27/05/05

luna

Libera luna lasciami le lucciole,

lasciami le lampare,

lasciami le lanterne.

Luna liscia lucidami la logica,

mordimi mentre medito,

nascondi nella notte la noia delle nuvole

oppure va' via

perché piace pure a me

la tua faccia vuota di quaglia.



Bevi pure la mia ampolla

e con il mio senno fa' i gargarismi.

L'astuto Astolfo non vuole volare più.

Dice che ti ama da allora e

passa le notti col naso al cielo

a ricordare te e quella passeggiata.

Lasciami almeno le lucciole e

gli dirò che piangi insetti-elettrici,

gli dirò che li piangi per lui.


25/05/05

ode alla vita

Lentamente muore chi diventa schiavo della abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti. Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per la incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare, chi passa i giorni a lamentarsi della proprio a sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del fatto di respirare. Soltanto la ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendente felicità.


pablo neruda

vorrei (guccini)

Vorrei conoscer l' odore del tuo paese,

camminare di casa nel tuo giardino,

respirare nell' aria sale e maggese,

gli aromi della tua salvia e del rosmarino.

Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero

parlando con me del tempo e dei giorni andati,

vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero,

come se amici fossimo sempre stati.

Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci

e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri,

le strisce delle lumache nei loro gusci,

capire tutti gli sguardi dietro agli scuri



e lo vorrei

perchè non sono quando non ci sei

e resto solo coi pensieri miei ed io...



Vorrei con te da solo sempre viaggiare,

scoprire quello che intorno c'è da scoprire

per raccontarti e poi farmi raccontare

il senso d' un rabbuiarsi e del tuo gioire;

vorrei tornare nei posti dove son stato,

spiegarti di quanto tutto sia poi diverso

e per farmi da te spiegare cos'è cambiato

e quale sapore nuovo abbia l' universo.

Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona

o il mare di una remota spiaggia cubana

o un greppe dell' Appennino dove risuona

fra gli alberi un' usata e semplice tramontana



e lo vorrei

perchè non sono quando non ci sei

e resto solo coi pensieri miei ed io...



Vorrei restare per sempre in un posto solo

per ascoltare il suono del tuo parlare

e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo

impliciti dentro al semplice tuo camminare

e restare in silenzio al suono della tua voce

o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso

dimenticando il tempo troppo veloce

o nascondere in due sciocchezze che son commosso.

Vorrei cantare il canto delle tue mani,

giocare con te un eterno gioco proibito

che l' oggi restasse oggi senza domani

o domani potesse tendere all' infinito



e lo vorrei

perchè non sono quando non ci sei

e resto solo coi pensieri miei ed io...

18/05/05

Una giornata alla Stefano Benni

Oggi giornata da spedire presto nella memoria a lungo termine, lì sotto l'albero meditavo con le foglie che cascavano sulle pagine di "Achille piè veloce". Un salto anche alla feltrinelli e lì era arrivato l'ultimo libro di Benni, Margherita dolcevita. ne copio l'incipit dal sito della Feltrinelli.

Dulcis in fundo: incoccio un vechcio amico alla stazione e mi parla pure di Achille piè veloce e della capacità immaginifica di benni. E naturalmente contemporaneamente usciamo dallo zaino due copie dello stesso identico libro...




