazzi della zona ombellicale. Dove facevano mostra di sé residui antecedenti alla morte di Taninu u panellaru.

Si capiva che ci sarebbe successo qualcosa in quei tre mesi di libertà che albeggiavano appena.

Il professore manco ci provò a tenerci ancorati ai banchi, si stette tutta la mattina a leggersi il giornaletto porno che aveva infilato tra le pagine del Manifesto.

La campanella si era allenata sin da maggio, giorno dopo giorno suonava sempre più presto, un minuto alla volta aveva guadagnato mezz'ora nel personalissimo fuso orario dello zio Filippo.

Come le millestelle



Era un quarto di cazzuola. Almeno secondo le immutabili gerarchie del cantiere. Veniva subito dopo la folla di mastri, mezzi mastri, cazzuole, mezze-cazzuole e manovali. Lui ci provava con tutta la sua buona volontà a far quel gioco di polso e avambraccio che segna la vera differenza tra un buon muratore e una schiappa. Per capirci, al primo affideresti la costruzione del tuo tetto, al secondo al massimo fai fare i buchi in cui infilare i tubi del cesso. Gianni accettava il suo status. S'era laureato qualche settimana prima con una tesi su Benjamin ed era finito lì, in uno dei cantieri di un suo zio imprenditore per racimolare gli euro necessari per farsi un inter-rail o almeno un viaggetto decente per ricaricare le pile prima del dottorato.

L'annusatore di gas intestinali

Dicono che gli ottimisti resisteranno all'inverno nucleare. Resteranno loro e gli scarafaggi e insieme ripopoleranno la Terra.

Io non li ho mai sopportati, né i primi né i secondi. Sono irritanti come certe abitudini che ha la mia meta'. Schiaccia i tubetti dei dentrifrici al centro, non sciacqua mai il portaspazzolini cosicché l'acquetta fetida impuzza tutta la stanza da bagno, toglie la chiave dal quadro prima di abbassare i finestrini elettrici e soprattutto scoreggia mentre facciamo all'amore.
Ed e' pure un'ottimista. Ce ne sono abbastanza per cancellarla dal prossimo censimento.

La pozzanghera

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
un battello leggero come farfalla a maggio.Rimbaud, Il battello ebbro

Il treno s'è fermato sui binari sdentati della stazione: lui scende e s'accende una sigaretta, la scaglierà sul secondo marciapiede e la calpesterà.
Lo fa sempre.
Si guarda la faccia nel riflesso della vetrina, la vede troppo bianca tra le cosce di due manichini nudi. Cammina e la borsa di pelle gli cigola a ogni passo. Pensa che tutto si può aggiustare, basta non risparmiare sulla colla. Lui l'ha fatto una volta e s'è ritrovato in mano un anello in più e una fidanzata in meno.

Il sogno dei babbaluci


Sotto una vecchia barca scrostata sulla spiaggia di Aspra il mal di schiena e il torcicollo gli danno il buongiorno, il depuratore continua a scatarrare alla sua destra.


Ulisse Cerami si siede sul bagnasciuga e chiude gli occhi, gli occhiali sono nel loro fodero, nella tasca interna della giacca. Sta lì a seguire libere associazioni di pensieri. La barba gli punge il collo, pensa che forse è venuto il momento di spacchettare il Mach 3 che la madre gli ha regalato con l´augurio di rendersi presentabile con abbastanza triple passate. I capelli si sono beccati l´alito dei cessi di Aspra che scaricano nel mare. Qualcosa lo prende alle spalle e lo fa sbilanciare. Finisce a sputare sabbia tra cacche di topi di fogna e mozziconi spolpati dalla risacca della notte. Si gira e sorride.

Buzzati, il deserto dei Tartari

«Dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo: quello di raccontare delle storie».

Questa frase di Dino Buzzati (1906-1972) sintetizza perfettamente il senso del suo narrare eclettico. Il Deserto dei Tartari è il suo capolavoro, originale e profondo, troppo spesso accostato e schiacciato dal paragone con le pagine di Kafka.

Il Deserto è una grande metafora, lo stesso Buzzati raccontò più volte la genealogia del suo romanzo. Lo spunto gli venne dalla monotona routine redazionale notturna, che faceva in quei tempi: “Molto spesso avevo l’impressione che quel tran-tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. E’ un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nella esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva: nulla di meglio di una fortezza all’estremo confine, mi parve, si poteva trovare per esprimere appunto il logorio di quell’attesa” (Il Giorno, 26 Maggio 1959).

"Io non faccio letteratura". Poesia e verità in Paul Celan

Io non faccio "letteratura". La mia vita, la nostra vita, quella di mia moglie e di mio figlio Eric, che adesso ha sei anni e mezzo, è stata davvero sconvolta dai Signori Tedeschi, che sono rimasti proprio gli stessi.

Quando scrivi capita che prima o poi becchi la bonaccia. All'inizio batti veloce sulla tastiera, vuoi riempire gli spazi bianchi. Sfuggire al silenzio della pagina vuota. Però poi devi affondare di più la lama, tentare di forzare la mano e guadagnare il tuo punto di vista.

Provi ad assorbire lo stile di "commentatori" famosi, capire dove loro hanno piazzato il cannocchiale per penetrare dentro la poesia di Celan. Ma a chi giova?

Scrivere con lo scolapasta

La notte che arrivò il venditore di scolapasta, stavo costruendo il mio palazzo della memoria.Ci lavoravo già da due mesi in quel cantiere di pensieri, impastavo ogni notte tre caldarelle di sabbia e cemento e poi a colpi di cazzuola tiravo su le pareti, le tiravo su cantando perché cantando tutto è più facile: impilare mattoni, comporre poesie, pedalare, uccidere ricordi e fingere di aver imboccato il percorso giusto.

21/12/06

Cucuzze




Il racconto è stato selezionato per un'antologia di prossima uscita.

Il posto delle cucuzze

Mariuzzu e Marilù si conobbero grazie ad una zampata del destino che qui si arrota le unghia sui sogni degli innamorati. Dicono i vecchi che l'amore è l'unica cosa che ci salva, che smuove montagne e ti fa aspettare un altro maggio sul calendario. Mariuzzu le sparava grosse, così grosse che manco dovevi fare lo sforzo di tentare di credergli, però erano fesserie innocue, giganteschi palazzi di minchiate che satellitavano sempre più lontani dalla verità. E filavano giorni e minchiate, tutti e due, innamorati e gonfi di piccole piccole menzognuzze sempre più leggere.

Un giorno di novembre, il cugino di Mariuzzu incontrò Marilù e una sua amica al mercato del pesce. Lui cercava un tonnareddo da fare a tutto dentro, lei una spatola da digerire prima dei consueti due giorni che richiede la tonnina o qualunque altro pesce ammuddicato.

18/12/06

Spudorata autocelebrazione

Non avendo ancora il coraggio d'istituire il Fondo Pintacuda (chi ha già provveduto in tal direzione per l'artigiano della parola merita stima e lode per l'autoironia mostrata), provvedo alla mancanza con sparute segnalazioni dei miei pezzucoli.

Come il buon pastorello rifaccio il conto delle pecorelle lasciate a pascolare in giro per il web.



Su 90011.it, giornale on line della mia cittadina


Sull'Isola Possibile, mensile e allegato siciliano al "Manifesto"




[AGGIORNAMENTO l'ho fatto: ho aperto il Fondaco Pintacuda]

Album Europa

Centro Studi Opìfice - EggS - Lankelot.eu - Anonima Scrittori

presentano








Lo chiameremo ALBUM Europa. E sarà così, un viaggio. Aspettando i binari fremere, i motori accendersi, il muso dell’aereo alzarsi e per un momento sentirsi schiacciare sulla terra per poi volare, la faccia oltre il finestrino, la bocca aperta e gli occhi spalancati per far entrare tutto per la prima volta, odori suoni, sapori, lingue, paesaggi che scorrono impastati nel vento.

E ritornare.

Il muso dell’aereo verso terra, dall’alto la prospettiva mai vista della tua città, scendere dal treno, i binari ancora caldi, e non notare nulla di diverso tranne un vago sentore che qualcosa sia cambiato. Sarà qualcosa che ancora non riesci a vedere ma che una volta o l’altra vorrai raccontare.



