Molti scrittori hanno affrontato il Natale come tema principale dei loro racconti o come scenario per piccole gemme narrative. In una possibile antologia che abbracci un coro di voci abbastanza variegate troviamo una costante attenzione per il risvolto mistico ed edificante della nascita di Gesù. È tutto un fiorire di fiocchi di neve, pecorelle, pastori e buoni sentimenti che ingentiliscono i cuori di chi legge.
I più disillusi restano Italo Calvino e Luigi Pirandello che ci offrono l’altra faccia del Natale evitando volontariamente dolci novelle con la morale alla fine.
Premettiamo che sposiamo da subito le conclusioni a cui giunge Umberto Eco nel rispetto che anche i laici tributano al Natale e al Mistero: “Se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede”.
Il modello di tutti i racconti natalizi resta l’inarrivabile “Canto di Natale” di Charles Dickens: la notte infinita di Scrooge che incontra gli spiriti dei Natali Passati, Presenti e Futuri e si ravvede appena in tempo diventando “un amico, un padrone, un uomo così buono, come poteva mai averne conosciuto quella buona vecchia città, o qualunque altra buona vecchia città, borgata o villaggio di questo buon mondo”.
Carlo Collodi, l’autore del celeberrimo Pinocchio, nel suo “La festa di Natale” sceglie un apologo dal vago sapore evangelico, ricalca volutamente la parabola dei talenti e ai tre amministratori fa corrispondere i tre figlioletti della Contessa Maria che sognano il momento solenne che arriva alla fine di ogni anno: l’apertura dei salvadanai. Hanno sognato quest’evento tutto l’anno: Luigino già immagina la bardatura che comprerà al suo cavallo di legno, Alberto i vestiti per la sua marionetta e Ada le scarpine per la sua bambola. Qualcosa accade, durante una passeggiata i tre fratellini nella casa dell’Orco incontrano un bimbo saziato dal suo aguzzino a colpi di zoccolo. Nel cuore d’Alberto si accende la fiamma della misericordia: invece di vestire una stupida marionetta investire i suoi zecchini per vestire quel bimbo sottratto appena in tempo all’Orco. La contessa Maria premia il figlio con una tempesta di baci.
Non diverso il tono de “Il dono di Natale” di Grazia Deledda, delicato racconto ambientato tra la neve della Sardegna. In occasione di un fidanzamento il piccolo Felle commosso porta la zampa del porcellino da latte ai suoi vicini. Non riceve però l’accoglienza che s’attendeva: le figlie del vicino aspettavano ben altro regalo. Alla fine capirà, quando il padre delle bambine ritorna con il figlioletto appena nato: un bel bambino nato proprio allo scoccare della mezzanotte di Natale: “E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambino appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti. - È il nostro primo fratellino - mormorò Lia. - Mio padre l'ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il "Gloria". Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte”.
Amaro osservatore della realtà Calvino nota come “Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L'unico pensiero dei Consigli d'amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d'augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s'inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po' abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d'affari le grevi contese d'interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale”. In una guerra a colpi di originalità il racconto si conclude con un paese assediato da babbi natale che lottano per rimpolpare le case di inutilissimi regali sino a che i figli di Marcovaldo non cambiano le carte in tavola. Disperati dal non riuscire più a trovare nell’era dell’opulenza un bimbo povero da rallegrare porteranno i loro doni strampalati al bimbo più ricco del paese. Quest’ultimo li userà per distruggere i regali precedenti e dare avvio ad un’altra guerra: quella dei regali distruttivi.
Commuove "il Natale a Regalpetra" di Sciascia con i temi dei suoi alunni che cantano la gioia dell’unico bagno caldo dell’anno in un’aula damascata dai geloni. Per chi è sopraffatto dallo spirito del Natale resta la bellissima poesia d’Ungaretti che ci spinge a recuperare il senso dell’evento di cui rendiamo testimonianza acconciando presepi e pacchi regalo:
Non ho voglia / di tuffarmi/ in un gomitolo/ di strade// Ho tanta / stanchezza /sulle spalle// Lasciatemi così/ come una/ cosa/ posata/ in un/angolo/ e dimenticata// Qui/ non si sente/ altro/che il caldo buono//Sto/con le quattro// capriole / di fumo/ del focolare //
E concludiamo questa breve antologia natalizia col “Sogno di Natale” di Luigi Pirandello. Proprio pochi giorni fa ricorrevano i settant’anni dalla morte e con essi la possibilità di riprodurne liberamente l’opera: Gesù tornato in terra cerca un’anima disposta a farlo rivivere. Un’anima disposta a liberarsi di tutto:
“Cerco un'anima, in cui rivivere. Tu vedi ch'ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l'anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo... Cerco un'anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d'ogn'altro di buona volontà.- La città, Gesù? - io risposi sgomento. - E la casa e i miei cari e i miei sogni?
- Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.
- Ah! io non posso, Gesù... - feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona”.
Ma il Natale è anche gioia, perché come ci ricorda Gozzano:
… Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.
È nato!
Alleluja! Alleluja!
È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill'anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese
quest'ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d'un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.
È nato!
Alleluja! Alleluja!
3 commenti:
mi piacerebbe inserirlo nel rifugio, che ne dici?
Fa ciò che vuoi...Sei liberissimo di saccheggiare archivi. Come sempre, del resto...Tonino
grazie per la fiducia!! anche se preferisco un tuo intervento, è sempre un piacere averti sul sito! saluti e buone feste!
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