Capitolo 1, La sparizione delle stelle


Sono andata a letto e le stelle non c’erano più. Ho pulito per bene il vetro della finestra, ma niente da fare. Erano sparite. Era sparita Sirio e Venere e Carmilla e Altazor. E anche Mab e Zelda e Bacbuc e Dandelion e la costellazione del Tacchino e la Croce di Lennon.
Non ditemi che alcune di queste stelle non esistono. Sono i nomi che gli ho dato io. Infatti rivendico il diritto di ognuno, specialmente delle fanciulle fantasiose come me, a chiamare le cose non soltanto con il nome del vocabolario, ma anche quello del vocabolaltro, cioè con un nome inventato e scelto. In fondo tutti lo fanno. I miei genitori mi hanno chiamato Margherita, ma io amo essere chiamata Maga o Maghetta. I miei compagni di scuola, ironizzando sul fatto che non sono proprio snella, a volte mi chiamano Megarita; mio nonno, che è un po’ arteriosclerotico, mi chiama Margheritina, ma a volte anche Mariella, Marisella oppure Venusta, che era sua sorella. Ma soprattutto, quando sono allegra mi chiama Margherita Dolcevita.
Il vigile davanti al quale sfrecciavo in bicicletta mi chiamava Vaipianomargh. Le insegnanti mi chiamano Silenziolaggiù. Il mio primo amore, praticamente anche l’ultimo, mi chiamava Minnie. Viveva con gli zii e aveva una visione disneyana della vita. A quei tempi portavamo tutti e due l’apparecchio per i denti e ci davamo dei baci metallici che sembravano i duelli dell’Iliade. Eppure li rimpiango. Anche a quattordici anni e sei mesi si può rimpiangere. È presto, dite? E se muori a quindici?
Stavo parlando delle stelle. La cosa strana è che il cielo era limpido, poco fa, quando ho accompagnato fuori Pisolo, il mio cane, nella sua tournée di sessanta minipisce.
Quindi non potevano essere le nuvole a nasconderle. Infatti ho aperto la finestra e ho visto che, proprio dove un’ora fa c’erano il prato e gli alberi, avevano piantato un cartellone enorme, tipo schermo di cinema, quaran-cinquanta metri, e sopra c’era scritto:

LAVORI IN CORSO

Era quello schermo immenso a coprire le stelle. Cosa sta succedendo? mi sono chiesta.
Ho allungato il capino fuori come una tartaruga a primavera, e ho visto vari tipi di camion. Scaricavano lastroni di vetro, tubi e blocchi di cemento, e anche lavandini e piastrelle. Allora ho capito.
Da tempo sapevamo che qualcuno aveva comprato il terreno vicino al nostro per costruirci una casa.
Ero eccitatissima, avrei voluto svegliare mamma o il nonno o i miei fratelli, ma era tardi e così ho fischiato per chiamare Pisolo e lui è venuto.
Pisolo è il mio cancatalogo, perché più che un incrocio è veramente un catalogo di tutte le razze canine e animali e forse vegetali apparse sulla Terra [...] 

13/05/05

L'unica che non doveva mancare

Ho scritto abbastanza sulla mia Sicilia, ho abbozzato la mia visione del mondo. E ora? Pure io col blocco dell'aspirante scrittore dietro cui si nasconde lo scoppiettante ego scriptorio di Marco Candida? Assolutamente no.

Qui il problema è più a monte, per semplificare mi azzardo a dire che coincide con l'ultimo numero di Dylan Dog che ho acquistato e soprattutto con il motivo per cui ho deciso che quello era proprio L'ULTIMO NUMERO DI DYLAN DOG che acquistavo. Riservo il maiuscolo solo alle decisioni che sento più definitive delle altre. Per intenderci, non penserei mai in maiuscolo l'idea circa la dieta che dovrebbe spedirmi nel limbo del ventre piatto cogli addominali quadrettati o, peggio ancora, l'idea di smettere per sempre di fumare. Smetto sempre più spesso, questo sì. Dal 19 febbraio non fumo. Me lo ricordo così bene perché era la stessa sera che sono andato al Massimo a seguire la Boheme appollaiato su uno di quei trespoli dei palchetti laterali.



La sera prima mi avevano portato al cinema per quella cazzatissima di "Mi presenti i tuoi" con Robert De Niro alla frutta e Ben Stiller sempre più patetico. Eravamo tutti fuori a sfumacchiare tra un tempo e l'altro, io mi godevo quella bella marlboro (light) sulla soglia, lì con tutti gli altri. O almeno, pensavo che ci fossero tutti. Mancava l'unica che non doveva mancare, l'unica della comitiva che non fuma pur vivendo in una casa dove fumano pure le tende e i divani.

E allora ho guardato quel mozzicone che mi rosolava le dita e ho detto che era arrivato il momento buono per dire addio ai sogni nicotinici e a tutti i cliché delle piccole assassine bianche e arancioni.



L'aumento dei fumetti Bonelli — l'idea in maiuscolo che mi aveva riportato a pettinare quel ricordo targato febbraio — è stato galoppante, dieci centesimi alla volta, siamo arrivati a più di tre euro e 50 per un fascicolo della collezione book, e allora, dato che il mio portafoglio piange e io con lui, ho fatto due conti e ho salutato Dylan e Groucho e tutte le donne con le tette al vento che campeggiano sull'ultima vignetta. Quanto era bella la faccia di Alessandro Volta sulle diecimila lire che bastavano per un'intera serata!