Un foglio bianco, la penna, una partenza e un arrivo.

Un album di immagini che prende forma, diventano storie che si intrecciano.

Un album di racconti, ALBUM Europa.



INDICAZIONI TECNICHE. Il progetto si divide in due fasi



Fase 1) Le tratte

Si sceglie una tratta all’interno dell’Europa geografica e un mezzo per percorrere la tratta. [Esempio: Roma-Madrid (treno), Parigi-Mosca (macchina), Belgrado-Oslo (aereo), Vienna-Amsterdam (motocicletta)]

Si deve produrre un testo lungo, breve o brevissimo che narri la tratta scelta oppure i sapori, gli odori, le genti incontrate.

C'è un luogo di partenza e un luogo di arrivo. C'è un mezzo che ci permette di arrivare a destinazione. C'è il racconto che sarà un'immagine, la nostra immagine.

Scadenza invio materiale 31 Gennaio 2007 a racconti@opifice.it



Fase 2) La trama

Dopo aver raccolto e letto i brani pervenuti entro il 31 Gennaio 2007 si aprirà la seccnda fase del progetto ALBUM Europa. Si produrranno altri brani che uniscono due o più narrazioni della prima fase ponendosi come snodo tra esse.

Si arriverà ad unire e snodare tutte le narrazioni così che emerga una sola storia: ALBUM Europa.



Per informazioni > ALBUM Europa > Forum di Opìfice





Centro Studi Opìfice - EggS - Lankelot.eu - Anonima Scrittori

15/12/06

Cosa da leggere

di Demetrio Paolin



C’è la chiesa che praticamente è sul fiumiciattolo.

Ha le pareti di pietra grigia e misera. Non sta in alto, questa chiesa, ma sotto.

Tutto il paese incombe. Il campanile, per dirti, arriva all’altezza del ponte, che collega l’abitato alla via Salaria. Quindi se siamo quaggiù, come ora che è notte e tira un vento umido che ti fa le ossa molli, non vediamo niente del paese. Siamo intabarrati e io ho tirato pure su il cappuccio della giacca, mentre tu tieni i capelli sciolti e sei bella, di una bellezza strana che s’intona a questa pietra a questa notte a quest’acqua corrente.

Qui, ci dice l’uomo, erano le prigioni. Le ultime persone che furono chiuse dentro – e ci indica una porticina che si apre su di un muro, senza finestre o sbocchi, ma chiuso – erano delle partigiane.

Quando i tedeschi fuggirono, se le scordarono dentro. Gli americani le volevano liberare, ma poi si accorsero che per la gente del posto quelle erano due poco di buono. E allora le tennero imprigionate ancora un po’, poi una notte le portarono in montagna e le tagliarono i capelli. Perché a quel tempo la bellezza di una ragazza era tutta nei capelli.

Io ti guardo adesso che tieni le tue dita tra i capelli, e sorridi con me al racconto che ci pare lontano.

E penso che la bellezza sia qualcosa di cui non si riescono a trovare bene le parole: il problema della bellezza, della tua ad esempio, di quella di questo paese, è dirla. Renderla a tutti manifesta. Dobbiamo poi testimoniarla? Oppure tenerla nascosta qui, come cerco di fare io ora, come faccio quasi sempre. Io la bellezza la nascondo, la subisso di parole così da non farla vedere, da fare in modo che nessuno se ne accorga che c’è la bellezza.



*



Incominciamo a camminare per il paese che non conosce se non scale.

E noi saliamo prossimi ad uno strano silenzio.

Questo paese conta 10 abitanti, 4 cani e 30 gatti. Noi due siamo un di più. Le scale partono dovunque, non c’è una regola se non quella di assecondare le bizzarrie della crosta del monte, che scende giù mica diritto come i disegni dei bambini, ma sempre con salti e sbalzi e sfromboli per poi finire nell’acqua comunque.

Alcune scale sono tortuose, ripide e strette, che ci passa giusto un cristiano. Ai lati ci stanno le case, anche loro messe su alla rifusa come ciotole in una credenza: è normale vedere il balcone di un’abitazione sullo stesso livello della porta d’ingresso di un’altra.

Questa confusione di piani, di mescolamenti mi fa venire in mente il presepe.

Proprio quello che ci stupisce da bambini: il cielo neroro, la stella gialla gigante, le case mezze diroccate da cui spunta improvviso un uomo in abiti da soldato saraceno, dove senti il martellare del maniscalco e le donne con le brocche che vanno alla fonte.

Tutto è grande uguale, vicino o distante che sia.

Sospendiamo le nostre manie d’ordine, i nostri orizzonti definiti, le linee prospettiche e semplicemente siamo il sasso, la casa, la lastra di pietra, il passo che facciamo e il ciottolo che toccato cade verso valle.

Anche la sospensione e la credulità - sappiamo che nessun soldato in foggia araba ci assalterà dietro l’angolo, eppure temiamo; sappiamo che saliti fino in cima non ci sarà nessuna capanna con nessun dio bambino, eppure lo speriamo – fanno parte della bellezza: ma come fai a dirle?

Saliamo e parliamo appena, il fiato fa dei ghirigori come tocchi di polistirolo.

Cosa pensi?, mi fai.

Al paese attaccato ai sassi come se fosse il muschio.

E vorresti raccontarlo.

Sì, ma mi viene di dire niente, perché alla fine chiudo più che aprire, invece di invitare allontano.

La scala si fa ripida, la cadenza degli scalini è irregolare: rischio sempre di prendere una storta, di inciampare. E’ una mia fissa d’un po’ di tempo che “dire le cose” le guasti. Eppure sento che c’è una parte di me, che mi dice: se scrivi devi farti capire, devi fare in modo che ognuno stia dalla tua parte. E io mi accorgo che se dovessi dire a te, che mi cammini affianco, e a tutti del paese e della sua storia finirei per essere oscuro.

Vi comunicherei qualcosa che intuite bellissimo, ma di cui non potete farne esperienza.

Ma se scrivere è mettere in relazione, come faccio io a dirvi il bene, che c’è qui?

Mi ricordo cosa scrisse Kertez, e mi viene ora mentre giriamo l’angolo e tu mi dici: questa casa mi ha sempre creato spavento, io la vedevo da laggiù.

Mi indichi un altro budello di strada appena visibile e al fondo una finestra, quella della tua camera presumo io. Kertez dice un pensiero del tipo: il male ha sempre una ragione, è qualcosa di comprensibile, mentre il bene - scrive - è veramente un fatto che sfugge alla nostra comprensione.

Ora. Se io non riesco a scrivere questo, vuol dire che fallisco, vuol dire che qualcosa del mio scrivere non funziona o non funziona come io vorrei.

Non è un problema di poco conto.

E come faccio? Ti posso prendere da parte, ora che saliamo le scale e due cani ci vengono dietro, e dirti: io non riesco a comunicare la bellezza?

E tu capiresti cosa ti sto dicendo? O faresti spallucce?



*



Forse sto così, perché ho iniziato ad insegnare e a guardare i miei alunni. A loro non interessa lo studio, loro vogliono fare i tre anni, prendere il “diplomino” e andare a lavorare in officina, o fare le vetriniste, le commesse. Sembra che non aspirino a niente di più.

Ho fatto leggere in classe alcuni stralci di libri parlavano dell’adolescenza (Salinger, Conrad, Pavese e Brizzi). Poi ho detto: scrivetemi le vostre “impressioni” – se ci pensi bene non è molto diverso da cosa sto facendo ora, io scrivo le impressioni su di un paese visitato di notte con te - e uno di loro ha scritto: “Questi due testi sono molto belli e scritti bene, solo che ci sono parole complicate e difficili da capire, così anche se molto belli a me non piacciono perché non capisco tutto e non capisco tutto il significato”.

Sono parole che chiamano in causa me e chiunque scriva.

Il mio alunno dice: ho letto delle cose, ne ho intuito la grandezza, ma non mi possono piacere, perché non capisco. Ovvero le parole che ho letto non entrano in relazione con me, non mi cambiano, non mi smuovono, ma rimangono bloccate in una sorta di limbo.

