18/10/07

I pupi di zuccaro



[Questo racconto è stato già pubblicato sotto lo pseudonimo Enea Sperandeo nel sito della scrittrice e traduttrice Gaja Cenciarelli.
Lo ripropongo qui. tp] 


“Eravamo morti e potevamo respirare”.
Aveva trovato questo verso tra le poesie di Paul Celan e l'aveva usato per smerigliare i suoi ricordi. Si gustava la piccola morte che segue l'appagamento - Insieme, da uno ritornare due con il ponticello di carne che si spegne. Ci sgonfiamo, sudati, innamorati, ci siamo letti a vicenda, prigionieri di Monsieur Le Songe.
Era lì, sudato, perduto negli occhi di chi credeva di amare riamato e pensava a una sola cosa, al tavolo di sua madre.

Sua madre aveva trasformato la tredicesima del 1987 in un tavolo per 18 persone. Suo padre l'aveva bollata come l'ultima delle tante follie della moglie, con quella tredicesima potevano fare un viaggio, comprare un nuovo televisore, ritappezzare i divani.
No, sua madre l'aveva trasformato in legno di noce, un ripiano tanto grande che ci si poteva giocare a calcio. L'aveva fatto perché era questa la differenza tra sua madre e suo padre, suo padre si ancorava alla solidità degli investimenti a lungo termine fatti di acronimi duri e sicuri, sua madre invece voleva rimpinzare la casa di oggetti che trasudassero amore. E quel tavolo stillava amore per tutta la famiglia, dopo decenni di tavoli e tavolini per i bambini, finalmente l'intero clan poteva mangiare nello stesso desco.

04/10/07

tanto per ribadire



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