Ho smesso quindi al numero 92 della collezione book, più di un anno fa.



E lo stesso con la parola scritta: ho scritto sino a dicembre, poi, semplicemente e irrimediabilmente, ho messo solo le note a margine di cose già dette.

Riepiloghiamo: il mistero dello scrivere è una trivella. Ti sega le mani e i sogni la voglia di usare un medium assolutamente bianco e vedere che piano piano quel bianco lo riempi. E' appagante, soprattutto se poi qualcuno dice che quello che gli è capitato di leggere gli è piaciuto. E' un balsamo.

Io a i tempi che più panza mi teneva compagnia, masticavo una solitudine che riempivo coi libri. Tutti letti a pancia sotto con le scapole che maledicevano Stephen King e le sue centinaia e centinaia di pagine.

Poi la svolta, pure io mi sono messo a scrivere. Prima tentavo affiliandomi a storie già narrate, rivitalizzazioni di stereotipi che avevano una certa consistenza. Poi quel vuoto lo riempivo sempre più spesso con pezzi di quel mondo che mi viveva attorno. Quello che facciamo tutti: inspiriamo il mondo e lo espiriamo sotto un'altra forma. Sia essa uno striscione contro il governo, una canzone ragionante che scacci via i ruminanti dal mondo, un sms che inchioda una donna alla speranza che stavolta sia la volta buona.



Scrivere. Malgrado tutto. O proprio grazie a questo tutto. Per concludere, come fa il curato di campagna di Bernabos, "che importa? Tutto è grazia". Per OBBEDIRE a un istinto vitale.

10/05/05

ci stanno flanderizzando

Dicono che basta ascoltare la vita, e d'improvviso la natura naturata e naturante ti regalerà i suoi segreti. Sembra facile come la pubblicità della Amplifon col mondo che ti parla sulle note della bella "what a wonderful world".

Ci ho provato. Sul serio, ad espiare il bisogno vivo, vero e vitale di scrivere con tutto quello che mi capitava a tiro, da quando ho mollato la mitografia dicotomica per spiccare il volo m'ingolfo sempre più spesso. ho provato a recuperare gli accadimenti che mi hanno portato ad azzeccare l'unico incontro che non dovevo mancare. PEr ora bevo gli eventi come una spugna, tutto quello che mi vive attorno lo immagazino nel mio solito palazzo della memoria e aspetto che decanti per riprendere forma in mezzo alle parole.

E poi la luce dell'ovvio mi ha abbacinato: le vetrine pullulano di orribili colori, rosa e verde...

Rosa e verde: cacchio, non sono i colori della "divisa" di ned Flanders?

D'oh!

08/05/05

la letteratura sul sentiero interrotto

Respira triste questo blog, forse era necessario: dovevo alzare le dita dalla tastiera e gli occhi al cielo per rivedere quelle stelle che volevo commuovere.

Avevo dimenticato che quando mancano le stelle ci sono sempre i fuochi d'artificio a scacciare la notte, la notte che prima era solo dei poeti e dei gatti.

Un meteorite era piombato sui miei sogni mentre stavo lì a bere il mare che sbatteva uggiando sulla rena del bagnasciuga.

Tutto sapeva di buono e di irreale. Ero lì, pure la luna era caduta sulla spiaggia, liscia come i sogni di un innamorato. L'avevano puntellata i gendarmi delle canzoni di De Andrè per impedire che il sentiero per Oz andasse perduto per sempre.

E io m'ero preso una scarica di dubbi alla Charlie Brown.

Dubbi a bizzeffe, ma nessuna, nessuna paura. Forse non arriverà il racconto dirompente e rimbombante che tutti si aspettano, forse non (ri)troverò le parole per incollarvi a questo monitor. Forse non vanno cercate, sono lì, covano sotto quella gigantesca roccia che ci sbarra il cammino, forse sono lì, in quella fenditura e, semplicemente, aspettano.

07/05/05

il silenzio delle Sirene

Ho capito che era arrivato il momento di scacciare l'apatia che si andava accumulando sui libri fotocopiati dell'Università. L'ho capito, per quel che mi è dato di sapere, la sera che *** s'è laureato. Qui, nell'isola triangolare, il futuro ti secca i sogni. Lo fa ad ogni passo che l'avvicina al punto che occupi tu sul continuum spazio temporale che faceva tanto bene ai film degli anni 80.