E’ un grido d’aiuto, il segnale che molte volte noi, io per primo, costruiamo testi bellissimi ma incomprensibili.



Per me la scrittura è mettere in relazione; è prendere la parola in un’assemblea, è scrivere una lettera, è dare del ‘tu’ a qualcuno. Se tutte queste opzioni non vanno a segno, allora ho fallito.

E perché hai fallito?, mi dici tu, in fin dei conti tu ai tuoi alunni non hai proposto i tuoi testi, forse li avrebbero capiti.

E’ qui sta il problema – so che questo dialogo lo sto inventando, perché salendo su verso la cima del paese abbiamo parlato di asini, di cavalli e cani, di come sarebbe bello se… -, perché io penso che quelle parole siano rivolte a chi bene o male fa della scrittura qualcosa di più del semplice “caro diario”.

Significa che molti dei discorsi fatti hanno - tutti e sempre - il sapore della truffa. Rimangono un inganno per i lettori, perché in realtà molte delle cose che io vado scrivendo, che molti di noi vanno scrivendo, tagliano fuori una parte enorme di persone. Noi decidiamo, ognuno di noi ha i suoi 12 lettori, di escludere dai propri discorsi un numero imprecisato di lettori.

Ad esempio io so benissimo che queste riflessioni non sono per tutti. Leggendo, qualcuno dei miei alunni mi direbbe: prof. ma che voleva dire? Cosa c’entra questo con me? Cosa significano per me il paese nella notte, i partigiani, il presepe, lei che cammina con la morosa insieme ad un vecchio? Cosa ha a che fare con me con quello che sono e capisco? Come queste cose entrano in relazione con ciò che io sono?

Lei non mi dice niente, finirebbe il mio alunno, lei è una truffa.

E io non potrei dirgli altro che dargli ragione.



Infine siamo arrivati in cima. E visto dall’alto il paese sembrava la mano di un vecchio.

14/12/06

Natale & Letteratura

Molti scrittori hanno affrontato il Natale come tema principale dei loro racconti o come scenario per piccole gemme narrative. In una possibile antologia che abbracci un coro di voci abbastanza variegate troviamo una costante attenzione per il risvolto mistico ed edificante della nascita di Gesù. È tutto un fiorire di fiocchi di neve, pecorelle, pastori e buoni sentimenti che ingentiliscono i cuori di chi legge.



I più disillusi restano Italo Calvino e Luigi Pirandello che ci offrono l’altra faccia del Natale evitando volontariamente dolci novelle con la morale alla fine.

Premettiamo che sposiamo da subito le conclusioni a cui giunge Umberto Eco nel rispetto che anche i laici tributano al Natale e al Mistero: “Se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede”.



Il modello di tutti i racconti natalizi resta l’inarrivabile “Canto di Natale” di Charles Dickens: la notte infinita di Scrooge che incontra gli spiriti dei Natali Passati, Presenti e Futuri e si ravvede appena in tempo diventando “un amico, un padrone, un uomo così buono, come poteva mai averne conosciuto quella buona vecchia città, o qualunque altra buona vecchia città, borgata o villaggio di questo buon mondo”.



Carlo Collodi, l’autore del celeberrimo Pinocchio, nel suo “La festa di Natale” sceglie un apologo dal vago sapore evangelico, ricalca volutamente la parabola dei talenti e ai tre amministratori fa corrispondere i tre figlioletti della Contessa Maria che sognano il momento solenne che arriva alla fine di ogni anno: l’apertura dei salvadanai. Hanno sognato quest’evento tutto l’anno: Luigino già immagina la bardatura che comprerà al suo cavallo di legno, Alberto i vestiti per la sua marionetta e Ada le scarpine per la sua bambola. Qualcosa accade, durante una passeggiata i tre fratellini nella casa dell’Orco incontrano un bimbo saziato dal suo aguzzino a colpi di zoccolo. Nel cuore d’Alberto si accende la fiamma della misericordia: invece di vestire una stupida marionetta investire i suoi zecchini per vestire quel bimbo sottratto appena in tempo all’Orco. La contessa Maria premia il figlio con una tempesta di baci.



Non diverso il tono de “Il dono di Natale” di Grazia Deledda, delicato racconto ambientato tra la neve della Sardegna. In occasione di un fidanzamento il piccolo Felle commosso porta la zampa del porcellino da latte ai suoi vicini. Non riceve però l’accoglienza che s’attendeva:  le figlie del vicino aspettavano ben altro regalo. Alla fine capirà, quando il padre delle bambine ritorna con il figlioletto appena nato: un bel bambino nato proprio allo scoccare della mezzanotte di Natale: “E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambino appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti. - È il nostro primo fratellino - mormorò Lia. - Mio padre l'ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il "Gloria". Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte”.



Amaro osservatore della realtà Calvino nota come “Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L'unico pensiero dei Consigli d'amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d'augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s'inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po' abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d'affari le grevi contese d'interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale”. In una guerra a colpi di originalità il racconto si conclude con un paese assediato da babbi natale che lottano per rimpolpare le case di inutilissimi regali sino a che i figli di Marcovaldo non cambiano le carte in tavola. Disperati dal non riuscire più a trovare nell’era dell’opulenza un bimbo povero da rallegrare porteranno i loro doni strampalati al bimbo più ricco del paese. Quest’ultimo li userà per distruggere i regali precedenti e dare avvio ad un’altra guerra: quella dei regali distruttivi.



Commuove "il Natale a Regalpetra" di Sciascia con i temi dei suoi alunni che cantano la gioia dell’unico bagno caldo dell’anno in un’aula damascata dai geloni. Per chi è sopraffatto dallo spirito del Natale resta la bellissima poesia d’Ungaretti che ci spinge a recuperare il senso dell’evento di cui rendiamo testimonianza acconciando presepi e pacchi regalo:

Non ho voglia / di tuffarmi/ in un gomitolo/ di strade// Ho tanta / stanchezza /sulle spalle// Lasciatemi così/ come una/ cosa/ posata/ in un/angolo/ e dimenticata// Qui/ non si sente/ altro/che il caldo buono//Sto/con le quattro// capriole / di fumo/ del focolare //



E concludiamo questa breve antologia natalizia col “Sogno di Natale” di Luigi Pirandello. Proprio pochi giorni fa ricorrevano i settant’anni dalla morte e con essi la possibilità di riprodurne liberamente l’opera: Gesù tornato in terra cerca un’anima disposta a farlo rivivere. Un’anima disposta a liberarsi di tutto:

“Cerco un'anima, in cui rivivere. Tu vedi ch'ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l'anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo... Cerco un'anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d'ogn'altro di buona volontà.- La città, Gesù? - io risposi sgomento. - E la casa e i miei cari e i miei sogni?

- Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.

- Ah! io non posso, Gesù... - feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona”.



Ma il Natale è anche gioia, perché come ci ricorda Gozzano:

… Il campanile scocca

La Mezzanotte Santa.

È nato!

Alleluja! Alleluja!

È nato il Sovrano Bambino.

La notte, che già fu sì buia,

risplende d'un astro divino.

Orsù, cornamuse, più gaje

suonate; squillate, campane!

Venite, pastori e massaie,

o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,

ma, come nei libri hanno detto

da quattro mill'anni i Profeti,

un poco di paglia ha per letto.

Per quattro mill'anni s'attese

quest'ora su tutte le ore.

È nato! È nato il Signore!

È nato nel nostro paese!

Risplende d'un astro divino

La notte che già fu sì buia.

È nato il Sovrano Bambino.

È nato!

Alleluja! Alleluja!

Andate e fatevi investire dalla meraviglia

In occasione dell'inaugurazione del nuovo sito ecco per voi un velocissimo riepilogo:



Che cos'è BombaCarta?


BombaCarta è un progetto culturale di esercizio e riflessione sull’esperienza creativa. Si fonda su idee condivise e su una forte dimensione comunitaria.

Al suo interno ciò che conta è che l'apprendimento della scrittura (e delle sue tecniche) avvenga sempre dentro una “visione” e una formazione attraverso la scrittura, intesa come esperienza di vita dotata di senso.