C'era un picciriddo ancora imbacuccato nelle sue vesti monocolore e tutti lì che lo guardavamo cercando di associare almeno un tratto somatico al padre, quello stesso padre destinato a marcire nelle patrie galere sino al fatidico pentimento.



La sorella di *** non aveva seguito la strada di legalità che suo padre le aveva tracciato, aveva detto addio a quella vita fatta di quotidiani gesti per un po' di quel pepe che solo l'instabilità può darti.

Suo padre prima l'aveva scacciata, poi l'aveva riabbracciata e ora tutti toccavano quel picciriddu come se fosse contaminato da qualche sostanza radioattiva. Pure io lo guardavo storto cogli occhiali che mi prudevano sul naso a forza di guardargli fisso il ciuffo di capelli. Pensavo al mio futuro e subito paragonavo il mio e quello dell'infante, se per me era difficile, per quelle quattro ossa con la fontanella ancora aperta tutta la strada era ancora più in salita. Avevo voglia di gridare per rabbia e per rancore. Rabbia immotivata, che doveva dirmi ***?



Magari, mentre lo aiutavo a venire a capo della tesi, tra una sigaretta e l'altra mi diceva: "sai, mia sorella ha mollato il marito per mettersi con uno dei pizzinari di Provenzano. E la tua ragazza come sta?"

Come minimo, svenivo e lì per lì, gli sputavo addosso tutta un'impepata di recriminazioni sull'istinto alla legalità che dobbiamo infilare in ogni nostro gesto per cercare almeno di tamponare quell'aria già intossicata di clientelarismo e ipocrisia che lo Stato fantasma delle coppole ci ha lasciato in eredità. E tutti quei bei discorsi che facevamo su quando e come girare la Sicilia su un sidecar per toccarne con mano le sue bellezze e le sue potenzialità, io a filosofare e lui a ritagliarsi il suo spazio di marketing. Tutto in fumo. Peggio di quelle canne che ci fumavamo quando eravamo troppo stupidi per alzare la testa e vedere il cielo. Che devo fare? Con uno del mucchio che spara a zero sui chili che ci hanno appesantito il profilo, parla proprio lui che se n'è presi almeno tredici e tutti sulla panza...

Sono l'unico che si è portato dietro la fidanzata: l'unico che si accorge che il tempo passa impietoso? L'unico che ha il coraggio di girare pagina? Forse, più semplicemente, l'unico che non voleva essere così ziccuso da andare in solitaria per sparagnare qualche euro, o peggio, l'unico che non voleva masticarsi un'altra notte in cui l'amicizia sarebbe galleggiata tra un centinaio di frasi iniziate col fatidico "ti ricordi?". L'egregio sostituto del "t'immagini" che colora i sogni dei bambini e degli innamorati.

melodie buone per far ballare gli orsi

«La parola umana è come una caldaia crepata, componiamo melodie buone per far ballare gli orsi, mentre vorremmo commuovere le stelle»



Flaubert, Madame Bovary





Un gesto: non scriverò più sino a quando non avrò qualcosa di dannatamente buono tra l'amore, il cranio e la tastiera. Prima di diventare una puttana della parola vado a respirare un po’ di vita e digerisco abbastanza eventi per rimpolpare l'encefalo scriptorio. MI sono asciugato tutte le (dis)avventure adolescenziali che, troppo spesso, destoricizziamo scagliandole nel mito.

Cerco un nuovo linguaggio e mi ingolfo in parole già dette.

Come uscire dall'impasse?

Ovvio: con una bella crisi, recuperandone il senso dell'originale cernita.



Io sono alla ricerca.



Mi è venuta a trovare un'immagine pescata nel dimenticatoio pre-adolescenziale, quando mia sorella mi faceva assorbire film come Piccole Donne e Pollyanna, proprio in Piccole Donne c'è la scena finale in cui il Professore tedescofono dice a Jo di smetterla di accavallare

parole e andare all'essenziale, cosa che a Jo riesce quando smette di scrivere di vampiri per narrare della morte di Beth.

Ecco, vado alla ricerca della mia "morte di Beth".