È anche un laboratorio in cui si fa un lavoro di èquipe e in cui le competenze sono diffuse e condivise. La formazione si gioca in una dialettica tra rigore e accoglienza, professionalità e amicizia, esercizio e gioco, fantasia e ascesi. 


 

Come è nata e come si è sviluppata BombaCarta?



Il progetto BombaCarta nasce all’interno dell’omonima associazione culturale a Roma il 12 gennaio 1998 all’Istituto Massimiliano Massimo.


Il fondatore e attuale presidente è Antonio Spadaro, critico letterario di “Civiltà Cattolica” e docente della Pontificia Università Gregoriana di Roma.



L’attività di BC ha ispirato una serie di associazioni in tutta Italia (apripista l’esperienza siciliana di BombaSicilia seguita da Reggio Calabria, Genova, Trento, Uboldo…) che hanno condiviso il manifesto e le finalità del progetto iniziale: di qui l’esigenza nel 2005 di dar vita a una federazione di associazioni creative.



L’associazione romana prosegue con le sue attività e segna le linee guida delle altre associazioni, non come paracarro ma come centro generatore. L’indirizzo dell’associazione romana è http://roma.bombacarta.com. Il sito della federazione è www.bombacarta.com  




Quali sono le associazioni della Federazione BombaCarta?


  1. BombaCarta Roma (Roma)

  2. BombaSicilia (Bagheria e prossimamente Catania)

  3. Pietre di Scarto (Reggio Calabria)

  4. Ulisse (Uboldo, provincia di Varese)

  5. TrentoLegge (Trento)

  6. Il Gatto Certosino (Genova)

  7. Asterione (Roma)

  8. Officine Meridiane (Taranto)

  9. Cavaspina (Urbino)

  10. Le Madie (Cutro, Crotone)


Il viaggio di un estremo principiante

Antonio Spadaro S.I., IL VIAGGIO DI UN «ESTREMO PRINCIPIANTE». La poesia di Mario Luzi



«Il punto di partenza di una poesia è come il baricentro di un piccolo terremoto», ha affermato Mario Luzi. L'articolo propone un'immersione nell'oceano brulicante dell'opera del grande poeta senese. Egli inizia il suo percorso con una sorta di discesa nel magma della realtà e nella storia, intriso di dolore e inquietudine. Sempre però sono visibili spiragli e finestre, tensioni e salti. Il suo viaggio diventa, col passar del tempo, sempre più ascensionale, celeste. Il poeta, «insetto chiuso ancora e protetto dalla sua guaina», si scoprirà proiettato fuori di essa.



© La Civiltà Cattolica 2006 IV 554-567



13/12/06

Il mistero s'infittisce (2)

Non avendo ancora sviluppato il potere dell'ubiquità ho formalmente rinunciato al master in giornalismo in cui ero riuscito ad entrare dopo tre giorni di fuoco.


Ma dal Sudamerica - anche se c'è il fuso orario di cinque ore - non riuscirei ad arrivare ogni mattina alle 8...


Sono aspirante giornalista ma non mi chiamo mica Clark Kent! Babbìo a parte: a Palermo i docenti sono di ottimo livello, i colleghi professionali con quella buona dose di ironia che non guasta mai. Il direttore Natale Conti è un galantuomo e cosa buona e giusta si arriva a completare il praticantato in ottima compagnia.


Sia che capitiate nella classe A che nella classe B vivrete due anni belli pieni.


Master in giornalismo a Palermo


Riaperti i termini di iscrizione per formare la graduatoria allo scopo di coprire due posti vacanti [uno è il mio, l'altro di una ragazza che è riuscita ad entrare alla SISSIS, n.d.R.] dei 30 in tutto previsti dalla prima edizione del master di primo livello della Scuola di giornalismo "Mario Francese" dell'Università degli studi di Palermo per gli a.a. 2006/2007. Le domande andranno presentate entro il 12 gennaio 2007.



Per le norme di ammissione si fa riferimento agli articoli 6 e 7 del bando di concorso per titoli ed esami pubblicato lo scorso luglio. Alle selezioni per il master, che avrà una durata di due anni, possono partecipare i candidati in possesso di laurea di I e II livello o di vecchio ordinamento. Attivato presso la Scuola di giornalismo “Mario Francese” della Facoltà di Scienze della Formazione, coordinamento dei Corsi di laurea in Scienze della comunicazione, il master è in convenzione con il Consiglio Nazionale dell’ordine dei giornalisti e l’Ordine dei giornalisti di Sicilia.



Il modulo di ammissione alla selezione può essere scaricato su http://www.unipa.it/segunipa, oppure ritirato presso l’Ufficio Master – Edificio 3 e presentato esclusivamente agli sportelli del Banco di Sicilia (ad eccezione dell’Agenzia 33 – Parco d’ Orleans). Tutti i moduli necessari per la domanda di partecipazione al concorso sono disponibili presso l’Ufficio Masters Universitari Settore Post-Lauream, Viale delle Scienze, 90128 Palermo. All’interno del Master viene effettuato il praticantato necessario per sostenere l’ esame di Stato per l’ammissione all’elenco professionisti dell’Ordine dei giornalisti. I partecipanti al Master usufruiranno dell’indennità di presenza prevista dalla normativa regionale relativa alla parte del corso svolta in aula. Gli iscritti sono tenuti alla frequenza di tutti i corsi e alla partecipazione quotidiana al praticantato e agli stage, secondo il regolamento della Scuola e le direttive dei suoi organi, tra cui il direttore del Laboratorio e delle testate. Il Coordinamento del Master è affidato al professore Antonio La Spina, direttore della scuola "Mario Francese", che curerà la supervisione e l’organizzazione dei diversi moduli di insegnamento che costituiscono il curriculum formativo del Master. Il Responsabile del Procedimento è la signora Facciolà Ornella dell’Ufficio Master Settore Post- Lauream, Viale delle Scienze - 90128 Palermo, tel. 091-6657280.



La domanda di ammissione al concorso, indirizzata al Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo, redatta su apposito modulo debitamente compilato, deve essere presentata o fatta pervenire all’ Ufficio Master Settore Post- Lauream, Viale delle Scienze 90128 Palermo, entro e non oltre le ore 13: 00 del 12 gennaio 2007 pena l’ esclusione dal concorso. Non fa fede il timbro postale e la data di spedizione, ma solo quella di ricezione apposta dal protocollo dell’ Università degli Studi di Palermo. Il costo del master è di € 6.000,00 (di cui € 52,00 = diritti di segreteria) da pagarsi attraverso le seguenti modalità: I rata € 3.000,00 (da pagarsi all’ atto dell’immatricolazione); II rata € 3.000,00 (da pagarsi all’atto dell’iscrizione al 2° anno); mediante bonifico bancario in favore di: Università degli Studi di Palermo – Banco di Sicilia S.P.A. Filiale 100 – S.C.T. c/o Palermo – C/C: 671 – ABI: 01020 – CAB: 04663 – CIN: Q.



L’ammissione al Master avverrà a seguito di valutazione dei titoli presentati dai candidati da parte di una Commissione esaminatrice designata dal Comitato Ordinatore, costituita da docenti universitari, esperti e giornalisti, tra i quali i rappresentanti dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia e del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti, secondo quanto previsto dal “Quadro di indirizzi per il riconoscimento delle strutture di formazione al giornalismo” del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti (17 aprile 2002 e successive modifiche del 21 giugno 2005).



Le selezioni si svolgono in due fasi: nella prima fase vengono valutati i titoli presentati e il risultato delle prove scritte. La valutazione dei titoli da parte della Commissione (per un massimo di 20 punti complessivi) prende in considerazione: diploma di laurea; collaborazioni giornalistiche.



Le prove scritte (per un massimo di 50 punti complessivi) consistono in: test di cultura generale mediante quiz a risposta (max 10 punti); elaborazione di un articolo sulla base di materiale di attualità, il cui argomento viene scelto dal candidato tra quelli indicati dalla Commissione esaminatrice (max 20 punti); sintesi di un articolo o testo di agenzia in un massimo di 15 righe (max 20 punti). Il candidato che consegue un punteggio inferiore ai 6/10 nella prima prova non viene ammesso alle prove successive. Il candidato che ottiene meno di 12/20 in una delle prime due prove non viene ammesso all’orale.




Al termine della prima fase viene stilata una graduatoria che tiene conto tanto della valutazione dei titoli quanto dei risultati delle prove scritte. I primi 45 classificati vengono ammessi a sostenere la seconda fase delle selezioni. La seconda fase (per un massimo di 30 punti complessivi) consiste in: colloquio individuale vertente su argomenti e problematiche di attualità, nonché su elementi basilari di storia, di cultura, di materie economiche e giuridico– costituzionali (max 20 punti); test di accertamento del livello di conoscenza della lingua inglese (max 10 punti). Al termine della seconda fase viene stilata la graduatoria finale. In caso di parità, sarà prescelto il candidato più giovane.

12/12/06

Montevideo, de Jorge Luis Borges

       

    Resbalo por tu tarde como el cansancio por la piedad de un declive.

    La noche nueva es como un ala sobre tus azoteas.

    Eres el Buenos Aires que tuvimos, el que en los años se alejó quietamente.

    Eres nuestra y fiestera, como la estrella que duplican las aguas.

    Puerta falsa en el tiempo, tus calles miran al pasado más leve.

    Claror de donde la mañana nos llega, sobre las dulces aguas turbias.

    Antes de iluminar mi celosía tu bajo sol bienaventura tus quintas.

    Ciudad que se oye como un verso.

    Calles con luz de patio.



Scivolo per la tua sera come la stanchezza per la pietà di un declivio.

La notte nuova è come un'ala sopra i tuoi terrazzi.

Sei la Buenos Aires che avemmo , quella che negli anni si allontanò, quietamente.

Sei nostra e festosa, come la stella che le acque raddoppiano.

Porta finta nel tempo, le tue strade guardano il passato più lieve.

Chiarore da dove ci arriva il mattino, sopra le dolci acque torbide.

Prima di illuminare la mia persiana, il tuo basso sole rende felici le tue ville.

Città che si ascolta come un verso.

Strade con luce di patio.

09/12/06

Il mistero s'infittisce (1)






... L'Uruguay è fondamentalmente oggi un’oasi di pace, anche se le contraddizioni sociali, nella capitale in particolar modo, sono enormi.

Gli abitanti sono poco più di tre milioni e mezzo, di cui la metà concentrata in Montevideo; la capitale fu fondata dagli Spagnoli nel 1726 ma ora vi appare come una città dall’aspetto europeo e fin da subito il centro vi regala l’impressione di essere in una piccola Parigi dove di balla il tango tra un internet cafè e l’altro (sono oltre trecento-quattrocento in tutta la città!)...



fonte  Turisti per caso

07/12/06

BombaCarta: un dicembre esplosivo!

Ecco gli appuntamenti di BombaCarta a Roma per questo ricco e densissimo DICEMBRE 2006


  • Giovedì 7 DICEMBRE ore 19.30: Laboratorio di Lettura Flannery O'Connor, presso il Centro Chris Cappell, via Tomacelli, 146, V piano.








EVENTI Fiera "Più libri più liberi"




  • Venerdì 8 DICEMBRE ore 16.00: presso la Fiera "Più libri più liberi" - Sala Montale - Vent'anni dopo, lo stato dell'arte delle scuole di scrittura creativa

  • Venerdì 8 DICEMBRE ore 15.30: presso la Fiera "Più libri più liberi" - Sala Dante -  Dove nascono le idee? Nei libri e/o nella rete, come si alimenta la creatività tra pagine elettroniche e pagine di carta. Intervengono Artuto Di Corinto, Sergio Fanucci, Giuseppe Granirei, Giulio Mozzi e Vincenzo Vita. Coordina Andrea Monda

  • Sabato 9 DICEMBRE ore 11: presso la Fiera "Più libri più liberi" - Sala Campana - Laboratorio di scrittura creativa, a cura di  Stas' Gawronski

  • Sabato 9 DICEMBRE ore 14: presso la Fiera "Più libri più liberi Sala Campana" - Sala Dante - La scrittura come superamento della frontiera: viaggio nell'immaginario nordamericano. Intervengono Eraldo Affinati, Andrea Monda, Marco Tibaldi, Stas' Gawronski e Antonio Spadaro








  • Martedì 12 DICEMBRE ore 19,30: Laboratorio BombaCinema, presso il Centro Chris Cappell, via Tomacelli, 146, V piano.




  • Lunedì 18 DICEMBRE ore 21: Sala Alinari – Piazza Venezia, 11 - LA BELLEZZA E… L'IMPREVISTO. L'arte mette a fuoco la vita.

    Letture, musica, arte con la partecipazione di: Elena Buia, Claudio Damiani, Andrea Di Consoli, Stas Gawronski, Daniele Mencarelli, Francesca Merloni, Andrea Monda, Davide Rondoni, Giovanna Sicari, Cristina Terzaghi, Antonio Iasevoli (Chitarre), Marcello Allulli (sax).

    Brindisi finale e assaggi a sorpresa.









  • ... e infine vi ricordo la prossima OFFICINA BOMBACARTA: Sabato 13 GENNAIO 2007 - presso l'Istituto Massimo, via Massimiliano Massimo, 7. Tema: GIALLO

27/11/06

Finirà mai questa malía?






Un tempo per la laurea in filosofia erano sufficienti 19 esami. Permettetemi d'usare lo spazio di questo post per dialogare con la mia coscienza. Ne bastavano diciannove.

Diciannove, solo diciannove



Oggi, sommando quelle della triennale e quella della specialistica ho abbondantemente superato la quarantina.



Però tra poco potrò fregiarmi dell'invidiabile titolo di Dottore Magistrale. Doc Mag per gli amici...

Sposando da diretto interessato i legittimi dubbi del buon Severgnini, sintetizzo la faccenda.

Allora, se il dizionario non mente "magistrale "dovrebbe significare "relativo al maestro, all'insegnamento".



Ma sarebbe troppo facile andare ad insegnare con 40 materie sulla schiena (non entro nel merito di materie più o meno profonde o approfondite, me ne frego della faida tra vecchio e nuovo, tra nuovo e nuovissimo, tra ultranuovo e vetusto. Dico solo che andare a sostenere 40 esami è sempre una sfacchinata immensa, qualunque sia la portata del singolo evento):




  • Con la laurea specialistica è possibile accedere all'insegnamento secondario. In virtù della classe di afferenza del titolo e della distribuzione dei crediti in determinati settori o gruppi di settori scientifico-disciplinari (e non più delle annualità come accade per i diplomi di laurea del previgente ordinamento), come previsto dai decreti ministeriali che disciplinano le classi di concorso, i titolari di laurea specialistica o magistrale possono richiedere l'inserimento nella terza fascia delle graduatorie d'istituto per l'insegnamento nella scuola secondaria, di durata triennale. Per l'accesso alla prima fascia delle graduatorie d'istituto e alle graduatorie permanenti occorre conseguire l'abilitazione tramite concorso ordinario – non ne vengono banditi da un decennio – o diploma di specializzazione che si consegue al termine dei corsi biennali tenuti presso le scuole di specializzazione all'insegnamento secondario (SSIS). La legge 53/2003 prevede la possibilità di istituire, da parte delle università di concerto con il Ministero, di corsi di laurea specialistica ad accesso programmato direttamente abilitanti, ma non ne sono stati ancora istituiti. All'uopo il Ministro sembra intenzionato ad attendere l'emanazione delle classi delle nuove lauree magistrali.




Quindi dobbiamo aggiungere almeno cinque storie (A Palermo esistono due corsi di laurea diversi: filosofia [a sua volta bisezionata] e scienze storiche [parcellizzata in un numero imprecisato di curricula] ma la cattedra è unica, da sempre, si insegna filosofia E storia).



Quindi conditio sine qua non per insegnare è il superamento del test d'ingresso alla SSIS e, naturalmente altre migliaia di euro - gentilmente elargiti dai genitori che aspirano a foraggiarci in eterno - per semplicemente COMPRARE (pane al pane...) punti per scavalcare storici precari in una lista tendenzialmente infinita.



Bene, domani ho l'ultimo esame della specialistica.



Poi restano - aggiunte per sordido masochismo (tra quadre metto il conto alla rovescia):


  1. Storia Greca (6 cfu) [-4]


  2. Storia Romana (6 cfu)  [-3]


  3. Storia Medioevale (3 cfu) [-2]


  4. Storia Moderna (6 cfu) [-1]



E, naturalmente, dopo aver scritto già 120 pagine su Paul Celan - lette e apprezzate pure da Giuseppe Genna - un'altra tesi.



Sintesi: cinque anni di studio, 44 materie e manco la possibilità di una semplice supplenza...




*Tanto per nostalgia canaglia e menzognera riporto il piano di studi tradizionale della vecchia  e gloriosa filosofia


  1. Letteratura italiana

  2. Letteratura latina

  3. Storia romana

  4. Storia medievale

  5. Psicologia generale

  6. Storia della filosofia I

  7. una materia a scelta tra quelle attivate nella Facoltà

  8. Storia della filosofia II

  9. Storia moderna

  10. Filosofia morale I

  11. una  materia complementare

  12. una materia complementare

  13. Filosofia morale II

  14. Filosofia teoretica I

  15. Pedagogia generale

  16. una materia complementare

  17. Filosofia teoretica II

  18. una  materia complementare

  19. una materia complementare

Artisti all'assalto!

«Le arti esistono, per dirla secondo il nostro stile primordiale, in quanto rappresentano la gloria di Dio, o, per tradurre lo stesso concetto in termini psicologicamente comprensibili, per svegliare e mantenere vivo nell’uomo il sentimento della meraviglia.



Il successo dell’opera d’arte consiste nel dire, di qualsiasi soggetto (albero, nuvola o carattere umano che sia): “L’ho visto migliaia di volte ma non l’ho mai visto sotto questa luce fino ad ora”.



Ora, per far questo, una certa variazione di stile è naturale e persino necessaria. Gli artisti variano a seconda di come compiono il loro assalto, in quanto è di loro competenza compiere un attacco a sorpresa.



Devono donare una nuova luce alle cose, e non c’è da stupirsi se talvolta si tratta di un raggio ultravioletto impercettibile o una luce che ricorda l’ombra nera della pazzia o della morte».



da un articolo di G. K. Chesterton

(su segnalazione di Andrea Monda)




Gilbert Keith Chesterton



Nasce a Londra 29 maggio 1874. Benché si definisse modestamente un giornalista, egli fu un grande e versatile scrittore (saggista e romanziere brillante, con eccellenti doti di polemista, ironico ma senza acredine, di una ironia sanamente umoristica).



Notevole fu la sua capacità di trattnere rapporti amichevoli con gente, come George Bernard Shaw e H. G. Wells, con cui pure era in forte dissidio.



Affermava con forza ciò in cui credeva. Ad esempio fu uno dei pochi intellettuali ad avere il coraggio opporsi pubblicamente alla guerra boera.



Notevole anche la sua capacità di biografo, con saggi importanti tra l'altro su Charles Dickens e S. Francesco. La sua opera forse più famosa è legata al nome di "Padre Brown": un genere giallo, con storie scritte tra il 1911 e il 1936, in cui Ch. seppe racchiudere sempre un senso di utile saggezza.



Chesterton morì il 14 giugno 1936 a Beaconsfield, nel Buckinghamshire. La sua opera comprende 69 libri, pubblicati durante la sua vita, più una decina postumi.



Se Chesterton ha un merito notevole nell'ambito della letteratura cattolica, è quello di essere riuscito a dare della Weltanschaung cristiana un'immagine ilare, ironica, per quanto non perciò meno seria. Diciamo ciò non certo per deprezzare altri scrittori cattolici, come un Bloy o un Bernanos, nel mondo dei cui romanzi aleggia una tensione più implacabile, che sembra non potersi mai sciogliere in un sorriso: anche hanno una loro insostituibile funzione. Semplicemente, dentro la grande sinfonia della Provvidenza a Chesterton è toccato suonare uno spartito di altro genere.

25/11/06

La presunta morte della letteratura

mortedi Carla Benedetti



 (fonte lavagna del sabato n.222)



Qual è l'idea più memorabile espressa dalla critica letteraria italiana negli ultimi decenni?

Questa: che la letteratura italiana da decenni non esprime più nulla di memorabile. Che non solo non ci sono più scrittori dell'altezza di Calvino e di Pasolini, ma che nemmeno potrebbero più esserci, essendo venute meno le condizioni, essendo la letteratura entrata in una impasse storica. E questo è stato detto e ripetuto e teorizzato mentre libri vivi e importanti, che anch'io ho cercato di segnalare in questo giornale, continuavano a uscire in Italia.



Non si sa chi cominciò.  Forse Franco Cordelli con il suo Poeta postumo del 1978. ma quel che è certo è che non c'è mai stata nella cultura italiana un'idea più condivisa, che ha messo d'accordo tutti quanti, ex neo avanguardisti ed ex anti-neoavanguardisti, postmodernisti e neo modernisti, cattolici e laici, di sinistra e di destra. L'hanno formulata e ripetuta negli anni Luigi Baldacci, Cesare Garboli, e Giovanni Raboni, da poco scomparsi; Giulio Ferroni, Alfonso Berardinelli, Romano Luperini, Pier Vincenzo Mengaldo e molti altri. Talvolta persino qualche scrittore. L'annuncio è stato fatto talmente tante volte che ormai sembra una gag comica. E hanno detto anche che non ci sono più critici né "intellettuali".

Ma il picco più alto si è registrato in questi ultimi mesi , come in un gran finale di fuochi d'artificio. Ecco un piccolo florilegio dai giornali estivi.





Goffredo Fofi sul Sole 24 ore: "Trent'anni fa ci lasciarono Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini. Vent'anni fa ci lasciarono Italo Calvino e Elsa Morante … un grande passato. Nessuno ha colmato questi vuoti, nessuno potrà più colmarli". Angelo Guglielmi intervistato sul Venerdì di Repubblica: "Cosa sta avvenendo nella nostra letteratura? Assolutamente nulla dagli anni Sessanta, dai tempi di Calvino e di Pasolini. E anche del nostro Gruppo 63". Alfonso Berardinelli sul Foglio scrive che "gli autori entrati in scena dopo il 1990" sono "mutanti". Persino Piergiorgio Bellocchio, il fondatore di Quaderni piacentini, intervistato sul Corriere fa capire che dopo Volponi non ha più incontrato nessuno scrittore italiano interessante. E lo scrittore Sebastiano Vassalli, anche lui intervistato sul Corriere, ripete amaramente che in effetti questa non è l'epoca giusta per gli scrittori.



Un intero mondo culturale che da decenni ripete lo stesso verdetto: siamo tutti morti. E' impressionante. Un'allucinazione collettiva di cui verrebbe voglia di ridere, se non fosse che non è affatto innocua come potrebbe sembrare. Al contrario agisce e ha agito in modo devastante. Non solo perché non riconosce le energie artistiche, critiche e di pensiero che ancora nascono in Italia, ma soprattutto perché fa loro il deserto attorno. Per anni hanno azzerato le attese e represso gli slanci. Hanno bruciato il terreno della cultura e così spianato la strada ad altre forze che hanno potuto invaderle incontrastate.

Guglielmi: "Nessuno oggi apre nuovi campi dell'immaginazione. Arte e letteratura producono opere tutte uguali". E' vero. La macchina editoriale internazionale occupa il mercato con libri tutti uguali, rendendo difficile la circolazione di quelli che non sono conformi. Ma è di questo che sta parlando Guglielmi? No, sta parlando di un destino epocale. La colpa è del "tempo nostro" che sarebbe addirittura affetto da un'"impotenza generandi", come ha ribadito sull'Unità.



Purtroppo tesi del genere si trovano anche in studi seri, competenti, come quello di Guido Mazzoni (Sulla poesia moderna, il Mulino) che sostiene la necessità storica del declino della poesia nel mondo odierno: "La qualità degli scrittori non ha alcun peso in questo processo... Purtroppo le grandi trasformazioni storiche prescindono dal valore degli individui, che è sempre troppo piccolo per non risultare irrilevante". E se oggi nascesse a Recanati un grande poeta gobbo? Ma no, sarebbe ugualmente irrilevante. E' tipico dello storicismo vedere la storia sotto la lente della necessità. Ma almeno i vecchi storicisti credevano nello sviluppo, in un realizzarsi progressivo dell'essenza umana. Questi nuovi storicisti delusi credono invece nella necessità del declino, dell'impotenza degli individui, e dell'epigonismo. Uno storicismo rovesciato, ancor più paralizzante.



E non parlano del colonialismo culturale, dell'aggressività della nuova industria editoriale (questa sì mutante), o dell'abbandono del campo da parte di critici e giornalisti culturali rassegnati, quando non conniventi con la logica pubblicitaria che sta aggredendo il terreno del pensiero e dell'espressione. E chi dice che non c'è più un Pasolini si guarda bene dall'aggiungere che oggi probabilmente anche a Pasolini sarebbe stato molto più difficile parlare dalla prima pagina di un importante quotidiano. Su "Panorama" Fofi ribadisce la sua diagnosi: Nessuno oggi ha "un coraggio, un'intelligenza un'irrequietudine attiva, una capacità di rischiare paragonabile alla loro", cioè ai soliti Pasolini, Calvino, Morante e Carlo Levi.

Alias del Manifesto ha ospitato un dibattito tra Franco Cordelli e alcuni scrittori più giovani. Discutevano se è vero o no che la letteratura continua. Poiché - come scrivono un po'comicamente i due coordinatori, Andrea Cortellessa e Graziella Pulce - bisogna pur ammettere che "non tutto è già finito: altrimenti faremmo un altro mestiere" sembrava di assistere ad una seduta spiritica. Persone che da anni predicano la condizione postuma della letteratura, e che ora, sentendosi scavalcate da tutte quelle voci che fanno ancora scommesse forti sulla scrittura, tentano con fatica di riposizionarsi. Però senza il vigore rigenerante di una seria autocritica. Senza il coraggio di affermare la forza antagonistica che può esserci in quella cosa che chiamano "letteratura". Sul Foglio Berardinelli così sintetizza il dibattito di Alias: "Fra critici e scrittori non c'è differenza... La critica è un genere letterario e il romanzo è un genere critico".



Andiamo bene. Dopo che si è detto che il romanzo è morto e la critica è morta, si può scegliere dal menù del cimitero la combinazione che si preferisce.



Da tempo mi interrogo su quale sia stata la funzione dei miti di morte che hanno accompagnato la modernità occidentale fin dai suoi albori, a partire da quello hegeliano della morte dell'arte. E poi di quello poststrutturalista della morte dell'autore. E di quello postmodernista dell'esaurimento della letteratura, della fine del nuovo, della fine della storia, della morte del futuro. Disperazioni apparenti e consolazioni segrete. Miti ambigui, ora euforici, ora malinconici, ma sotterraneamente annichilenti. E mai come in questo ultimo periodo se ne è potuta avere la conferma concreta. Quei ritornelli sono serviti a smobilitare e a liquidare. Sono stati utili agli altri, ai veri avversari con cui oggi ci troviamo in un conflitto diretto: la normalizzazione dei generi letterari, la monocoltura del noir e del thriller, il ricatto populistico delle classifiche di vendita, l'enorme spazio dato alla cultura anglofona, l'audience che sostituisce il giudizio, la promozione pubblicitaria travestita da recensione, i testimonial televisivi e i book-jokey che hanno preso il posto dei critici, i tempi stretti imposti dagli uffici stampa editoriali che impediscono la riflessione, le grandi macchine di ottundimento e la colonizzazione dell'immaginario.



L'alveo della cultura, quella semiosfera protettiva in cui si svolgevano un tempo le discussioni, le contrapposizioni, gli scontri di poetiche, è stato smantellato. È una situazione inedita nella storia della modernità. Ma è anche una situazione finalmente aperta, da cui tutto può ricominciare. Perché ormai i veri termini del conflitto non sono più nascosti. Perché è emersa anche un'altra posizione rispetto a quei discorsi di capitolazione ripetuti per decenni. Perché ormai è chiaro che in questo combattimento non sono in gioco solo schermaglie estetico-letterarie basate sul gusto, ma cose di vitale importanza, decisive anche da un punto di vista antropologico.



Articolo tratto dal settimanale L'Espresso, Febbraio 2006

23/11/06

meglio di Sharon Stone

Riceviamo e volentieri segnaliamo

fonte: Ozarzand Journal



Saruzzo era tutto in fermento come il mosto ribollente del vino di Pachino che gli piaceva tanto, di dentro stava tutto scombussolato come le macchine che aggiustava nella sua officina; solo che quelle riusciva ad aggiustarle, mentre lui, a sé stesso, non sapeva come dare aiuto



Per farla breve ché il tempo è poco e passa veloce, s’ era innamorato di Carmela, lo aveva acchiappato per lei un appassionamento carnale di bestia ferita che ansima e cerca disperatamente l’ abbranco, una cosa di carne tirata ed esasperata....


La lettera di Lord Chandos. Rileggendo Gino Tasca





Una lettura di Gino Tasca (che alla lettera aveva dedicato il suo blog)

[Il testamento spirituale di Gino: Isaia Greco, qui una lettura di Gabriele Dadati]



Ultimamente mi è capitato di leggere – per il laboratorio di lettura che tengo presso l’Accademia Platonica fondata dal mio ex analista, Ettore Perrella - la "Lettera di Lord Chandos" di Hugo Von Hofmannsthal (il titolo originale, però, è solo "Ein Brief", "Una lettera").



Per chi non sapesse nulla di Hugo Von Hofmannsthal, preciso che è più famoso per la sua collaborazione – come librettista – con Richard Strauss ("Il cavaliere della Rosa", "Arabella", "La donna senz’ombra", "Capriccio") che per il resto della sua opera e che era così precoce da scrivere apprezzatissime ed estenuate poesie stando ancora al liceo, a diciassette anni, sotto lo pseudonimo di "Loris".



Nato nel 1874, scrive questa lettera che parla di una grave crisi nella scrittura, al limite dell’afasia, nel 1901-02, cioè a ventisette anni.



(Ero così convinto che questa lettera fosse opera di un autore ben maturo che non me ne ero mai accorto.)



E – come capita quasi sempre – quando si scrive una cosa sull’impossibilità di scrivere, si è già guariti. Infatti, dopo, non fece che scrivere, fino al 1929 quando morì per un’emorragia cerebrale, pochi giorni dopo che il figlio si era ucciso.



Ma c’era una cosa che continuavo a non capire.



A pag. 41 (dovrete avere pazienza: mi toccherà fare molte citazioni) descrive lo stato di felice incoscienza in cui scriveva prima della "crisi", così:



"Una esperienza valeva l’altra; una non era inferiore all’altra né nell’energia vitale né nel carattere onirico soprannaturale, e così era per tutto quanto la vita abbracciava, da ogni lato; in tutto ero coinvolto profondamente, mai mi avvidi di una parvenza fallace. Oppure intuivo che tutto era identità, e ogni creatura la chiave per un’altra. E mi sentivo come colui che doveva essere in grado di afferrarle una dopo l’altra e di schiuderne tante altre con essa, quante quella ne potesse disserrare."



Non sembra la descrizione di qualcosa di negativo, no?



E, quindi, perché – dopo tre righe – aggiunge "Chi fosse incline a tale modo di sentire, dovrebbe giudicare saggio piano di una provvidenza divina il fatto che il mio spirito fosse destinato a cadere da una così gonfia presunzione (n.b. – le sottolineature sono mie) a questo estremo di scoramento e debolezza"? Perché?



Anche perché, poco dopo, a pag. 51 (sto seguendo la edizione della BUR), descrive lo stato di rinnovata innocenza, più o meno con le stesse parole e, quindi, cosa era successo – in mezzo – per cui il primo atteggiamento si transvalutasse da "gonfia presunzione" in salvezza?



Trascrivo il brano di pag. 51.



"Era assai più e assai meno che compassione: una smisurata partecipazione, un trasfondermi in quelle creature, o la sensazione che un fluido di vita e di morte, di sogno e di veglia si fosse riversato per un momento in esse …"



E, subito dopo, a pag. 52.



"Queste creature mute, talvolta inanimate si levano verso di me con una tale pienezza, una tale presenza d’amore (le sottolineature sono mie) che il mio occhio letificato non riesce a scorgere dattorno nulla che sia morto. Mi pare che tutto, tutto q uello che c’è, tutto di cui mi sovviene, tutto quanto sfiorano i miei più confusi pensieri, sia qualche cosa. … Sento dentro di me e attorno a me una solleticante infinita rispondenza, e tra gli elementi che si contrappongono nel gioco non v’è alcuno in cui non sarei in condizione di trasfondermi."



E, ancora, a pag. 59:



"E tutto è una sorta di febbrile pensare, ma pensare in un elemento che è più incomunicabile, più fluido, più ardente delle parole. Sono vortici, ma a differenza dai vortici della lingua, questi non paiono condurre a sprofondare nel vuoto, bensì al contrario in qualche modo riportano in me stesso e nel più riposto grembo della pace".



E, poco prima, a pag. 51 ancora, all’inizio:



"… era qualcosa di più, di più divino, di più animale: ed era presente, il presente più pieno e più vero."



Prima di chiedermi cosa sia avvenuto, nel frattempo (o nel non-tempo?) per transvalutare completamente il "panico" di pag. 41 nel "panico" di tutte le altre successive citazioni, vorrei far notare come quel "qualche cosa" riassuma le tre doti che – per Joyce – devono avere gli oggetti epifanici: integritas, riconosciamo che l’oggetto è un’unica cosa; consonantia: riconosciamo che, avendo una sua certa struttura, quella è una cosa di fatto; claritas: riconosciamo che è quella cosa che è. Tutto questo sta in quel "… sia qualche cosa".



Faccio anche notare - prima di provarmi a fornire una risposta che, avviso già da ora, sarà fortemente arbitraria – che, a pag. 45, fra i sintomi della sua malattia, Lord Chandos, dice che non era più in grado di dare anche i più semplici giudizi. Non sapeva più dire se il fittavolo fosse onesto o meno o se il tal predicatore fosse bravo.



E questa cosa mi lasciava molto perplesso – avevo come l’impressione che questa parola, giudizio, contenesse in sé la spiegazione di tutta la faccenda e, con questo pensiero in testa mi ero messo a letto e mi ero addormentato. Poi, verso le due di notte mi ero svegliato e avevo pensato che il giorno dopo avrei messo a confronto – su questo termine – un certo libro e la lettera. Sì, sì, mi ero detto, mi sembra una buona strada. Potete ben immaginare come è andata a finire. Alla mattina non sapevo se avevo sognato o se sul serio avevo pensato quella cosa. Fatto sta che del libro non c’era più traccia.



E così, per disperazione, il pomeriggio, mi ero messo a confrontare il testo di Von Hofmannsthal con il commento alla lettera di San Paolo ai Romani fatto da Ettore Perrella e – solo dopo avere letto tutte le sue complicate e luminose pagine sul "giudizio" – mi ero accorto che lì c’era la chiave per capire Chandos e che era proprio quello il libro a cui avevo pensato durante la notte.



Bene. Perrella fa un commento riga per riga di tutta la lettera di San Paolo ma a noi, qui, interessa, quello che dice a proposito del giudizio, partendo dal testo paolino laddove dice qualcosa come: voi che giudicherete, solo voi sarete giudicati. Attenzione: non è la solita storia buonsensaia della trave e della pagliuzza. Non è la solita etica del: non giudicare visto che chi è senza peccato, solo lui, potrebbe scagliare la prima pietra. No. Qui si tratta di non giudicare mai, in nessun caso, anche se si è puri. Anzi, nel momento in cui si giudicasse già tali non si sarebbe più.



Trascrivo, quindi, alcuni brani del commento di Perrella.



"Paolo, ora, trae le conseguenze di quanto ha detto prima, facendo squillare le trombe del giudizio. Infatti anapologhetos, "indifendibile", è termine giuridico, come krino, "giudico", e katakrino, "mi condanno da me", ma, letteralemente, "giudico di ritorno" o "retroattivamente": verbo riservato a coloro che giudicano gli altri secondo la Legge, e in questo modo si condannano, perché il giudizio che emettono sugli altri ritornerà direttamente su loro stessi, non tanto, come sembra dire il testo, perché fanno a loro volta le azioni che condannano, quanto perché le giudicano negli altri, e proprio in questo modo si espongono al giudizio retroattivo, al katakrinein in cui consisterà il giudizio divino e definitivo … Dio giudica secondo verità. Lo sappiamo, evidentemente, perché il suo stesso giudizio assoluto non sarà (o non è) che un giudizio "di ritorno", vero con assoluta evidenza proprio in quanto non è formulato da Dio, ma dall’uomo stesso che viene giudicato."



"L’evo eterno, il Tempo assoluto, l’ aion, è concesso, nel giudizio – ancora una volta attraverso il katakrinein – solo ai fedeli che hanno saputo pazientare – in realtà restare indietro nella loro "pazienza", ipomoné, cioè nella sospensione della loro attesa -, perché un atto può dirsi buono solo in quanto viene compiuto in questo restare indietro del giudizio … proprio perché chi lo compie "resta indietro" rispetto ad esso, trattenendosi nella sua ipomoné, mentre il giudizio può solo concludere e chiudere un atto … questo restare



indietro è la vita eterna …"



Parlando, poi, di un altro commentatore della lettera ai romani, Schlier, che si stupisce dell’uso del verbo al presente che Paolo fa nel parlare del giudizio finale, che, senza dubbio, è futuro, dice:



"Tuttavia questo futuro, abbiamo detto, non è tale se non perché è già incluso nel presente … Ma è presente solo in quanto l’atto stesso è sempre presente: lo è quello di ieri come lo è quello di domani, perché nella giustizia della decisione noi abbiamo già superato ogni determinazione temporale. Solo per questo il giudizio futuro è già presente nell’atto, tanto che possiamo spingerci a dire che il tempo si genera nell’atto, al punto che esso è poiesis, fattura, o addirittura ktisis, creazione, del tempo, ma lo è solo nella misura in cui è anche apokalypisis, rivelazione definitiva e chiusura del tempo stesso che genera. Il tempo si apre e si chiude a partire da ciascuna giusta poiesis, in quanto questa è giusta proprio perché è un restare indietro, una ipomoné del giudicare nel fare. Ed è una ipomoné di cosa? Evidentemente solo di ciò in cui si scrive la legge: il linguaggio. Nel restare indietro del giudizio, le parole … tornano ad essere Logos vale a dire Parola come principio dei loghismata, vale a dire Parola al di là del tempo e al di qua del tempo, insomma "al tempo stesso" arché, principio, e conclusione del tempo.



"Il tempo cristiano è quello della vita eterna, della Theò aionion, cioè il tempo della vita, eterna solo in quanto vita, vale a dire solo in quanto il suo tempo e il Tempo – l’evo, l’aion – del suo ritorno. La vita è eternamente-ritornante nel tempo. Questo eternamente-ritornante è il movimento della salvazione, mentre la salvezza, di per sé, è sovratemporale, come il Logos ch’è principio e fine del tempo creato."



Insomma, che lo sapesse o meno, Lord Chandos, nel sospendere il giudizio (anzi, per grazia – la sua crisi è la grazia della noche oscura - non potendolo più emettere), si stava salvando nell’eterno presente divino ed animale di cui parla.



E, quando nelle righe finali, prova a dire perché non scriverà più (lui sì ma Von Hofmannsthal – grazie a lui – no) dice.



"perché la lingua in cui mi sarebbe dato non solo di scrivere, ma forse anche di pensare, non è il latino né l’inglese né l’italiano o lo spagnolo, ma una lingua di cui non una sola parola mi è nota, una lingua in cui mi parlano le cose mute,



e in cui forse un giorno nella tomba mi troverò a rispondere a un giudice sconosciuto".



Diciamo che Von Hofmannsthal è finalmente passato dall’estetica di un al di qua del principio del piacere, ad un etica di un giusto fare.



La cosa da dire resta la stessa ma gli occhi si sono – finalmente – illimpiditi.



30 dicembre 2004